Pesticidi e micotossine nel grano importato sono invenzioni di Coldiretti. Più del 99% dei campioni è a norma. Allarmismo creato ad arte e in modo strumentale. La materia prima è sicura
Pesticidi e micotossine nel grano importato sono invenzioni di Coldiretti. Più del 99% dei campioni è a norma. Allarmismo creato ad arte e in modo strumentale. La materia prima è sicura
Redazione 27 Luglio 2017Il Canada è il primo fornitore di grano duro per l’industria alimentare italiana. Da alcuni mesi il grano importato è finito al centro di un acceso dibattito creato in modo artificioso da Coldiretti che lo ha recentemente definito “un pericolo anche per i consumatori”. L’accusa è importare materia prima con un elevato valore di contaminanti tossici per la salute, in particolare micotossine e fitofarmaci, come il glifosato. Questa campagna denigratoria è diventata un leit motiv, per cui in rete e sui giornali si leggono continuamente articoli dove si dice che il grano importato, dovendo viaggiare in nave per settimane, è ricco di micotossine e di antiparassitari e pesticidi vietati in Europa ma ammessi in altri paesi. Si tratta di racconti con un forte carico di fantasia che funzionano molto bene perché colpiscono l’immaginario dei consumatori. In questa storia ci sono anche molti giornalisti che ripropongono queste finte notizie nei loro articoli, dimenticando di valutare l’attendibilità della fonte e la veridicità dei dati. Il Fatto Alimentare aveva già affrontato l’argomento in alcuni articoli precedenti (leggi qui e qui) dimostrando quanto fossero campate in aria le accuse sulle micotossine. Ma vediamo ora perché le notizie non sono veritiere.
Secondo l’allarme lanciato da Coldiretti poche settimane fa, “i cereali stranieri risultati irregolari per il contenuto di pesticidi sono praticamente il triplo di quelli nazionali a conferma della maggiore qualità e sicurezza del Made in Italy, sulla base del rapporto sul controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti divulgato l’8 giugno 2017 dal Ministero della Salute”. L’Organizzazione precisa che “I campioni risultati irregolari per un contenuto fuori legge di pesticidi sono pari allo 0,8% ne caso di cereali stranieri mentre la percentuale scende ad appena lo 0,3% nel caso di quelli di produzione nazionale”.
Cerchiamo però di capire meglio questi dati . dove arrivano questi numeri. Stando al rapporto del Ministero della salute citato da Coldiretti, nel 2015 sono stati analizzati 1059 campioni di cereali (936 prodotti nazionali e 123 di importazione), più della metà dei quali è rappresentata dal frumento. La presenza di residui in misura superiore ai limiti di legge è stata riscontrata rispettivamente in 3 (*) campioni nazionali e in 1 (**) campione importato. Da qui derivano le percentuali di 0,3% e 0,8%. Questa storia però si può raccontare anche così e forse ha anche più senso. In Italia l’83,7 % dei cereali nazionali e l’83,2% di quelli importati non contengono residui di pesticidi. Poi c’è il 16,5% dei cereali nazionali e il 15,5% di quelli importati che ne hanno un contenuto inferiore ai limiti di legge e una frazione variabile dallo 0,8 per quelli straniero e 0,3 per quelli italiani di campioni fuori norma. Per le persone normali che conoscono le percentuali e per i giornalisti che non hanno i paraocchi siamo di fronte ad una situazione eccellente, dove i valori della materia prima importata e quelli nazionali sono praticamente sovrapponibili. Il metodo di campionamento varia in base al laboratorio, ma in qualunque caso un campione è rappresentativo di una grande quantità di materia prima (ad esempio un’intera nave o un gruppo di silos situati in azienda).
