La pubblicità alimentare serve a richiamare l’attenzione dei consumatori verso un prodotto, una marca o una catena di distribuzione. Con l’offerta in continuo aumento e la capacità di spesa in calo, gli operatori del marketing si contendono quote di mercati saturi come il nostro, con gli strumenti più aggressivi.

Sul fronte distributivo impazzano le vendite sottocosto e ogni genere di promozioni che la filiera produttiva assorbe con sacrifici immani, ma anche con comparazioni sui prezzi: “Qui costa meno”. 

Ma che cosa costa meno, e quanto meno? Il risparmio è reale, se pure condizionato nel tempo e alle disponibilità? E una volta caricato il carrello con i prodotti-civetta, risparmierò anche sul resto della spesa o sarò gabbato da maggiori prezzi su altre referenze?

La Corte di Giustizia Ue ha fornito una serie di indicazioni sulla pubblicità comparativa, intesa come “qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente”. I requisiti previsti sono che:

a) non sia ingannevole;

b) confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;

c) confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;

d) non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;

e) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;

f) non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

g) non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati;

h) non ingeneri confusione tra i professionisti, tra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente (dir. 2006/114/CE, art. 4).

Comparazione dei prezzi alimentari

La Corte di giustizia europea ha di recente confermato la legittimità della pubblicità comparativa sui prezzi dei prodotti alimentari, con alcune precisazioni (causa C.159/09, sentenza 18.11.2010).

La Corte si è espressa sulla pubblicità a mezzo stampa di Vierzon Distribution SA, che aveva comparato il costo complessivo di un paniere composto di 34 prodotti (in prevalenza alimentari), da essa stessa distribuiti, con i corrispondenti prodotti venduti dalla concorrente Lidl.

Lidl aveva contestato questa pubblicità presso il Tribunal de Commerce di Bourges (Francia), adducendo la violazione della normativa nazionale in tema di pubblicità comparativa (ispirata alla direttiva 84/450/CEE), in quanto i prodotti comparati avrebbero avuto differenze quantitative e qualitative tali da non soddisfare i medesimi bisogni. L’altro elemento contestato è che il mero confronto degli scontrini di cassa, non avrebbe consentito ai consumatori di  comprendere le caratteristiche dei prodotti che motivavano le differenze di prezzo.

Vierzon a sua volta sosteneva che “un confronto può riguardare due beni non identici, sempreché questi soddisfino gli stessi bisogni o si propongano gli stessi obiettivi e presentino, a tal riguardo, un sufficiente grado di intercambiabilità, presupposto che ricorrerebbe nel caso di specie. Per quanto riguarda le differenze esistenti tra i prodotti in causa, esse emergerebbero sufficientemente dai summenzionati scontrini di cassa, sicché i consumatori non sarebbero stati indotti in errore”.

Il Tribunale francese ha deciso di sospendere il procedimento e di interpellare la Corte per comprendere se – sulla base del diritto comunitario – si possa ammettere la pubblicità comparativa sui prodotti alimentari, nonostante le loro peculiarità.

Il giudice di Lussemburgo ha sottolineato che la direttiva 84/450/CEE (nel frattempo abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/114/CE) subordina la liceità della pubblicità comparativa alla condizione che metta a confronto beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi, e che perciò si tratta di valutare se i prodotti confrontati presentino un sufficiente grado di intercambiabilità per il consumatore.

La Corte ha sottolineato che “una valutazione individuale e concreta dei prodotti che costituiscono l’oggetto specifico del confronto nel messaggio pubblicitario” e quindi del grado di sostituibilità, “rientra nella competenza dei giudici nazionali”.

Precisando però che “la mera circostanza che i prodotti alimentari si differenzino quanto alla loro commestibilità e quanto al piacere da essi procurato al consumatore, in funzione delle condizioni e del luogo della loro produzione, dei loro ingredienti e dell’identità del loro produttore, non è tale da escludere che il confronto di tali prodotti possa rispondere al requisito sancito dalla predetta disposizione, in base al quale essi devono soddisfare gli stessi bisogni o proporsi gli stessi obiettivi, vale a dire presentare tra loro un sufficiente grado di intercambiabilità”.

Secondo la Corte, il giudice nazionale, nel valutare l’eventuale ingannevolezza della comparazione dei prezzi per un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, deve considerare alcuni aspetti:

1 – l’omissione di marchi rinomati dei prodotti, se possono condizionare sensibilmente la scelta dell’acquirente e se il confronto riguardi prodotti concorrenti i cui rispettivi marchi presentino una notevole differenza in termini di notorietà.

Da ciò si desume l’inammissibilità, per esempio, della comparazione tra un prodotto di marca e un prodotto, pur simile in apparenza, a marchio del distributore (private label).

2 – La rappresentatività della comparazione del livello generale dei prezzi praticati dal venditore rispetto ai listini del suo concorrente.

Ne consegue l’ingannevolezza di una pubblicità comparativa su una serie di prodotti-civetta se la generalità dei prodotti dell’inserzionista non sia effettivamente meno cara rispetto al concorrente. 

3 – La significatività del gruppo di prodotti selezionati ai fini del condizionamento della scelta del consumatore medio (se andare a fare la spesa in un supermercato rispetto a un altro).

Non basta insomma ventilare un risparmio su caffè e acqua minerale: il paniere dei prodotti considerati dev’essere ragionevolmente ampio.

Inoltre i prodotti oggetto di comparazione devono essere indicati in maniera precisa, per permettere al consumatore di individuarli e verificare l’esattezza dei prezzi riportati nella pubblicità.

In conclusione la Corte di giustizia, nel confermare la possibilità di comparare i prezzi di prodotti alimentari anche non identici, ha indicato una serie di cautele da tener presenti perché le informazioni siano valide e non ingannevoli per il consumatore. Raccomandazioni utili a prevenire eventuali contestazioni di scorrettezza e promuovere lo sviluppo di apposite buone prassi.

Dario Dongo, con la collaborazione di Paolo Cappelletti

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