Il 70-80% delle bufale su prodotti alimentari contaminati o pericolosi segue uno schema tanto semplice quanto efficace. La finta notizia per risultare incisiva deve riguardare un prodotto diffuso, come pane, pasta, latte o formaggio, contaminato da un composto cancerogeno o da un batterio patogeno ben conosciuto, come la Salmonella. Se si abbinano questi elementi a una storia verosimile, ci sono buone possibilità di ottenere un’elevata visibilità. Lo si è visto pochi mesi fa con la notizia, che ha letteralmente invaso tutti i giornali, diffusa da GranoSalus sulle micotossine nella pasta Barilla, Divella, Granoro e De Cecco, nomi finiti in prima pagina pur avendo valori ampiamente al di sotto dei limiti di legge.
Quando invece la notizia riguarda un problema di salute pubblica, come nel caso delle uova al fipronil, gli allarmismi ingiustificati scattano quando le istituzioni non inquadrano subito la situazione e non fanno un’accurata valutazione del rischio. Purtroppo nella maggior parte dei casi le istituzioni e le aziende interessate, pur avendo titolo e elementi per smascherare eccessivi allarmismi, subiscono gli eventi mediatici senza svolgere un ruolo attivo. In assenza di comunicati stampa e di informazioni che smentiscono o ridimensionano le false informazioni, c’è il serio rischio per molte aziende di finire in un girone da cui è difficile uscire anche, se il pericolo per la salute è inesistente.
I chiarimenti e le informazioni devono arrivare il più presto possibile perché i siti e le pagine social, sempre alla ricerca di veri e finti scoop per accumulare click, poche volte verificano la notizia. In attesa delle fonti ufficiali che spesso non arrivano, il batterio viene comunque definito “killer” e il contaminante “cancerogeno”.
La terza via delle fake news riguarda le campagne come quelle portate avanti da Coldiretti su pomodoro cinese, etichette a semaforo, olio e latte importato, da GranoSalus sul grano duro canadese, oppure da Aidepi sull’olio di palma e sullo zucchero. Si tratta di messaggi creati da lobby e associazioni del settore che, il più delle volte vengono rilanciate dai media senza essere verificate e tanto meno smentite dalle istituzioni pubbliche (Mipaaft, Ministero della salute e Sviluppo economico…).
L’altro problema serio è che in Italia manca un organismo in grado di fare una seria valutazione del rischio. Per questo motivo ogni “incidente” nell’ambito alimentare si trasforma in in allerta, e ogni campagna inventata da lobby e portatori di interesse, se ben orchestrata, fa breccia nell’opinione pubblica e guadagna la ribalta sui social e siti. Dire che la diossina è cancerogena e che si trova nell’aria è vero. Il problema è valutare quanta diossina c’è e, sulla base di questo dato, stabilire se esiste un rischio per la salute. Dire che le micotossine sono cancerogene è vero ma una quantità microscopica in una tonnellata di granaglie non autorizza a dire che il lotto di grano è cancerogeno. La valutazione del rischio serve per spiegare alla gente che l’arsenico nell’acqua minerale e anche in quella di rubinetto ci può essere, ma in quantità tali da non fare male. Anche il tonno contiene sempre un pizzico di mercurio, ma la legge fissa limiti precisi per cui se ne mangi una fettina alla settimana non c’è problema.
In assenza di una seria valutazione del rischio che dovrebbe essere fatta dal Ministro del salute, i problemi vengono ingigantiti a dismisura dai media e dalle agenzie stampa e diventano allarmi anche quando non lo sono come nel caso dell’inchiostro nel latte per bambini e della mozzarella blu.
Ecco alcune bufale, fake news e casi di disinformazione che hanno preso piede in questi anni.
1- Il pomodoro cinese contaminato è forse la bufala da mettere in cima alla classifica, perché in Italia non sono venduti prodotti che usano questa materia prima e perché nel nostro paese non è mai stato segnalato un lotto contaminato
2- Il grano canadese ricco di micotossine, è un bufala di Coldiretti. Dai dati delle Asl Emilia Romagna e Puglia non emergono evidenze del problema e anche le analisi fatte da vari enti e associazioni pubbliche e private non hanno mai riscontrato livelli superiori a quelli previsti dalla legge.