Siamo di fronte a un modo strano di decodificare e raccontare i dati ufficiali che permette a Coldiretti di ribaltare la realtà e di puntare il dito contro i cereali importati. I giornalisti seri e qualsiasi osservatore dopo avere visto questa tabella direbbe che in Italia l’83,7 % dei cereali nazionali e l’83,2% di quelli importati non contengono residui di pesticidi. Preciserebbe che ‘il 16,5% dei cereali nazionali e il 15,5% di quelli importati hanno residui in quantità inferiore ai limiti di legge e concluderebbe dicendo che una frazione variabile dallo 0,3% per quelli italiani che arriva sino allo 0,8% per i cereali stranieri sono fuori norma. E`vero la differenza dei fuori norma è il triplo per la materia prima importata ma stiamo parlando di 4 campioni su più di mille. Questo dato non deve fare dimenticare che oltre il 99% dei cereali è in regolare. I laboratori ufficiali hanno realizzato 130.000 analisi (123 per ogni singolo campione) sulla totalità dei cereali (nazionali e (i importazione) alla ricerca di 507 principi attivi. più precisamente il 99,8% delle analisi non ha riscontato residui, nello 0,2% dei casi sono emersi residui al di sotto dei limiti di legge e solo nello 0,005% delle analisi i residui sono risultati al di sopra del limite consentito. Possiamo dire con una certa serenità che il grano utilizzato in Italia per la pasta e i prodotti da forno non presenta problemi.
Coldiretti nei suoi comunicati stampa insiste anche sulla questione del Glifosato usato in Canada per favorire la maturazione del grano, e sottolinea che “in Italia il pesticida è dal 22 agosto 2016 con entrata in vigore del decreto del Ministero della Salute perché accusato di essere cancerogeno”. Seppur vero che l’uso del glifosato non è ammesso in pre-raccolta, è tuttavia permesso per altre colture (legumi e pomodori) e, ad esempio, la semplice rotazione dei campi può spiegare la presenza di bassi livelli di questo pesticida nel grano. In ogni caso i valori delle analisi dimostrano l’assenza di residui nella quasi totalità dei campioni e con valori molto bassi in una piccola quota. Insomma ci sono tutti gli elementi per stare tranquilli.Nonostante ciò con una certa dose di abilità Coldiretti è riuscita a trasformare questi dati ufficiali in un incubo per gli italiani, che ormai considerano il grano importato materia prima di pessima qualità inquinato e contaminato. Un discorso simile la lobby degli agricoltori lo ha fatto lanciando un allarme sulle micotossine accusate di essere presenti nel grano duro canadese. Anche in questo caso il discorso ha funzionato ottenendo grande visibilità sui media e sui giornali abituati a fotocopiare i comunicati della lobby (vedi articolo). La questione micotossine però presenta molte analogie con quella dei residui di fitofarmaci, basta andare a vedere i risultati delle analisi ufficiali per rendersi conto che i lotti contaminati sono una rarità come abbiamo scritto e che il problema non esiste.
L’industria molitoria italiana dipende dalle importazioni di grano duro in termini di quantità e qualità e non ha senso demonizzare la materia prima estera, soprattutto quando non ci sono prove come dimostrano le analisi ufficiali. Il problema del grano importato contaminato da micotossine e pesticidi non esiste, eppure c’è chi ha costruito su questa storia una montagna di illazioni e di notizie storpiate, creando grazie a media e giornalisti irresponsabili un allarmismo inutile e strumentale.
Note:
(*) Dei 3 campioni di cereali nazionali risultati irregolari 2 sono di frumento e 1 di orzo
(**) Il campione irregolare tra i cereali di importazione è rappresentato da riso.
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Questi concetti sono presenti anche in un comunicato di De Cecco di pochi giorni fa che attacca duramente Coldiretti
La demagogia e la mistificazione della realtà, con i continui attacchi sul grano estero e sulle sue (del tutto inventate) contaminazioni sono diventate una deplorevole consuetudine da parte della Coldiretti.
La De Cecco è da sempre emblema del Made in Italy con il suo impegno fatto di lavoro, dedizione e tradizione trasmessa da oltre un secolo, di padre in figlio. Da sempre acquistiamo i migliori grani in Italia e nel mondo; nell’ultimo quinquennio la De Cecco ha acquistato ed utilizzato nelle sue produzioni oltre 3.000.000 di quintali di grano italiano ed oltre 1.000.000 di quintali di grano abruzzese.
