In Francia un test realizzato su 18 marche di pollo venduto intero al supermercato, e pubblicato a novembre da Que choisir (mensile dell’associazione di consumatori UFC), promuove a pieni voti solo le aziende che hanno un marchio di qualità. Nel giudizio finale ha pesato per un 50% il giudizio relativo al gusto, per un 30% la microbiologia e per il restante 20% l’imballaggio, i residui di medicinali veterinari, l’aspetto. Se dal punto di vista sanitario non ci sono brutte sorprese, le grandi differenze si evidenziano nella prova di assaggio. I polli “standard” (macellati dopo 40 giorni di vita e venduti ad un prezzo molto conveniente), risultano poco saporiti, il colore delle cosce è pallido e in generale deludono le aspettative.
Polli bio e allevati con cura danno carne più buona
Si distinguono invece quelli con il marchio Label Rouge (certificato francese considerato un elemento di eccellenza nell’ambito alimentare) e quelli allevati con il sistema biologico, che in Francia rappresentano il 60% dei polli interi venduti al dettaglio. La carne di questi volatili risulta più soda e saporita e il gusto più intenso. La ragione di questa superiorità è legata alle modalità di allevamento. La vita media dei polli con il Label Rouge o biologici deve superare gli 81 giorni (circa il doppio rispetto a quelli cresciuti negli allevamenti standard), il numero massimo di animali per metro quadro arriva a dieci e dalla sesta settimana in poi i polli possono uscire in un’area erbosa all’aperto. Il mangime deve essere esclusivamente vegetale.
La qualità della vita e il maggior periodo di allevamento di questi animali non risponde solo a un’istanza etica, ma trova un effettivo riscontro anche per quanto riguarda le qualità organolettiche.
Non è la stessa cosa per la carne di pollo venduta in tagli singoli (petti, cosce, ali) e utilizzata anche per i prodotti trasformati (cotolette, arrotolati, arrosti, hamburger…), che provengono da animali macellati dopo 6-7 settimane e con un indice di crescita veloce.
Il test de Il Salvagente sui pronti da cuocere
La questione dei polli è stata esaminata anche dal settimanale il Salvagente di questa settimana che ha sottoposto a test 18 prodotti ottenuti con carne di pollo e tacchino: cotolette, bocconcini, ecc…
I risultati non sono certo incoraggianti: quasi la metà del campione ha una percentuale di carne inferiore al 50%. In un terzo dei casi, per raggiungere questa percentuale, si fa ricorso alla carne separata meccanicamente, un prodotto di scarsa qualità ottenuto pressando le ossa degli animali macellati per recuperare le parti minuscole rimaste attaccate alle ossa. Le aziende utilizzano questo sottoprodotto per abbattere i costi di produzione, anche se questo aspetto non comporta una diminuzione dei prezzi al dettaglio.
Il costo reale della carne
Il periodico evidenzia il costo reale della carne contenuta in questi prodotti pronti da cuocere, che in alcuni casi supera i 30 €/Kg. La cifra risulta esorbitante, soprattutto se messa a confronto, con i listini delle cosce o del petto di pollo standard venduti a circa 5 €/Kg. Anche volendo fare un confronto con le più costose cosce di pollo bio (8 €/Kg)il divario rimane considerevole. Ma cosa mangiamo quando compriamo cotolette o crocchette di pollo? La risposta è semplice, poca carne, ma molti carboidrati (farine di mais, di grano, di riso, di tapioca), patate (in fiocchi o amido estratto) e acqua, che legandosi alle farine ne aumenta il peso, e quindi il prezzo finale.
Un ultimo elemento da considerare è l’impiego di quasi tutti i marchi di un generico quanto anonimo olio vegetale per la frittura.
Le crocchette e le cotolette di pollo impanato sono però molto apprezzate, sia per il gusto sia per la rapidità di preparazione ma, come tutti i cibi confezionati dovrebbero comparire saltuariamente sulla tavola. Privilegiare una preparazione casalinga degli alimenti, permette di controllare le quantità di sale e grassi utilizzati e favorisce l’educazione, soprattutto nei più giovani, del gusto.
*Dati Esselunga
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Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione