La notizia di un numero elevato di bambine di 1-2 anni a cui è cresciuto il seno dopo avere assunto omogeneizzati, apparsa su quotidiani come Repubblica, il Giornale.it e Libero.it va ridimensionata. Purtroppo la vicenda è rimbalzata sui siti internet e si è diffusa rapidamente creando un certo scompiglio. Vediamo qual è la situazione.
Il procuratore della repubblica di Torino, Raffaele Guariniello, sta effettuando un’indagine su 106 casi di telarca precoce, registrati dal reparto di endocrinologia dell’ospedale infantile Regina Margherita Sant’Anna di Torino negli ultimi due anni in bambine di 12-24 mesi. Per questo motivo, il procuratore ci ha confermato questa mattina la notizia che è in corso l’analisi di alcuni campioni di omogeneizzati, liofilizzati e anche su partite di carne, per individuare eventuali tracce di ormoni o di altre sostanze in grado di influire sull’equilibrio ormonale delle bambine. Per capire meglio la situazione bisogna però fornire alcuni elementi altrimenti si fa solo allarmismo.
«Il telarca precoce – precisa Roberto Lala responsabile del reparto di endocrinologia dell’Ospedale Regina Margherita Sant’Anna di Torino – è un segnale di mini pubertà che si manifesta con la crescita di un bottoncino a livello del seno nelle bambine di 12-24 mesi che scompare dopo qualche mese senza problemi. Rileviamo circa 50 casi l’anno e non abbiamo registrato incrementi o anomalie negli ultimi mesi. Per essere precisi – continua Lala – in ospedale registriamo solo 1-2 casi l’anno dove il telarca precoce rappresenta un problema collegato a malattie di tipo genetico o altre anomalie. In tutti gli altri casi si può pensare a una causa di tipo ambientale visto che perturbatori endocrini come ftalati, bisfenolo, alcuni pesticidi e decine di composti chimici in grado di svolgere un’azione sugli ormoni, sono presenti in centinaia di oggetti di uso comune. C’è anche la possibilità di una causa alimentare dovuta all’uso di prodotti di origine animale con residui di sostanze ormonali derivanti da trattamenti illeciti negli allevamenti bovini».
In realtà l’unico sistema per capire se esiste una causa scatenante o se questa alterazione rientra nella normalità, sarebbe fare un collegamento tra il cibo proposto alle bambine dopo lo svezzamento, gli eventuali momenti di contatto con oggetti o prodotti contenenti interferenti endocrini e altre sostanze capaci di disturbare l’equilibrio ormonale, considerando anche la presenza sul territorio di trattamenti illeciti negli allevamenti bovini.
«Il collegamento tra la sanità pubblica veterinaria e la medicina umana – precisa Gandolfo Barbarino, esperto di prevenzione e veterinaria della Regione Piemonte – andrebbe incentivato, perché spesso esiste una forte correlazione tra le attività di controllo ufficiale sugli alimenti di origine animale e le evidenze dell’epidemiologia medica».
«La questione dei trattamenti illeciti negli allevamenti per incrementare il peso degli animali non è un problema risolto – precisa Maria Caramelli direttore dell’Istituto zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Analizzando i risultati del piano di rilevazione nazionale si ha la sensazione che gli illeciti siano in via di estinzione. Questo accade perché i sistemi analitici tradizionali non permettono di individuare la furberia, quando il prelievo viene fatto a distanza di qualche giorno dal trattamento con ormoni. Il nostro istituto ha messo a punto una metodica immunoistochimica, in grado di dimostrare se al bovino sono state somministrate sostanze vietate a base di estrogeni. Il metodo si basa sull’individuazione di un marker prodotto in eccesso nelle ghiandole bulbouretrali, come conseguenza del trattamento. La rilevazione di questa molecola permette di smascherare senza ombra di dubbio le sofisticate tecniche utilizzate per aumentare il peso degli animali».
Per precisione va detto che i prodotti destinati a piccoli da 0 a 3 anni seguono una legislazione molto più restrittiva rispetto a quella degli adulti, studiata per tutelare meglio la salute di lattanti e bambini. C’è un altro episodio da ricordare, nel 2003-2005 una serie di controlli realizzati presso aziende di omogeneizzati su disposizione dalla Procura di Torino, si sono conclusi in modo positivo, senza riscontrare anomalie e constatando la certificazione sull’assenza di estrogeni per ogni partita di prodotto.
Come si vede il tema è complesso e va trattato con una certa attenzione senza creare inutili allarmismi. Aspettiamo l’esito delle analisi ma nel frattempo non è il caso di inventarsi epidemie o altri eventi strani.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24