Sin dalla nostra fondazione sosteniamo la produzione agricola italiana, negli ultimi anni anche attraverso la sottoscrizione di contratti di filiera a fronte dei quali acquistiamo il grano dai produttori locali, molti dei quali associati a Coldiretti, ad un prezzo superiore a quello di mercato e riconoscendo comunque un prezzo minimo, a parametri qualitativi ben definiti e rispondenti a quell’eccellenza che è il nostro obiettivo primario nella selezione dei migliori grani.
La politica di Coldiretti contro le importazioni di grano dall’estero si basa su fondamenta false e deplorevolmente orientate e favorire i produttori di grano, a scapito dei consumatori:
– Non è vero che il grano estero è sottoposto a trattamenti chimici vietati in Italia;
– Non è vero che il grano estero è contaminato. Si tratta di fallace e banale allarmismo: tutto il grano estero importato, rispetta i rigorosi parametri imposti dalla normativa UE e viene sottoposto a scrupolosi e capillari controlli dalle autorità competenti prima che da noi utilizzatori. Non può affermarsi lo stesso per il grano italiano!
– Non è vero che il grano subisce uno stress derivante dal trasporto: non esistono evidenze scientifiche a supporto di tale miope e demagogica considerazione.
Il prospettato blocco delle importazioni estere, auspicato con grave superficialità da Coldiretti, avrebbe il solo, disastroso, effetto di determinare il blocco della produzione italiana di pasta perché il grano italiano non è quantitativamente e qualitativamente sufficiente a soddisfare l’intero fabbisogno produttivo. Il prezzo della materia prima e del prodotto finito, quindi, salirebbero in maniera incontrollata e ad oggi non calcolabile, con grave danno per i consumatori. Non è escluso che il consumatore italiano possa addirittura scegliere, in futuro, di abbandonare il prodotto italiano e acquistare prodotto estero, proveniente da Paesi produttori ove le associazioni ed i sindacati degli agricoltori siano a fianco delle aziende nella difesa della produzione industriale nazionale, alimentando una sana filiera di prosperità e supporto all’economia.
Un comunicato stampa De Cecco non può che essere a favore dei propri prodotti e della bontà delle materie prime utilizzate. Obiettivamente, in questo commento, non mi sembra di intravedere fonte attendibile e pratica che spieghi i processi delle filiere utilizzate da De Cecco e di come si riesca a rimanere fuori dall’acquisto di grano contaminato.
Non è sufficiente attaccare Coldiretti, senza provare il contrario di quanto denunciato, per ristabilire la fiducia nel consumatore.
Fortunatamente, grazie al senso critico e ai
reportage giornalistici( non solo Coldiretti) sulle reali condizioni del grano provenienti dall’estero, è possibile porsi qualche dubbio, tra cui se vi sia l’effettiva contaminazione da micotossine, dannose per la salute. Il grano potrà non essere stato trattato all’origine con pesticidi, come si afferma, ma non si spiega come De Cecco riesca a tutelarsi dall’acquisto di grano ‘avariato’ da micotossine che si sviluppano naturalmente in grani e sementi in genere se non ben conservati o trasportati in container non adatti e per lunghi percorsi, come è emerso da denunce dalla Guardia di Finanza al porto di Civitavecchia, in cui grani contaminati vengono fatti passare per idonei o addirittura biologici.
L’unica difesa del consumatore è appoggiarsi a piccoli produttori e non alle grandi industrie che comunque, quotidianamente son tenute a controllare i prezzi di acquisto per mantenere prezzi bassi. Forse è giunto il momento di mangiare meno pasta a prezzi bassi e puntare su prodotti più di qualità, che, purtroppo, hanno prezzi diversi da De Cecco, Barilla ecc.
personalmente preferirei consumare prodotti la cui materia prima non presenti affatto residui da pesticidi, possibilmente di origine locale. mi farebbe rabbrividire l’ipotesi che un domani il consumatore medio italiano possa rivolgersi a prodotti di fattura estera, preferendoli a quelli nazionali. sarebbe puro autolesionismo, non sostenibile per l’economia del nostro territorio e per l’ambiente in senso lato.
