I prodotti alimentari sostitutivi della carne sono sempre più diffusi in tutti i supermercati. Le tipologie aumentano continuamente e anche lo spazio occupato sugli scaffali perché gli acquirenti non sono solo vegetariani e vegani, ma tanti consumatori attenti alla propria salute. Dall’edizione 2018 del Rapporto Coop sui consumi degli italiani emerge infatti che “un italiano su cinque dichiara di seguire una dieta biologica o salutistica, ricca di verdura, frutta e povera di carne e zuccheri”.
I motivi che spingono verso la scelta vegetariana, o anche solo la riduzione del consumo di carne, rientrano in tre filoni: quello salutistico, quello ecologista e quello etico. Una dieta sana – sostengono i nutrizionisti – deve comprendere una quota elevata di alimenti di origine vegetale, mentre quelli animali devono essere ridotti. Il consumo di alimenti di origine animale comporta d’altra parte un forte impatto sull’ambiente: secondo un rapporto Fao del 2006, il 70% di tutti i terreni agricoli sono destinati all’allevamento (come pascolo o per la produzione di foraggio). Gli allevamenti inoltre producono il 14,5% dei gas serra su scala globale (fonte Fao).
Chi è mosso da principi etici e vuole ridurre al minimo le sofferenze e lo sfruttamento degli animali si orienta di solito verso le scelte più rigorose, fino al veganismo. Mentre nell’ultimo anno è diminuito il numero di chi si dichiara vegano, le vendite di sostituti della carne sono aumentate, perché molti “carnivori” consumano ogni tanto, questi piatti pronti. Non sempre però si tratta di una scelta conveniente.
Prendiamo per esempio i burger vegetali, le cui vendite generano un terzo del fatturato del mercato “vegetariano” nella grande distribuzione (39 milioni di euro su 120, in base ai dati IRI). La composizione varia notevolmente: nella maggior parte dei casi sono completamente prive di ingredienti di origine animale, ma alcuni contengono formaggio o albume d’uovo. Alcuni burger sono a base di verdure, altri di legumi come piselli, lenticchie o fagioli, di proteine del grano (il seitan), oppure, più raramente di proteine ricavate dai funghi (micoproteine). Nei casi più frequenti la componente proteica è fornita da farina o polpa di soia. Per dare consistenza e un sapore più gradevole le polpette hanno spesso aromi, addensanti e stabilizzanti e, a volte, sono preparate con troppi grassi.
Il burger vegetariano Io Veg (La Brujita), a base di proteine di grano, ne contiene il 19%, come pure i burger biologici Coop a base di farina di soia ristrutturata e reidratata; ma si arriva al 23% per il i burger di soia e ceci a marchio Pam. Le polpette Coop e Pam sono prodotte da Kioene, azienda leader del settore in Italia, che produce anche per Esselunga, i burger Esselunga però, sempre a base di farina di soia ristrutturata e reidratata, contengono l’8% di grassi e il 16% di proteine, si tratta quindi di prodotti abbastanza bilanciati da un punto di vista nutrizionale. Sugli scaffali troviamo anche burger più “magri”, come quelli marchiati “Cottintavola” Riverfruit a base di verdure, che contengono 0,5 g di grassi e 4,2 g di proteine per 100 g, e assomigliano più a un contorno che a una pietanza.
Chi fa questa scelta per motivi salutistici deve quindi fare attenzione alle etichette. Se un burger costituisce la componente proteica del pasto, deve fornirne una quantità apprezzabile senza esagerare con i grassi. È vero che i grassi sono prevalentemente insaturi ed essendo vegetali non contengono colesterolo, ma il 20% è troppo.
