Sono un produttore di latte di capra biologico e vorrei cominciare a trasformare il mio latte certificato in formaggi diversi per poi immetterli sul mercato. Per la trasformazione ho pensato a un caseificio esterno che però non è certificato per la lavorazione del latte bio.
A questo punto mi domando se posso scrivere nell’etichetta dei formaggi preparati che è stato utilizzato latte biologico certificato prodotto nella nostra fattoria senza mai scrivere che il formaggio è biologico.
Ho chiesto un parere all’ente di certificazione ma mi dice che non è possibile in quanto sull’etichetta del formaggio “convenzionale” non può essere fatto alcun riferimento al tipo di latte impiegato. Successivamente mi hanno indirizzato al Nas che però non dà risposte di chiarimento. Mi hanno poi inviato all’Asl che non sa esprimere pareri in merito.
Potete aiutarmi a capire
Giampietro
Ecco la risposta di Roberto Pinton, segretario di AssoBio.
Le uniche opzioni per poter commercializzare come biologico un prodotto ottenuto da una produzione conto terzi sono:
a) L’azienda di trasformazione è sottoposta a regime di controllo per l’agricoltura biologica a cura di uno degli organismi di controllo autorizzati (non necessariamente lo stesso che controlla il committente che fornisce la materia prima);
b) A condizione che lavori come biologica esclusivamente la materia prima biologica del committente, in via episodica e non continuativa, l’azienda di trasformazione è inserita da parte del committente nella notifica di attività, eventualmente con atto di variazione (concettualmente è come se si trattasse di una distinta unità locale del committente).
Nel caso b) tra le parti andrà stipulato un contratto di lavorazione conto terzi in base al quale l’azienda di trasformazione mette a disposizione la propria struttura, i propri impianti e, se del caso, il proprio personale, per la trasformazione (più eventuale maturazione, conservazione, più ogni altro processo) dei prodotti che vanno identificati.
Il contratto è subordinato all’approvazione da parte dell’organismo di controllo del committente (al quale è opportuno rivolgersi in anticipo, in genere dispone di fac-simile del contratto), che la ritirerà qualora nel corso delle visite ispettive emergano evidenze di non conformità. Nel contratto l’azienda di trasformazione si impegnerà al rispetto delle disposizioni normative vigenti, a prevedere nel proprio piano Haccp e ad applicare ogni misura tesa a escludere cross contaminazioni tra produzione convenzionale e biologica.
L’azienda di trasformazione si impegnerà a garantire agli ispettori dell’organismo di controllo libero accesso a locali, impianti e attrezzature destinate alla preparazione dei prodotti oggetto del contratto, ai fini delle verifiche e del campionamento, così come a rendere disponibile tutta la pertinente documentazione richiesta per l’attività di vigilanza (ricetta da approvare, contabilità di magazzino, registri di lavorazione eccetera).
Ovviamente le lavorazioni dovranno essere separate nel tempo (quindi per data e/o orario) o nello spazio (linea di produzione distinta) e sia materia prima che semilavorati e prodotti finiti dovranno essere in qualsiasi momento chiaramente identificati. L’organismo di controllo dovrà essere informato di ogni lavorazione con un preavviso concordato, potendo così organizzare le sue visite ispettive.
Se l’attività di trasformazione non è occasionale o saltuaria, ma regolare, è il caso che l’azienda di trasformazione si sottoponga direttamente al regime di controllo (non necessariamente presso lo stesso organismo di controllo.
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[sostieni]
Secondo voi è normale che sia i NAS che le ASL non siano in grado di dare una risposta?
Che risposta darebbero se fossero chiamati a controlli ufficiali?
Sono enti che hanno il “potere” di chiudere aziende.
Chi forma i “controllori”?
I “controllori” sono formati?
Chi verifica la formazione dei “controllori”?
Ma soprattutto che potere ha il produttore nei riguardi di codesti livelli di formazione?
Hai ragione!
Mi pare proprio che la risposta non sia orientata nella direzione che chiedeva il produttore. Il produttore di latte di capra bio non voleva vendere formaggio biologico ma voleva potere scrivere che il latte con con cui è fatto il formaggio (non bio) è biologico, che corrisponde a verità. Chiedeva come andare in questa direzione. Assobio non è l’organizzazione giusta per chiedere di formaggio non bio.