Preferisco il grano italiano.
Che l’analisi de “Il fatto alimentare” coincida con quella della De Cecco mi lascia molto perplesso.
I concetti che esprimiamo in questo articolo nei confronti di Coldiretti e delle sue narrazioni li ripetiamo da almeno 5 anni. In ogni caso i nostri sponsor non hanno mai influito sulle scelte redazionali. Abbiamo portato avanti una campagna contro l’invasione dell’olio di palma mettendoci in contrapposizione con la stragrande maggioranza delle aziende alimentari e questo mi sembra un buon esempio di indipendenza. In ogni caso l’elenco con le marche di pasta 100% italiano la trova solo sul nostro sito.
Qual’è il limite di rilevabilità (L.o.D.) delle analisi fatte dal ministero?
W il grano italiano …..buono e sano….pagato 2 soldi….
Di questo passo si smetterâ di produrlo e di regalarlo……ê una vergogna che venga pagato quanto 35 anni fa con i costi e le regole di oggi in italia
Quindi i vari de Cecco oggi fanno solo ed esclusivamente i loro interessi ma a discapito e svantaggio di chi produce!!!
Egregio Dr La Pira
mi informerò certamente sulla vostra campagna ( o narrazioni? …mi consenta…) sull’olio di palma e spero di darvene atto.
Non simpatizzo per la Coldiretti e sicuramente nemmeno per chi continua a dire che il grano duro italiano è di scarso valore.
Vivo, lavoro e produco per hobby grano duro in Italia, conosco le difficoltà del campo ( inteso come terreno).
Saluti
Lavoro da 30 anni nel settore molitorio italiano e sono stato direttore tecnico di alcuni tra i più importanti molini nazionali. Inoltre per otto anni sono stato presidente antim (associazione nazionale tecnici industria molitoria italiana). Concordo, condivido, sottoscrivo tutto quanto scritto nel post…punteggiatura compresa. Lo faccio in virtù di migliaia di analisi viste e valutate sul frumento nazionale e su quello importato.. I risultati analitici sono fatti.. tutto il resto sono impressioni. Se anziché far la guerra al frumento di importazione si lavorasse in collaborazione e simbiosi con i molini nazionali ci sarebbe posto per tutto e per tutti nel nostro paese
E’ davvero molto preoccupante che si creda ad una notizia in base a chi la divulga. Che si stabilisca che un’azienda italiana non possa fare affermazioni veritiere e una associazione di coltivatori sì. Che lo facciano i lettori e, fatto molto più grave, che lo facciano i giornalisti.
Apprezzo molto questo lavoro portato avanti in totale solitudine da Il Fatto Alimentare, tra l’altro non utilizzando altro che i dati di dominio comune. E’ giornalismo e non “velinismo”.
Poi, ovviamente resta legittimo preferire e sostenere il grano italiano per validi motivi, per esempio perché per arrivare sulle nostre tavole consuma meno petrolio e genera meno CO2, oppure perché contribuisce a mantenere l’occupazione, il PIL e la campagna italiane. Preferirlo quindi, anche al di là del prezzo. Meglio che Coldiretti punti su questi fattori invece che fare allarmismo.
quindi il glifosate che abbiamo nelle urine e riscontrato nelle urine degli europarlamentari, come hanno denunciato le Iene. è una bufala che ha emarginato questo determinante erbicida dalla legislazione europea… povere multinazionali attaccate da quattro giornalisti e tre burocrati!
Ma poi le Iene hanno chiesto scusa TRA L’ALTRO della fitta campagna scandalistica per le staminali del miracolo che hanno illuso migliaia di disperati e aizzato milioni di forcaioli antiestablshment antipolitici antitutto (salvo i casi propri) ?
Un altro mio commento non è stato pubblicato, riprovo sperando si tratti di un errore tecnico.
