La temperatura durante il trasporto del cibo consegnato a casa dai rider è rispettata? No dice l’Istituto zooprofilattico Piemonte, ma forse la norma va rivista
La temperatura durante il trasporto del cibo consegnato a casa dai rider è rispettata? No dice l’Istituto zooprofilattico Piemonte, ma forse la norma va rivista
Roberto La Pira 4 Marzo 2020
C’è chi si fa consegnare la pizza a casa e chi preferisce farsi portare la spesa del supermercato. Ma durante il trasporto le temperature vengono rispettate? La domanda se la sono posta Lucia Decastelli e Manila Bianchi del laboratorio di microbiologia dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, che nel corso del 2019 hanno controllato se le regole previste dalla normativa venivano rispettate. Secondo la legge il cibo caldo deve essere trasportato a una temperatura di almeno 63° C, mentre per i prodotti freschi il termometro deve segnare una temperatura tra i 4°e gli 8° C in base alle diverse tipologie di alimenti. Per capire cosa succede le ricercatrici hanno verificato sul campo le temperature di trasporto di 50 rider che trasportavano piatti caldi in moto o bicicletta, e di 50 consegne a domicilio effettuate con i furgoni dalle catene di supermercati.
Le temperature medie relative al cibo consegnato dai rider variano da 45° C degli hamburger, ai 46° del kebab arrotolato per finire con i 59° del riso cantonese. Nel caso peggiore il termometro segnava 38° C. È vero che la maggior parte delle temperature rilevate sono fuori norma, ma va detto che le consegne dei rider avvengono in 15-20 minuti, e in questo intervallo eventuali batteri non fanno in tempo a riprodursi in quantità tale da diventare pericolosi. Le simulazioni microbiologiche predittive fatte nel laboratorio dell’Istituto zooprofilattico con colonie di un batterio patogeno (Clostridium perfrigens) dicono che il pericolo non c’è. È vero, la legge non viene rispettata, ma la normativa è pensata per il trasporto su lunghe distanze o per il cibo caldo che deve restare in un banco self-service alcune ore. Se la temperatura dell’hamburger anziché essere 63° C è 53° non succede nulla in 20 minuti. La questione è delicata perché il controllore e il legislatore devono applicare la norma, anche se il pericolo oggettivamente non sussiste. Forse servirebbe una rivisitazione della legislazione, che nella forma attuale è pressoché impossibile rispettare. Bisogna anche individuare meglio i ruoli e le responsabilità dei soggetti della filiera, precisando i limiti di temperatura che deve rispettare il ristoratore, quali sono le responsabilità del gestore che coordina i rider, e prevedere una formazione per i fattorini.
Adesso chiunque può fare le consegne a domicilio. Non esistono corsi di formazione anche brevi per spiegare a questi lavoratori la differenza tra il trasporto di cibo e quello di un pacco, quali sono le accortezze da osservare se il contenitore termico si rompe, quali regole da adottare per l’igiene del contenitore. La procura di Torino, sta facendo un’indagine preliminare per valutare sia l’aspetto igienico sanitario sia quello relativo alla preparazione del personale addetto alle consegne.
L’altro aspetto considerato nello studio dell’Istituto zooprofilattico riguarda la temperature media dei prodotti trasportati sui furgoni usati dalle catene di supermercati per consegnare la spesa a domicilio. La temperatura media della spesa consegnata sul pianerottolo di casa dai 50 furgoni controllati è stata di 9° C. In un solo caso era 5° C mentre nella situazione peggiore si è arrivati a 15°. Anche per la consegna a domicilio la normativa prevede al massimo 4° C per i prodotti freschi e fino a 8° per frutta e verdura. La legge però è pensata per i banconi frigorifero dei ristoranti dove i piatti con gli antipasti restano ore, per i banchi dei self-service e per i camion che trasportano prodotti alimentari freschi.