Quando scriìvi “BIO” vole dire solamente che esite una certificazione, ovvero qualcuno che certifica il fatto.
Questo qualcuno è come il meccanico ceh fa le revisione, c’è chi le fa con molta accuratezza e chi ti fa spendere meno.
Secondo me si può scrivere che il formaggio è “con latte bio o “con solo latte bio” che sono claim pubblicitari per acquisire clientela dando un plus valore al prodotto.
Nel primo caso occorre indicare almeno la quantità % , nel secondo dimostrare che la preparazione è separata da altre preparazioni e che non c’è possibilità di avere produzioni miste ( cross contamination).
In pratica occorre avere uno stabilimento a parte.
Tutto sta se si è in grado di dimostrare tutto ciò a partire dai documenti di consegna latte.
naturalmente non si potrà esporre nessun marchio che richiami la certificazione biologica.
La ‘risposta’ non è congrua con la domanda:
“A questo punto mi domando se posso scrivere nell’etichetta dei formaggi preparati che è stato utilizzato latte biologico certificato prodotto nella nostra fattoria senza mai scrivere che il formaggio è biologico.”
E la domanda mi inquieta: davvero non si può scrivere??
Se chi scrive citasse anche le norme a sostegno delle affermazioni si potrebbero anche evitare polemiche inutili
Non concordo con l’interpretazione della norma, anzi a dirla in breve non credo che il Reg. 834/2007 sia pertinente in quanto relativo alla produzione e all’etichettatura dei prodotti biologici. In questo caso l’oggetto del dibattito è l’etichettatura di un prodotto che non è dichiarato biologico, ma di cui si vuole dare informazione al consumature di una caratteristica relativa ad un suo ingrediente.
Per altro lo stesso regolamento nelle considerazioni inziali recita:
“(19)I prodotti biologici trasformati dovrebbero essere ottenuti mediante procedimenti atti a garantire la persistenza dell’integrità biologica e delle qualità essenziali del prodotto in tutte le fasi della catena di produzione.”
“20)Gli alimenti trasformati dovrebbero essere etichettati comebiologici solo quando tutti o quasi tutti gli ingredienti diorigine agricola sono biologici. Si dovrebbero tuttaviaprevedere disposizioni speciali di etichettatura per glialimenti trasformati comprendenti ingredienti di origineagricola che non si possono ottenere con metodi biologici,come nel caso dei prodotti della caccia e della pesca. Inoltre,ai fini dell’informazione dei consumatori, della trasparenzadel mercato e per stimolare l’uso di ingredienti biologici, sidovrebbe anche consentire, a determinate condizioni, diinserire nell’elenco degli ingredienti riferimenti alla produ-zione biologica.”
E’ chiaro quindi che l’intenzione del legislatore non è quella di escludere la possibilità di spendere la caratteristica biologica dell’ingrediente del prodotto trasformato.
Chiedo scusa, non tenevo sotto controllo il post.
Se la domanda era proprio “posso scrivere su un formaggio non certificato biologico che è fatto con latte biologico”, cito Andrea Ricci, “NO, davvero non si può scrivere”. Un produttore di macedonia di frutta desidera evidenziare che la pera (e solo la pera) che usa è biologica? Deve assogettare al sistema di controllo la sua attività; se non desidera farlo, deve astenersi dall’indicare la caratteristica biologica anche nell’elenco ingredienti.
In etichetta il termine “biologico” non è libero, ma è riservato ad aziende in sistema di controllo (proprio come non si può etichettare come Parmigiano Reggiano un formaggio non sottoposto al sistema di controllo del Parmigiano Reggiano).
Accontento il sig. Coppolino con il riferimento alle norma, reg.834/2007, articolo 23 (Uso di termini riferiti alla produzione biologica)
1. Ai fini del presente regolamento, si considera che un prodotto riporta termini riferiti al metodo di
produzione biologico quando, nell’etichettatura, nella pubblicità o nei documenti commerciali, il prodotto
stesso, i suoi ingredienti o le materie prime per mangimi sono descritti con termini che suggeriscono
all’acquirente che il prodotto, i suoi ingredienti o le materie prime per mangimi sono stati ottenuti
conformemente alle norme stabilite dal presente regolamento. In particolare i termini elencati nell’allegato,
nonché i rispettivi derivati e abbreviazioni, quali «bio» e «eco», possono essere utilizzati, singolarmente o in
abbinamento, nell’intera Comunità e in qualsiasi lingua comunitaria, nell’etichettatura e nella pubblicità di
prodotti che soddisfano le prescrizioni previste dal presente regolamento o stabilite in virtù del medesimo.
