La farsa di Coldiretti sul “segreto di stato” dei cibi stranieri. Ennesima sceneggiata destinata a riempire i giornali di titoli a effetto
La farsa di Coldiretti sul “segreto di stato” dei cibi stranieri. Ennesima sceneggiata destinata a riempire i giornali di titoli a effetto
Roberto La Pira 24 Aprile 2019Coldiretti è una lobby che si autodefinisce “la principale organizzazione agricola a livello nazionale ed Europeo che rappresenta le imprese agricole, i coltivatori diretti, gli imprenditori agricoli professionali, le società agricole, le imprese e gli imprenditori ittici, i consorzi, le cooperative, le associazioni e ogni altra entità e soggetto operante nel settore agricolo, ittico, agroalimentare, ambientale e nell’ambito rurale, a livello nazionale, europeo ed internazionale”.
La premessa, anche se noiosa, è necessaria per capire la sentenza del Consiglio di Stato del 6 marzo 2019, che concede a Coldiretti l’accesso ai dati delle aziende relativi ai flussi commerciali del latte e dei prodotti lattiero caseari provenienti dall’estero nel secondo trimestre del 2017. Il documento ribalta il parere espresso due anni prima dal Tar. Per questo motivo il ministero della Salute ha inviato a mille aziende una lettera, per chiedere l’autorizzazione alla diffusione dei dati relativi agli acquisti e ai fornitori di latte e prodotti lattiero caseari, con l’intento di redigere una lista da consegnare a Coldiretti. L’elenco delle aziende interessate vede in cima Barilla, Ferrero e Unilever che hanno acquistato burro, latte in polvere e derivati del latte per preparare i biscotti Mulino Bianco, le merendine Kinder e i gelati Algida.
Lo scopo dell’iniziativa, secondo la lobby, dovrebbe “mettere fine all’inganno dei prodotti stranieri spacciati per italiani ma anche per consentire interventi più tempestivi in caso di allarmi alimentari che provocano gravi turbative sul mercato ed ansia e preoccupazione nei consumatori, a fronte all’impossibilità di conoscere la provenienza degli alimenti coinvolti”. Questa mancanza di trasparenza, prosegue Coldiretti “ha favorito anche il verificarsi di inganni a danno di prodotti simbolo del Made in Italy ma anche aumentato i rischi di frodi con le notizie di reato nel settore agroalimentare che hanno fatto registrare un balzo del 59%”. Peccato che la percentuale sia un dato a effetto, estrapolato dal contesto, che non considera i ritiri, i richiami e i problemi dei prodotti segnalati in Italia dalle nostre autorità sanitarie e quelli segnalati dalle autorità straniere sui nostri prodotti esportati.
Di fronte a tante storielle c’è da restare allibiti. Basta avere un minimo di conoscenza del settore alimentare, per capire quanto sia assurda la richiesta di Coldiretti e ancor di più il parere del Consiglio di Stato. L’Italia “alimentare” è un Paese di aziende trasformatrici, che devono importare materie prime perché il Paese non ne produce a sufficienza. Ogni anno il 40-60% dell’olio extravergine di oliva imbottigliato in Italia (considerato fra i migliori al mondo) è importato, il 30% del grano duro per fare la pasta (considerata fra le migliori al mondo) è importato, una quota rilevante della carne bovina e anche di latte e derivati arriva dall’estero perché la produzione interna non copre il fabbisogno nazionale. Di fronte a questi dati qual è il senso della richiesta di Coldiretti. Anche la supposta confusione dell’origine degli ingredienti è un concetto molto aleatorio. Tutti i prodotti che utilizzano materia prima 100% italiana lo scrivono in etichetta, mentre olio, carne, latte, uova, ortofrutta, pesce, miele, riso, pasta e pomodoro devono indicare in etichetta l’origine.
C’è un altro elemento da considerare, Coldiretti ha rappresentanti in molti consigli di amministrazione di grandi cooperative produttrici di latte e prodotti lattiero-caseari. Se venisse davvero redatta una lista come chiede il ministero della Salute, Coldiretti avrebbe accesso a dati sensibili sui clienti, sui prodotti e sulle produzioni di altre aziende concorrenti. È questo aspetto non può essere ignorato perché creerebbe qualche problema.
Siamo di fronte a una situazione assurda e per questo probabilmente le aziende coinvolte risponderanno al ministero della Salute dicendo che l’elenco dei fornitori, come pure gli altri elementi richiesti, sono dati sensibili che non si possono diffondere, tanto più a Coldiretti, presente con i suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione di concorrenti.