Dichiarare che l’84% non ha residui di pesticidi, è un’informazione poco utilie senza sapere i limiti con cui sono state fatte le analisi. Un LOQ (limite di quantificazione) troppo alto dà risultati poco attendibili.
Parlando di Glifosate, oggi il LOD (limite di rivelabilità) minimo da laboratori accreditati è 3 ppb (parti per miliardo). Il limite massimo ammesso nel baby food e nel biologico di pesticidi/diserbanti è 10 ppb. Nel convenzionale il limite è 10000 ppb.
Quindi ribadisco, cosa significa che l’84% dei cereali importati non ha residui? Che è sotto 3 ppb? 10 ppb? o limiti più alti???
Noi diciamo quello che viene indicato dai rapporti ufficiale.Ovvero che non ci sono residui sia sul grano italiano che in quello straniero. Probabilmente tracce infinitesimali di sostanze e residui si trovano in tutti i prodotti alimentari italiani e stranieri perché le capacità analitiche degli strumenti sono molto accentuale . Ma questo non vuol dire che i prodotti non siano sani.
Il Gliphosate non si usa in Italia per accelerare l’asciugatura del grano. Lo sanno tutti gli addetti ai lavori. Se si trovano RIDICOLE tracce è perché viene (ab)usato per seccare scarpate stradali e ferroviarie.
Per le micotossine, altro strumento di polemismo cronico infondato, il lod del DON è 18 ppb , il limite prudenziale accertato da anni di studi scientifici internazionali seri* è 1750 ppb per la granella di grano duro. I laboratori di analisi accreditati scendono a 1340 ppb per tener conto di “incertezza” diffusa , soprattutto da possibili campionamenti non perfetti.
Dire (ululare) perciò che un prodotto è contaminato perché ha valori di DON di 20-30 ppb a malapena leggibili dallo strumento, ma anche 100-200, è semplicemente allarmista e se si insiste, forse pure mistificatorio e calunnioso e certamente falso attribuirlo alla provenienza della materia prima.
E, a proposito di coerenza in altri documenti di alcuni avvezzi a stanar scandali, CON GLI STESSI VALORI poi se ne chiede addirittura la “PREMIALITA'” per evidente qualità igienico-sanitaria
Il miglior grano del sud ha spesso valori bassissimi, ma annate e situazioni locali particolari possono far trovare valori anche di 200-300 ppb senza però nessun problema tossicologico. Al Centro e Nord Italia i problemi possono essere maggiori e più frequenti, ma ancora in un ampio range di tranquillità.
Affermare che questi valori invece siano prova di truffaldine importazioni è semplicemente falso per le numerose evidenze analitiche disponibili da lavori CREA, ISS, UNIVERSITA’, ARPA .
Infangando il buon nome della pasta finirà per essere coinvolto anche il grano duro che ne è ingrediente unico.
“Dai, continuiamo a farci del male”, poi, dopo l’eventuale crac anche di questo promettente settore dell’agroalimentare tutti angioletti fischiettanti a far spallucce, guardare altrove e dire io non c’ero e, se c’ero, dormivo.
* (esclusi quindi gli adoratori di santoni e guaritrici e altre amenità tanto amate e seguite sul web e TeleScandalo da troppe persone e soprattutto da interi raggruppamenti politici forse tragicamente prossimi alla guida del Paese )
Non sto mettendo in discussione quello che affermate voi, dove riportate semplicemente i dati del ministero.
Per una completa informazione è però utile sapere cosa significa “non contiene residui”. E magari voi come giornalisti riuscite a trovare queste informazioni, cosa che non è possible per noi consumatori.
Non sto mettendo in discussione se un prodotto è sano, oppure no, solo più informazioni si danno, più il consumatore è libero di scegliere cosa acquistare.
Sicuramente tracce infintesimali di residui si trovano in tutti i prodotti, ma ripeto, tra i 10 ppb del baby food e de bio, e i 10000 della soglia massima del convenzionale c’è tanta differenza. E le capacità analitiche degli strumenti arrivano a 3ppb sul Glifosate.
