I casi di Covid-19 diagnosticati nel mondo sono circa il 6% del totale dei contagiati reali, e questo dipende, in larga misura, dal fatto che non si fanno abbastanza tamponi. Ciò significa che il numero reale è di diverse decine di milioni. Lo sostengono gli statistici dell’Università di Gottinga in Germania, che hanno pubblicato su Lancet Infectious Diseases le loro analisi sui dati di decine di paesi che tengono conto della mortalità rispetto ai casi identificati, delle infezioni confermate e dei decessi al 17 e al 31 marzo, e su questi dati propongono stime molto significative.
Laddove si fanno più test, infatti, si scopre che la prevalenza dell’infezione da coronavirus, cioè la quantità di positivi rispetto alla popolazione, è molto più alta rispetto a quanto sembra nei paesi dove se ne fanno di meno. Questi ultimi, però, sono anche quelli dove la situazione è peggiore, probabilmente perché si sottovaluta la diffusione del virus.
Così la Germania, paese nel quale la mortalità è bassa (meno di un migliaio di decessi), ha effettuato più test e scoperto il 15,6% di tutti i casi, mentre l’Italia ne ha scoperti solo il 3,5%, la Spagna l’1,7%, gli Stati Uniti l’1,6% e la Gran Bretagna l’1,2%. Al contrario, la Corea del Sud sembra aver individuato praticamente metà di tutti i casi presenti, il Giappone un quarto, la Norvegia, che intende allentare il lockdown già nei prossimi giorni, il 37,7%. In numeri assoluti, secondo le proiezioni la Germania al 31 marzo avrebbe avuto circa 460.000 casi, l’Italia tre milioni, la Spagna cinque, la Gran Bretagna 2,5 e gli Stati Uniti dieci milioni. Negli stessi giorni, uno studio della Johns Hopkins University di Baltimora fissava in 900.000 i casi globali accertati, a conferma dell’ampia sottostima che sta interessando tutto il mondo.
I paesi differiscono molto, poi, quanto a percentuale di popolazione infettata da coronavirus: se in Italia siamo al 5%, in Spagna siamo al 12,2%, negli Stati Uniti al 3,5, in Turchia al 13,2%, in Corea del Sud allo 0,04%. La mortalità, invece, oscilla ma è più o meno sempre attorno all’1% di coloro che sono infettati: in Italia è allo 1,38%.
La conclusione dei ricercatori tedeschi è un invito a uniformare i conteggi degli infettati, dei deceduti, le percentuali di controlli rispetto alla popolazione, ogni parametro che descriva la malattia, perché solo così si potranno programmare interventi più omogenei e, soprattutto, facili da verificare per identificare i migliori.
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Giornalista scientifica
Bellissimo che i tedeschi vengano a fare uno studio sulla diffusione del Covid in Italia 😉
in Germania se uno ail covid19 e muore di infarto non viene calcolato in italia si, poi l’eta’media dei contagiati in germania e di 50 anni ed e piu difficile morire, in italia l’eta’ media dei contagiati e 67 anni, e’ piu’ facile morire. inoltre i pazienti ammalati terminali che hanno contratto il virue e muiono, in ITALIA VENGONO CALCOLATI, IN GERMANIA NO…ECC ECC….NON TUTTI USANO LO STESSO SISTEMA DI CONTEGGIO….BUONA SERATA