Un pasticcio all’italiana portato avanti da una lobby che in Italia gode di un trattamento speciale al pari di un’associazione di consumatori. Questa storia, destinata a risolversi con un nulla di fatto, è l’ennesimo episodio di una farsa che si ripete periodicamente, dove Coldiretti recita e giornali e media fanno da cassa di risonanza alla commedia senza capire bene di cosa si tratti.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Coldiretti fa il suo gioco e su questo non ci piove. A mio avviso, però, tralasciate qualche aspetto
– La dicitura paesi UE e non UE non dice di fatto nulla. In un periodo come questo, mi sembra sacrosanto sapere il paese specifico.
– L’Italia è un paese di trasformatori ma non vuol dire che questo debba essere così per sempre. Aumentare la produzione agricola nazionale, oltre a portare più lavoro, permetterebbe un migliore accesso ai cosiddetti km zero e ridurrebbe drasticamente l’inquinamento dovuto ai trasporti internazionali, il consumo di combustibili fossili, il traffico ecc.
L’import di olio a basso costo porta all’abbandono della coltivazione deli oliveti ad esempio.
Insomma, a prescindere dalle qualità intrinseche al cibo ( su cui la provenienza non influisce ceteris paribus se non dal lato di ipotetica conservazione), più la produzione è vicina al consumo e meglio è per tutti, consumatori, pianeta, lavoratori.
Anche se con metodi poco ortodossi, il fine di coldiretti mi pare giusto. Il Made in Italy è dicitura abusata quando le provenienze delle materie prime non sono nazionali.
Aggiungiamoci la deleteria tendenza delle aziende trasformatrici all’uso di ingredienti internazionali e non locali ( di cui il palma è l’esempio principe) e abbiamo un bel quadretto in cui, per le aziende stesse, non è più necessario procurarsi la materia prima locale.
La legge Ue non individua con precisione l’origine è vero, ma le aziende che usano materie prime italiane lo possono scrivere in etichetta e lo fanno, per cui non servono leggi e rivelazioni di Stato. Per individuare gli italiani che fanno i furbi non serve dare l’elenco a Coldiretti ma solo fare controlli presso le aziende. Certo che possiamo aumentare la produzione di materie prime nazionali ma dipenderemo sempre dall’estero perché le quantità che ci servono sono troppo elevate.
Credo che sia sempre necessario cercare di vedere le cose come stanno e non come si vorrebbe che fossero. Altrimenti ci si fanno delle grandi illusioni.
1- In un momento come questo o un altro l’Italia è sempre stato un Paese povero, l’agricoltura non ha mai creato grandi ricchezze. Pochissimi latifondisti/proprietari terrieri potevano vivere di rendita. Qualcuno si ricorda il perché delle grandi migrazioni degli Italiani a partire dalla fine dell’800? Perché gli agricoltori facevano la fame. Il contadino vive in una perenne condizione di instabilità. In tutto il mondo, che siano i neo super protezionisti Usa sia l’Ue l’agricolture esiste solo perché è sovvenzionata.
2- Fin dai tempi dell’Impero romano il grano necessario per sfamare i Romani arrivava … dall’Egitto.
Oggi, spesso, le sorti delle campagne si reggono sugli immigrati sfruttati, sottopagati e schiavizzati. Qualcuno crede che l’agricoltura potrebbe andare a creare nuovi posti di lavoro? Sarebbe meglio andare a leggere meglio i numeri che riguardano l’agricoltura, il numero di addetti, le dimensioni delle aziende agricole, i redditi medi, i compensi agli addetti, i etc. Poi ne possiamo riparlare.
3- Si, l’Italia è un Paese di trasformatori e la trasformazione ‘dovrebbe’ essere la sua forza (sulla trasformazione si è basata la crescita industriale del II dopoguerra).
Per quanto riguarda il settore agro alimentare, quando le produzioni nazionali vengono portate fuori dall’Italia vengono vendute a prezzi più alti, garantendo profitti più elevati; se molte aziende del settore agro alimentare possono continuare ad esistere è solo perché hanno puntato sulle esportazione. Se avessero dovuto basarsi sui numeri del mercato italiano sarebbero morte.
Chilometro zero? Aumentare la produzione nazionale? Alle condizioni di lavoro/trattamento/compensi di cui sopra? Mah!
Non sottovalutiamo poi le condizioni geomorfologiche e climatologiche della penisola.
4- Le aziende trasformatrici non hanno la ‘deleteria tendenza’ all’uso di ingredienti internazionali e non locali; esse vanno a rifornirsi all’estero perché le quantità nazionali sono insufficienti (e.g. olio d0oliva, maiali), perché non vengono prodotte in Italia (e.g. caffè, cacao). (Anche) fuori dall’Italia ci sono materie prime e prodotti di qualità.
5- Last but not least non vorrei che qualcuno volesse, o stia aspettando di, ritornare ai bei tempi del lanital e del caffè di cicoria.