Sul fronte dei prezzi ci sono tante sorprese. La soia e il grano sono materie prime certamente più economiche della carne, nonostante ciò i listini dei burger vegetali si avvicinano molto a quelli della carne, e spesso sono più cari. Sul sito Coop gli hamburger di bovino adulto costano circa 13 €/kg, quelli di soia biologici a marchio Coop arrivano quasi a 16 €/kg, i burger Granarolo (a base di soia) costano circa 15, mentre il prezzo dei prodotti a marchio Garden gourmet (Nestlè), a base di lenticchie, lievita sino a quasi 22 €/kg. Nei supermercati Esselunga, l’hamburger “basico” di bovino adulto in confezione da quattro pezzi viene venduto a 10 €/kg, mentre le polpette vegane con il marchio della catena costano 12,5 €/kg, i burger Kioene 15, quelli Zerbinati (a base di verdura), 12,7 €/kg, i Sojasun (a base di farina di soia) circa 16, quelli marchio Aia (con cereali, uovo, formaggio, glutine…) 19 €/kg, e quelli a marchio La Brujita 26,7. Se facciamo la spesa in un punto vendita specializzato, come NaturaSì, il costo nella maggior parte dei casi supera i 20 €/kg, anche perché gli ingredienti sono sempre certficati biologici.
Abbiamo chiesto una spiegazione ai responsabili di Kioene, azienda del gruppo Tonazzo (che da oltre cent’anni si occupa di commercio di carne) che, oltre a sfornare polpette per diverse catene, produce, con il proprio marchio, i burger vegetali più venduti.“Le materie prime dei nostri burger – fanno sapere – sono principalmente verdure di prima qualità, soia non ogm, farine di cereali e legumi, tutte da agricoltura italiana o europea. Il costo di alcune materie prime è spesso equivalente a quello di una carne di qualità media/alta, utilizzata per gli hamburger tradizionali. Tuttavia i costi maggiori riguardano il processo di lavorazione e la tecnologia in continua evoluzione (i burger di oggi sono parenti lontani rispetto a quelli di pochi anni fa). Lavorare proteine vegetali come la soia e renderla appetibile richiede un contributo tecnologico di altissimo livello, e notevole esperienza. Nuovi progetti sono allo studio per migliorare il profilo nutrizionale mantenendo la qualità organolettica elevata”.
La vera avanguardia per i burger “alternativi” sono quelli preparati con “carne finta” proposti dalle aziende americane Impossible Foods (leggi articolo) e Beyond Meat. Questa “carne” è frutto di ricerche che hanno richiesto notevoli investimenti. Il prodotto non è pensato per i vegetariani, che potrebbero essere disturbati dal sapore simile a quello della carne, ma per soddisfare la richiesta dei consumatori che amano la carne in un futuro, ormai vicino, in cui la domanda aumenterà e gli allevamenti intensivi non saranno “sostenibili”. Nei burger di Impossible Foods le proteine provengono da grano e patata, mentre i grassi sono di cocco. I prodotti contengono il gruppo “eme” estratto da una proteina della soia, ricco di ferro, che conferisce un sapore vicino a quello della carne vera.
Beyond Meat utilizza di farina di piselli come fonte proteica, i grassi sono quelli dell’olio di cocco e di canola, mentre il colore rosso è dato da succo di barbabietola. Per migliorare sapore e consistenza sono presenti aromi e stabilizzanti come cellulosa di bambù, metil cellulosa e glicerina vegetale. Queste polpette, negli Usa, sono vendute al supermercato, mentre nel nostro Paese si trovano nei ristoranti della catena Welldone Burger (hamburgerie gourmet). Qui le troviamo in panini “semplici” oppure “farciti” nello stesso modo e con gli stessi ingredienti degli hamburger di carne, e allo stesso prezzo: 9,90 e 13,50 per le due tipologie. “La proposta dei burger di Beyond Meat – fa sapere Andrea Magelli, fondatore di Welldone Burger – ha suscitato molta curiosità da parte di clienti vegani e vegetariani e anche delle persone abituate a mangiare quelli di carne. Passato lo stupore iniziale, si informano sulle caratteristiche del prodotto, sulla ricetta e sulle proprietà nutrizionali”.
In anni più recenti anche marchi come, Findus, Orogel, Granarolo e Beretta hanno iniziato a produrre “sostituti della carne”. Ma le imprese americane raccolgono interessi ben più importanti: Tyson Foods, la maggiore azienda Usa nel campo della carne, ha acquistato il 5% di Beyond Meat, mentre Bill Gates è fra i finanziatori sia di Impossible Food che di Beyond Meat.