Anche in questo caso l’Istituto zooprofilattico ha condotto simulazioni microbiologiche predittive, utilizzando come batterio patogeno la Listeria monocytogenes. Si tratta di un batterio particolare perché capace di moltiplicarsi anche alle temperature di un frigorifero, dove invece gli altri microrganismi rimangono dormienti. I modelli matematici hanno mostrato che, a 15° C la Listeria, seppur presente nel cibo di partenza in concentrazioni accettabili dal punto di vista normativo e delle sicurezza alimentare, può in poco meno di due ore superare tali limiti e rappresentare un pericolo per le fasce di popolazione più a rischio.
La ricerca dell’Istituto zooprofilattico se da un lato è tranquillizzante, dall’altro pone un problema normativo da affrontare alla luce dei nuovi modi di fare la spesa e di pranzare con il cibo consegnato caldo a domicilio.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
E buonanotte… adesso si scopre che se un alimento sta fuori range di temperatura per 20 minuti non è un problema. Ma va? Se si facessero analisi serie di quello che succede realmente nei ristoranti, nelle mense si cambierebbero un po’ di norme.
Il problema di un hamburger che arriva dopo 20 minuti non è l’igiene …è che non è molto buono.
Il punto secondo me è un altro: quando verrà consumato quel prodotto? Verrà finito entro una mezzora /ora dalla partenza dal punto vendita o rimarranno dei residui, magari conservati nei frigoriferi di casa?
La qualità microbiologica del prodotto quando ha subito un innalzamento termico diventa scadente e quindi secondo me bisognerebbe agire con informazioni ai consumatori e sulle confezioni dovrebbe essere indicato che il prodotto deve essere consumato in breve tempo. Poi, certamente una rivisitazione di alcune normative potrebbe essere fatta, per consentire questo tipo di servizi.
Inoltre si può anche fare tutta la formazione che volete ai riders, che dovrebbe essere comunque obbligatoria già ora!
E quindi qua si apre un discorso molto più serio: come si è potuto autorizzare questo tipo di business? Da un lato questo tipo di attività sfrutta le persone, ma dall’altro smaschera una disparità di trattamento dal punto di vista commerciale e legale per gli altri operatori del mercato. Infatti, se un soggetto si mettesse a fare un’attività in proprio nella consegna a domicilio di prodotti alimentari (e non) sarebbe soggetto a tutta una serie di controlli ed esami di professionalità che invece a queste “ditte digitali” non vengono richieste: come mai?
L’intervallo di tempo è simile a quello che possiamo ipotizzare quando potiamo a casa la spesa di prodotti freschi fatta al supermercato, oppure compriamo un piatto pronto già cotto caldo pronto da consumare a casa.
I business non vanno mica autorizzati. I business sono business e basta. Mi spieghi cosa c’è di illegale? Studio questo fenomeno da 6 anni ormai, ci sono molte criticità, ma il punto vero secondo me è un altro e nessuno se ne preoccupa: quanto dovrebbe costare un hamburger consegnato a casa? Di più o di meno che nel fast food ? o uguale? Ecco prima parliamo di questo poi di tutto il resto.
– La gerarchia delle norme fa sì che le cose scritte nel dpr 327/80 non siano più applicabili anche se formalmente non abrogate
– La formazione, chi effettua il trasporto, la deve fare come coloro che servono ai tavoli.
– Nessun odc fa più osservazioni sulla temperatura di trasporto se la fase è correttamente descritta nelle procedure
Buongiorno Roberto, nell’articolo fai la seguente affermazione: Secondo la legge il cibo caldo deve essere trasportato a una temperatura di almeno 63° C, mentre per i prodotti freschi il termometro deve segnare una temperatura tra i 4°e gli 8° C in base alle diverse tipologie di alimenti.
Potresti citare la norma per favore ?
