Negli ultimi anni, diversi studi hanno sottolineato che il pesce selvatico è ormai in pericolo quasi ovunque, perché anni e anni di pesca indiscriminata e sempre più aggressiva unita agli effetti del crescente inquinamento ne hanno depauperato a volte irrimediabilmente i banchi, e impedito il normale avvicendamento delle generazioni.
Ma è proprio così? La risposta sembra essere no, affatto, stando a una delle più grandi analisi mai effettuate, condotta dai ricercatori di diverse università e istituzioni internazionali e pubblicata su PNAS. Lo studio ha preso in esame i dati di 1.063 popolazioni di pesce di 70 paesi contenuti nei principali database internazionali, pari a circa la metà del totale del pescato, giungendo a conclusioni poco scontate.
La prima, e forse più importante, riguarda proprio il ruolo del monitoraggio. Dove è presente, i banchi sono in buona salute e non di rado in crescita, mentre nei paesi che non hanno o comunque non mettono a disposizione della comunità internazionale i dati, come nelle aree del Sud Est asiatico, il rischio di depauperamento è molto più alto. Ciò perché il controllo delle singole aree consente di programmare la pesca in base alla situazione dei pesci, alle esigenze della popolazione e al tipo di flotta.
La seconda è la buona notizia, perché gli stock controllati non solo non sono in sofferenza ma, in media, sono in crescita.
In generale la consistenza delle popolazioni di pesce pescato è stata altalenante fino agli anni Settanta, periodo in cui si è iniziato a notare in molti mari un pericoloso declino. Proprio per questo in quegli anni è iniziata una politica incentrata su una gestione più razionale dei prelievi, che si è diffusa in un numero crescente di paesi controllati anche dalla FAO. Alla fine sono arrivati risultati molto incoraggianti, per quanto riguarda la sostenibilità e il futuro della pesca.
I progressi principali si sono avuti negli ultimi anni, perché si è passati dal 20% dei banchi monitorati nel 2009 all’attuale 49%, e perché sono migliorate le tecnologie e le comunicazioni tra i sistemi utilizzati nei diversi Paesi. Stati come il Perù, il Cile, la Russia, il Giappone, alcuni paesi dell’Africa nordoccidentale, del Mediterraneo e del Mar Nero sono entrati a far parte del sistema principale, il RAM Legacy Stock Assessment Database. Oggi ci sono dati relativi a 880 di stock ittici, e si possono elaborare previsioni in base a fotografie sempre più precise, e capire con maggiore accuratezza dove è possibile continuare a pescare, o aumentare la quantità di pesce prelevato, e dove è meglio rallentare o diminuire.
Restano gli interrogativi su grandi e importanti paesi quali la Cina, l’India e l’Indonesia che, da soli, rappresentano tra il 30 e il 40% dei banchi. Su queste aree le informazioni sono poche ed è comunque difficile avere idee chiare, anche perché le flotte di pescherecci sono piccole e quasi mai riunite in consorzio associazioni. La speranza è che, vedendo quanto il monitoraggio aiuti la pesca e le assicuri un futuro, anche questi paesi possano cambiare atteggiamento e iniziare a collaborare con il resto del mondo.
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Giornalista scientifica