(…)
2. I termini di cui al paragrafo 1 non vanno utilizzati in alcun luogo della Comunità e in nessuna lingua
comunitaria, nell’etichettatura, nella pubblicità e nei documenti commerciali di prodotti che non soddisfano le prescrizioni del presente regolamento, salvo qualora non si applichino a prodotti agricoli in alimenti o
mangimi o non abbiano chiaramente alcun legame con la produzione biologica.
(…)
Articolo 24 (Indicazioni obbligatorie)
1. Se sono usati i termini di cui all’articolo 23, paragrafo 1:
a) compare sull’etichetta anche il numero di codice di cui all’articolo 27, paragrafo 10, dell’autorità o
dell’organismo di controllo cui è soggetto l’operatore che ha effettuato la produzione o la
preparazione più recente;
(…)
Articolo 28
Adesione al sistema di controllo
1. Prima di immettere prodotti sul mercato come biologici o in conversione al biologico, gli operatori che
producono, preparano, immagazzinano o importano da un paese terzo prodotti ai sensi dell’articolo 1,
paragrafo 2, o che immettono tali prodotti sul mercato:
a) notificano la loro attività alle autorità competenti dello Stato membro in cui l’attività stessa è
esercitata;
b) assoggettano la loro impresa al sistema di controllo di cui all’articolo 27.
(…)
L’operatore che subappalti a terzi una delle attività è nondimeno soggetto ai requisiti di cui alle lettere a) e b) e le attività subappaltate sono soggette al sistema di controllo.
Quindi si può scrivere che un gelato è fatto con pistacchi di Bronte, ma non con latte bio; che una pizza è fatta con bufala campana dop, ma non con mozzarella bio; che una merenda contiene parmigiano reggiano ma non latte bio … E la ratio di ciò qual è?
Non è esattamente come sostiene Andrea Ricci.
In base al decreto legislativo 297/2004 (Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari), chiunque impieghi commercialmente in maniera diretta o indiretta in un prodotto elaborato o trasfomato una denominazione protetta, è sottoposto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro duemilacinquecento ad euro sedicimila.
Non costituisce violazione il riferimento alla denominazione protetta nel solo elenco ingredienti di un prodotto confezionato (non in denominazione di vendita), nè, naturalmente, una produzione autorizzata dal Consorzio di tutela della denominazione protetta riconosciuto, che deve attivare ed aggiornare un apposito registro.
In altre parole, si può fare riferimento in denominazione a “Gelato al Pistacchio di Bronte” solo se autorizzati dal Consorzio di tutela (nulla osta, invece, a denominare il prodotto “Gelato al pistacchio” e indicare soltanto in elenco ingredienti “pistacchio di Bronte XX%”).
C’è quindi una piccola differenza:
a) in un prodotto che non sia sottoposto ai controlli dell’organismo incaricato è sanzionabile ogni riferimento in denominazione di vendita alla denominazione o al biologico, allo stesso modo;
b) in un prodotto che non vi faccia riferimento in denominazione (nè con claim distinti nè immagini evocative), l’indicazione in elenco della veritiera caratteristica DOP o IGP di un ingrediente è lecita; qualora s’intenda precisare che l’ingrediente è biologico, bisogna che l’azienda sia sottoposta al controllo di un organismo autorizzato, e questo indipendentemente dal quid dell’ingrediente biologico.
(artt. 23 e 24 del reg.834/2007)
E’ del tutto certo che il produttore non può scegliere la modalità che più gli aggrada, come ventila per ipotesi Angelo: ICQRF e NAS (al di là di quanto riferisce Giampietro, in genere preparati) non avrebbero dubbi nell’elevare verbale.
E’ un post che suscita un vivace scambio di vedute, di interpretazioni e di opinioni. Quello che però continua a lasciare me letteralmente allibito è che, a quanto indicato dal produttore di formaggio, i NAS e le ASL abbiano risposto con un emblematico “BOH”!!!!