Grazie mille
Salvo nuovi regolamenti e/o aggiornamenti, penso si debba fare riferimento al Reg. CE 852/2004 (correggetemi, per cortesia, nel caso sbagliassi). Il punto 5, cap. 8, All. 2, dice: “Le materie prime, gli ingredienti, i prodotti intermedi e quelli finiti, in grado di consentire la crescita di microrganismi patogeni o la formazione di tossine non devono essere conservati a temperature che potrebbero comportare rischi per la salute. La catena del freddo (e del caldo, ndr) non deve essere interrotta. È tuttavia permesso derogare al controllo della temperatura per periodi limitati, qualora ciò sia necessario per motivi di praticità durante la preparazione, il trasporto, l’immagazzinamento, l’esposizione e la fornitura, purché ciò non comporti un rischio per la salute. Gli stabilimenti per la fabbricazione, la manipolazione e il condizionamento di alimenti trasformati devono disporre di locali adeguati, sufficientemente ampi per consentire il magazzinaggio separato delle materie prime e dei prodotti trasformati e di uno spazio refrigerato separato sufficiente.” Bisogna, quindi, necessariamente, far riferimento alla letteratura in relazione al tipo di prodotto. Chiaramente il produttore deve garantire tutte quelle prassi che vanno ben oltre il controllo delle temeprature, ad esempio: packaging primario e secondario idoneo, igiene degli addetti alla consegna. Generalizzando, se il prodotto sosta al di fuori del controllo temeprature per 20-30 minuti, i problemi legati alla contaminazione e proliferazione microbica ritengo siano meno legati alla temepratura, bensì a tutti quesi fattori di rischio presenti nel processo produttivo e nel trasporto.
La responsabilità del produttore arriva fin tanto avviene la consegna: se l’acquirente aspetta ore prima di consumare il prodotto, mal conservandolo, è un suo problema (o un problema di educazione alimentare quasi totalmente assente a tutti i livelli, ma quella è un’altra storia).
Probabilmente andrebbero riviste le distanze e le percorrenze massime dei ryder, e la tenuta termica dei contenitori privilegiando l’isolamento al volume di carico.
Si vedono ryder in bici sotto al temporale che attraversanoi mezza città, rischi fisici e di salute per i ragazzi a parte è ben difficile che i cibi che portano arrivino alle temperature giuste.
E in questi tempi di autoisolamento ci sono alimentari e rosticcerie che consegnano anche in un raggio di 30 Km, lodevole iniziativa e ottimo servizio, ma difficilmente anche in questo caso gli alimenti arrivaranno alle giuste temperature, soprattutto perché i furgoni che usano non sono in alcun modo climatizzati.
Mauro
Personalmente non faccio uso di questo servizio, preferisco cucinare o uscire di casa semplicemente perchè non ritengo sano quel cibo e non sono sicuro che si facciano i necessari controlli igienico sanitari dalla preparazione alla consegna ma, ognuno mangi quel che vuole. Il discorso sulle temperature mi pare corretto ma molto teorico dal momento che non ci sono controlli durante questi trasporti anche se sarebbe più interessante approfondire quello dell’igiene: qualcuno si è mai chiesto quanto è igienico il contenitore usato dai rider? Quando sono fermi in attesa di una chiamata (li vedo davanti casa) per la consegna il loro “portavivande” è poggiato sul marciapiede, non mi pare il posto più pulito se poi bisogna trasportare cibo e poi, alla fine del turno di lavoro, come vengono sanificati questi zaini?
Ritengo che il commento di La Pira sia corretto e ben inquadrato tra efficienza e attuabilità; aggiungo che la normativa dovrebbe prendere in considerazione il sistema organizzato dai punti vendita/distribuzione confrontato con una spesa gestita normalmente dal cliente, cioè con trasporto in auto non refrigerata etc.
Dato che i risultati sono sicuramente migliorativi rispetto a quanto fatto dai privati, dovrebbe allora concentrarsi più sulla sanitizzazione dei contenitori che sulle temperature; sono sicuro che se analizzassero 1000 trasporti effettuati dall’acquirente, nessuno riuscirebbe ad creare condizioni migliori di quelle effettuate dai riders e ancor meno dai servizi dei supermercati.