Basta con la pubblicità che offende la dignità della donna! Sull’onda di questo slogan, il ministero delle Pari Opportunità ha stipulato un accordo con l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria per contrastare l’uso offensivo dell’immagine femminile. Per raggiungere lo scopo, il ministro Mara Carfagna si è impegnato a denunciare le pubblicità ritenute violente o lesive della dignità, mentre l’Istituto ha promesso di effettuare le verifiche con la massima celerità.
Anche il comitato “Pari o dispare” sul quotidiano il Manifesto ha lanciato un’iniziativa simile, per cambiare i messaggi e le pubblicità che usano in modo inappropriato il corpo femminile.
Finalmente le istituzioni e i cittadini si mobilitano contro l’uso strumentale e volgare di certe immagini sempre più presenti anche negli spot dei prodotti alimentari come abbiamo già documentato pochi mesi fa.
C’è però un dettaglio ignorato dai più. In Italia non esiste un‘autorità pubblica in grado di multare chi nella pubblicità calpesta la dignità della donna. L’iniziativa del ministro Carfagna è lodevole, ma carente perché in base all’accordo, l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria potrà solo interrompere i messaggi ritenuti volgari più celermente rispetto ai tempi attuali.
Tutti sappiamo che quando questi spot invadono le televisioni o tappezzano con i manifesti le strade cittadine, scatenano subito polemiche, attirano l’attenzione e fanno bingo perché la campagna raggiunge lo scopo di farsi notare. La soluzione davvero efficace consiste nel modificare il regolamento dell’Antitrust e permettere l’avvio di interventi d’ufficio contro questi messaggi , come si fa con le altre pubblicità. La differenza è sostanziale perché arriverebbero subito le prime multe e i furbetti che giocano con le signore un po’ scollate rischierebbero pesanti sanzioni, non un semplice richiamo come adesso.
Per capire basta fare un esempio e ipotizzare uno spot sulla maionese che evidenzia il primo piano un fondo schiena femminile, abbinato a scene lesive della dignità femminile.
Adesso sulla base dell’accordo stipulato dal ministero delle Pari opportunità, nell’arco di qualche settimana lo spot potrebbe essere censurato dal Giurì senza multe o sanzioni, e nulla vieta che la seconda puntata venga proposta dopo qualche mese.
Se invece venisse modificato il regolamento dell’Antitrust, dando la possibilità di intervenire contro i messaggi volgari, lo spot dopo qualche mese verrebbe censurato e l’azienda dovrebbe pagare una multa onerosa (oltre 100 mila euro) con incrementi progressivi in caso di recidiva.
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