Da ciò ne deduco, provocatoriamente parlando, che il produttore possa scegliere la modalità che più gli aggrada, tanto i controllori non sanno se è giusta o sbagliata!!!!
Ma in che razza di Paese viviamo?
Buongiorno,
lo scambio di opinioni lascia il tempo che trova, l’unica risposta corretta è quella che Roberto Pinton aveva fornito dall’inizio. Il termine “biologico”, per i prodotti compresi nel campo di applicazione del Reg. 834/07, può essere utilizzato soltanto se si è inseriti nel sistema di controllo per tutta la filiera. Le ASL si occupano di sicurezza alimentare e solitamente non hanno una formazione né una competenza specifica in materia di etichettatura alimenti. Presso altri organi di controllo ci potrebbero essere soggetti specializzati in un settore o nell’altro, probabilmente l’ufficio interpellato non aveva particolari competenze in materia di biologico. In ogni caso non sono autorità tenute a fornire consulenza, perché di questo si sta parlando. Si fa tanta polemica sui conflitti di interessi degli organismi di controllo privati e poi si chiede la consulenza alle autorità di controllo, che hanno il compito di sanzionare i comportamenti scorretti. E’ come andare dal giudice a chiedere se si può compiere un reato, o dalla polizia stradale a chiedere se si può guidare senza patente. In Italia c’è un grande problema di sovraffollamento normativo e di scarsa chiarezza delle norme, che va sicuramente combattuto e corretto. Tuttavia ognuno deve essere responsabile del proprio operato. Se uno vuol essere imprenditore nel settore alimentare, deve documentarsi, formarsi e rimanere aggiornato, come del resto in tutti gli altri settori. Mi sembra invece che si stia solo cercando di vantare in etichetta caratteristiche che non possono essere vantate, per risparmiare sui costi di certificazione, con la scusa dell’ignoranza della legge. In aggiunta a quanto correttamente illustrato da Roberto Pinton, faccio notare che non è nemmeno ammesso inviare latte biologico sfuso (ad esempio in autocisterna), ad uno stabilimento non controllato, mantenendo la qualifica “latte biologico”. Reg. 834/07 art. 31:
1. Gli operatori garantiscono che i prodotti biologici siano trasportati ad altre unità, compresi i grossisti e i dettaglianti, solo in
imballaggi, contenitori o veicoli chiusi in modo che il contenuto non possa essere sostituito se non manipolando o
danneggiando i sigilli e a condizione che sia apposta un’etichetta che, oltre alle altre indicazioni eventualmente previste dalla
legge, indichi:
a) il nome e l’indirizzo dell’operatore e, se diverso da quest’ultimo, del proprietario o venditore del prodotto;
b) il nome del prodotto o, nel caso di mangimi composti, la loro descrizione, accompagnati da un riferimento al metodo
di produzione biologico;
c) il nome e/o il numero di codice dell’autorità o dell’organismo di controllo a cui è assoggettato l’operatore e
d) se del caso, l’identificazione del lotto attraverso un sistema di marcatura approvato a livello nazionale, o dall’autorità
o organismo di controllo, che permetta di mettere in relazione il lotto con la contabilità descritta all’articolo 66.
Le informazioni di cui al primo comma, lettere da a) a d), possono anche figurare in un documento di accompagnamento che
deve inequivocabilmente corrispondere all’imballaggio, al contenitore o al mezzo di trasporto del prodotto. Il documento di
accompagnamento deve contenere informazioni sul fornitore e/o il trasportatore.
2. Non è richiesta la chiusura di imballaggi, contenitori o veicoli qualora:
a) il trasporto avvenga direttamente tra due operatori, entrambi assoggettati al regime di controllo relativo alla
produzione biologica,
b) i prodotti siano muniti di un documento di accompagnamento indicante le informazioni richieste al paragrafo 1 e
c) sia l’operatore speditore che l’operatore destinatario tengono i documenti relativi alle operazioni di trasporto a
disposizione dell’autorità o dell’organismo responsabili del controllo di tali operazioni.
Il latte “biologico” che arriva presso uno stabilimento (caseificio) non controllato, in ogni caso nel momento in cui si apre la cisterna perde la qualifica di “biologico”. Quindi il caseificio in nessun caso può dichiarare di aver utilizzato latte biologico.