3- La sostituzione dell’olio di palma con grassi peggiori, come l’olio di cocco, è una leggenda inventata dalle lobby e da alcuni nutrizionisti. L’olio di cocco viene utilizzato al posto dell’olio di palma solo per alcuni gelati. Nel resto dei prodotti si usano per lo più oli vegetali come girasole, colza oppure olio di oliva.
4- “La farina bianca è veleno” è una fake news diffusa da Franco Berrino, che ha dovuto rettificare, come dichiara in questa lettera a Il Fatto Alimentare, dove precisa che alla farina bianca si devono preferire i cereali integrali, ma comunque “non è un veleno che uccide subito”
5- L’acqua minerale con pochissimi sali minerali e ancor meno sodio fa bene a chi deve seguire una dieta povera di sodio. Ogni italiano assume mediamente 4 mila mg di sodio al giorno. Per ridurre la quantità bisogna limitare l’impiego di sale da cucina e mangiare cibi poco salati. Bere un’acqua con poco sodio, comporta una riduzione dell’assunzione di questo minerale praticamente insignificante rispetto all’apporto giornaliero della dieta.
6- Il latte può essere bevuto solo dai lattanti e fa male agli adulti. Si tratta di una leggenda metropolitana molto diffusa e priva di riscontri scientifici (al di fuori di casi di intolleranze accertate e allergie). Il parere del Crea su questo argomento è molto diverso.
7- Le etichette a semaforo penalizzano i prodotti del Made in Italy e promuovono il cibo spazzatura perché attribuiscono il colore rosso al Parmigiano Reggiano e all’olio extravergine di oliva, mentre danno una valutazione positiva alla Coca-Cola Zero. Questa bufala viene rilanciata da ministri, lobbisti e altre associazioni di categoria perché fa presa sui lettori.
8- Lo zucchero è il principale alimento del cervello. Questa è una bugia riproposta sul sito dall’Aidepi e dalla pubblicità promossa dall’industria dello zucchero. La realtà è che il fabbisogno di zucchero bianco è di zero grammi al giorno, e il cervello dell’uomo nella sua lunga storia ha funzionato bene anche senza zucchero da tavola.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Valutazione corretta scontata e preventiva dell’analisi del rischio da parte delle competenti autorità sanitarie a parte, il resto degli allarmi, allerte e ritiri prudenziali sono eseguiti in seguito ad analisi di laboratorio risultate positive a qualche contaminante chimico oppure microbiologico e non per sentito dire.
Tutto il chiacchiericcio soprattutto mediatico, scaturisce non per ipotesi poco sostenibili di qualche associazione di consumatori, ma molto spesso ad opera di scoop giornalistici d’inchiesta basati su qualche parere isolato di nutrizionisti e/o ricercatori d’avanguardia.
Pensare che questi pareri isolati siano riconducibili ad un complotto svalutante il complesso dei prodotti alimentari della tradizione e del saper fare italiano non mi sembra corrisponda alla realtà dei fatti.
Piuttosto capita spesso che l’inadeguatezza di molti produttori nel percepire le istanze dei consumatori moderni, determinano spesso uno scollamento ed in alcuni casi perdite di fatturato endogene, piuttosto che a causa di voci circolanti quasi sempre confuse e scientificamente contradditorie.
Purtroppo Coldiretti ha, da alcuni anni, aperto la strada ad una comunicazione spazzatura che ha nell’allarmismo il suo principale strumento di disinformazione. Allarmismo riguardante sempre e comunque i prodotti importati tutti sistematicamente contraddistinti dalla presenza di contaminanti che costituiscono una grave minaccia per i consumatori. Sino a sfiorare il ridicolo. Il glifosate, cancerogeno se presente, in tracce, sul grano canadese, diventa invece amico dell’ambiente e non presenta alcun rischio per la salute dei consumatori se utilizzato dagli agricoltori europei. La lobby sviluppata dal Copa (confederazione degli agricoltori europei la cui vice presidenza è detenuta da Coldiretti) a favore del rinnovo dell’autorizzazione all’utilizzo del glifosato grida ancora vendetta. Con il silenzio colpevole di un presunto giornalismo d’inchiesta che trova le sue uniche fonti nei comunicati gialloverdi