Un’etichettatura nazionale e univoca sul metodo di allevamento degli animali. È la proposta di legge 2403 presentata il 25 maggio da Ciwf Italia e Legambiente insieme a Rossella Muroni, deputata di Liberi e Uguali. L’iniziativa nasce dall’esigenza di mettere ordine alle informazioni che si possono trovare sulle etichette di carne, latte e formaggi e che talvolta possono risultare fuorvianti per i consumatori, sempre più sensibili al tema. Negli ultimi anni sono comparse sulle etichette generiche diciture sul benessere animale, che però spesso non danno alcuna garanzia sulle condizioni degli animali negli allevamenti.
Oltre a fornire informazioni corrette ai consumatori, la proposta di legge ha anche lo scopo di valorizzare attraverso l’etichettatura gli allevamenti virtuosi che applicano standard di benessere animale superiori e che potranno beneficiare di una maggiore visibilità nei confronti dei consumatori. Inoltre si spera che, in un circolo virtuoso, possa incentivare anche le altre aziende zootecniche a fare altrettanto per vedere i prodotti “premiati” in etichetta.
L’etichetta proposta, se dovesse essere approvata, sarà volontaria e si baserà su quattro principi cardine: l’indicazione del metodo di allevamento in etichetta; l’indicazione dell’uso o meno di gabbie; la presenza di almeno tre livelli di benessere per specie animale; chiarezza e comprensibilità.
A questo proposito, Ciwf e Legambiente hanno elaborato e proposto una serie di criteri per l’etichettatura del metodo di allevamento dei suini. Ciascun sistema corrisponde a diversi livelli potenziali di benessere a seconda della possibilità di esprimere i comportamenti naturali offerta agli animali. La proposta delle due associazioni distingue i metodi di allevamento su cinque livelli (da 0 a 4) di allevamento:
- Biologico (0): accesso all’aperto costante; scrofe libere durante gestazione, parto e allattamento; svezzamento oltre i 40 giorni; rispetto dei requisiti di benessere per la certificazione biologica.
- All’aperto (1): accesso all’aperto costante; scrofe libere durante gestazione, parto e allattamento; presenza di lettiera vegetale; assenza di castrazione chirurgica; svezzamento oltre i 40 giorni; area esterna facoltativa.
- Al coperto (2): 30% di spazio in più rispetto ai requisiti minimi di legge; scrofe libere durante gestazione, parto e allattamento; presenza di lettiera vegetale; assenza di castrazione chirurgica; area esterna facoltativa.
- Al coperto (3) ma con maggiori restrizioni per gli animali: 30% di spazio in più rispetto ai requisiti minimi di legge; scrofe in gabbia per sei giorni al massimo; uso di paglia come lettiera; castrazione chirurgica in anestesia; nessun accesso all’aperto.
- Intensivo (4): requisiti minimi di legge sullo spazio; scrofe in gabbia; nessun accesso all’aperto.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Sono biologo. L’idea è tanto nobile quanto inutile. C’è un vizio di fondo: dare “accesso” all’animale verso l’esterno, non significa che usufruirà necessariamente del servizio. Spesso questi accessi sono una porticina in 100mq. Credere di acquistare carne allevata all’aperto, solo perchè in etichetta è indicato che l’animale può uscire “en plein air”, è solo altro fumo negli occhi del consumatore, nonchè profitto maggiore per l’industria. Se volete animali allevati rispettosamente, recatevi nelle aziende agricole e guardate voi stessi come vivono le bestie. L’etichetta è una grande conquista, ma così viene solo sprecata.
La sua obiezione, senz’altro fondata, è però basata sull’idea che per il nuovo regolamento la “porticina” che lei descrive sarà sufficiente, ma ancora non possiamo saperlo.
L’articolo ci fornisce una breve descrizione, non tutti i dettagli, e quindi possiamo anche legittimamente aspettarci che non solo la “porticina” sia in realtà una adeguata serie di aperture, ma anche che al di là delle aperture ci sia uno spazio adeguato, ampio e con vegetazione.
Direi quindi che l’idea non è inutile di per sé, ma potrebbe certo diventarlo se non applicata correttamente.
Lo so che probabilmente i fatti daranno ragione a lei piuttosto che a me, ma non mi sembra equo pronunciare una presunzione di colpevolezza prima che il crimine sia stato commesso.
Sono anni che si deve fare chiarezzA. Ma alla fine non si fa niente. Allevatore da belluno. Molte aziende che trasformano scrivono Italiano ma di italia c’e poco. E i Controlli dove sono.
Ma chi lo ha detto che i consumatori siano sensibili al tema. Il consumatore sceglie in base al prezzo e basta
LEeggo che per essere virtuosi non si deve effettuare la castrazione chirurgica. l’unica via alternativa è l’immunocastrazione che prevede l’inoculazione di un “vaccino” non specie specifico – allevatori attenti a non inocularvelo per sbaglio -che permette di avere anche carni più magre ed inadatte alla trasformazione in salumi. anche toelettare un prosciutto sarebbe più difficile a meno di venderlo con tanto di ammennicolo incorporato. se parliamo di benessere poi allevare soggetti interi – parlo di suini – aumenterebbe l’aggressività dei verri sia nei confronti dei propri simili che dell’uomo. ma chi ensa al benessere dell’uomo? Quando si fa una proposta di legge sarebbe opportuno conoscere anche il parere degli esperti di settore non solo dei tronisti