Come si vede il settore dei “veg” continua a sfornare novità, anche se il rapporto sui consumi di Coop mostra per la prima volta un calo degli alimenti simbolo della dieta salutistica: il seitan scende dello 0,3%, il tofu dello 0,5% e la pasta di kamut dell’1,1%. Gli italiani risultano curiosi e disposti ad assaggiare cose nuove, ma quelle che entrano con successo nel mercato sono pochissime (circa l’1%), mentre un prodotto su quattro scompare già pochi mesi dopo il suo arrivo sul mercato. Ciononostante, le novità rappresentano per le industrie alimentari una notevole fonte di guadagno e anche per questo il settore è interessato da investimenti importanti. Ciò non toglie che il problema di come sostituire la carne sia reale e vada risolto.Proprio in questi giorni un editoriale pubblicato dalla prestigiosa rivista medica The Lancet sottolinea la necessità di iniziare una discussione pubblica sul ruolo della carne. Il tema è la necessità di limitare il consumo di carne – soprattutto rossa – proveniente da allevamenti intensivi, per salvaguardare la salute e l’ambiente. Questo è necessario per garantire a tutti l’accesso alle proteine nobili, alle vitamine e al ferro che sono contenuti in particolare nella carne (anche se non esclusivamente). Per raggiungere un risultato così ambizioso, una diffusa educazione alimentare dovrebbe far sì che nei paesi ricchi la carne sia sempre più spesso sostituita da piatti più sostenibili, a base di cereali e legumi. Anche la “carne finta” in questo senso può essere interessante, per chi non può farne a meno, a patto che la composizione nutrizionale sia correttamente bilanciata e non contenga troppi grassi.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Voglio fare un complimento a lei e al vostro sito in generale per la cura espositiva, sintattica e grammaticale dei vostri articoli, non è cosa comune di questi tempi in particolare sul web.
Grazie per il rispetto che mostrate per i lettori e la nostra lingua.
Condivido il commento, perché anche io, che ho avuto come “maestri” Leo Pestelli e Aldo Gabrielli, difendo la lingua italiana, purtroppo violentata da giornalisti e locutori televisivi, perché gli italiani “leggono poco, ma scrivono molto”.
Anche da parte mia molti complimenti in genere, ma soprattutto per questo articolo, che approfondisce una materia di cui si sa ancora troppo poco.
Ottimo articolo. Io suggerisco di prendere in considerazione anche le problematiche relative all’integrazione minerale e vitaminica. Questo perché alcuni burger vegani sono addizionati anche con ferro e vitamina B12 (3 microgrammi). Questo valore però è molto basso rispetto all’ingestione che si ha con una dieta onnivora e quindi non consente di rinunciare alle integrazioni orali con B12. Sarebbe interessante conoscere l’incidenza delle integrazioni minerali e vitaminiche di questi prodotti “veggie”, per valutare se sia pensabile una dieta vegana senza integratori.
Altra questione che va considerata è l’impatto ambientale degli integratori necessari ad una scelta vegana o vegetariana.
I grassi della “carne finta” derivano dal cocco. L’olio di cocco non è peggiore di quello di palma? Sono convinto che mangiare questo alimento non sia salutare: le aziende produttrici dovrebbero sostituire l’olio di cocco con l’olio di girasole.
Gentile Otto,
l’olio di cocco non è certamente salutare e penso che venga utilizzato perché essendo ricco di grassi saturi è più adatto di quello di girasole per produrre un burger che sia simile alla carne.
In effetti molti di questi burger hanno liste di ingredienti troppo lunghe e un elevato contenuto di grassi. Non credo che i burger di Beyond meat siano particolarmente salutari, ma piuttosto un’alternativa vegetale per chi ama gli hamburger; non contengono colesterolo e sono più sostenibili dal punto di vista ambientale, comunque il contenuto di grassi, anche saturi, è simile a quello di un hamburger di bovino. In ogni caso, come con tutti i piatti pronti, è necessario fare attenzione alla lista degli ingredienti.