Spero che possiate reperire questa informazione…
Quando si fissa un punto si perde tutto il panorama circostante.
Tutte le parti in causa ed in conflitto hanno legittimi conflitti d’interesse ad esclusione dei consumatori che ne subiscono i risultati.
Compito del giornalismo è informare sulle notizie e non schierarsi nella competizione, salvo segnalare evidenti falsità in ogni posizione, senza pregiudizi.
Se sono false le affermazioni sul grano contaminato d’importazione è corretto informare, ma se un produttore nasconde la verità sulle origini delle materie prime che impiega, è altrettanto corretto informare i lettori ed i consumatori, visto che di questo si sta parlando e del made in Italy.
Poi ognuno (produttore, sponsor, tecnico libero, giornalista, consumatore, ecc..) è libero di manifestare la propria opinione personale, ma le categorie e le associazioni facciano correttamente il loro sacrosanto mestiere.
Questa idea del giornalismo che non si deve schierare mi lascia perplesso. Di fronte all’abilità mediatica di Coldiretti di trasformare le sue teorie di lobby in verità , è necessario schierarsi evidenziando le contraddizioni e le finte verità
Il giornalismo d’inchiesta, a mio parere deve essere oggettivo ed imparziale, poi ogni giornalista è libero di manifestare la propria opinione, sapendo però che lo fa da una posizione molto vantaggiosa per influenzare la pubblica opinione.
Da qui la distinzione precisa dei ruoli tra informazione ed opinione del giornalista.
Nel merito, devo dare atto a lei ed alla redazione, dopo aver letto la vostra lettera ad Aidepi, che finalmente dopo aver molto criticato la posizione di Coldiretti, avete dato un colpo anche alla botte dei pastai, per le loro posizioni insostenibili in merito alla trasparenza in etichetta.
Posizione peraltro scavalcata da molti produttori, che hanno compreso le richieste dei consumatori, indicando l’origine del grano duro impiegato nella produzione della pasta, anticipando l’entrata in vigore della giusta norma di legge.
Seguo il fatto alimentare da molto tempo, ho apprezzato la campagna contro l’olio di palma che è stata un successo.
Non sono esperto ne di analisi alimentari, ne di agricoltura: tuttavia mi lascia perplesso il voler difendere il grano importato dall’estero e in particolare dal Canada con argomentazioni abbastanza contraddittorie dal mio punto di vista.
Viene affermato che il grano Canadese è necessario per fare una pasta di alta qualità per la suo alto contenuto di glutine. Questo grano è più costoso degli altri per via di questa caratteristica.
1) La pasta è nata in Italia e adesso le multinazionali “italiane” della pasta hanno bisogno di grano straniero per fare una buona pasta? Per quanto riguarda il grano duro, l’Italia non è autosufficiente ed importa da Canada, USA, Australia, Russia e Francia ed in aumento per quanto riguarda Ucraina e Turchia (con variazioni aziendali, dal 25% di grano estero usato dalla Barilla al 40-50% di Divella) http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-italiana-grano-voiello-granoro.html/.
2) Il Canada è noto per utilizzare grandi quantità di glifosato e altri additivi chimici in agricoltura. Adesso se verrà ratificato il CETA le cose peggioreranno https://www.slowfood.com/sloweurope/it/votazione-sul-ceta-slow-food-chiede-respingere-laccordo-proteggere-la-nostra-salute-lambiente/. Come fate a giustificare tali produzioni di pasta falso made in Italy?
3) Come fatto notare da altri utenti, il grano italiano è migliore perché non produce CO2 per il trasporto e di conseguenza inquina meno (andrebbero considerati anche questi fattori nel prezzo di acquisto finale).
4) L’agricoltura è un settore chiave per l’Italia e per l’Europa e non possiamo favorire le multinazionali “italiane” della pasta che invece di investire in Italia, comprano grano oltre oceano e dichiarano di essere made in Italy.
5) Ho letto il commento dell’utente Giovino e mi piacerebbe vedere una risposta precisa e dettagliata.
Grazie
Mettere le mani avanti affermando candidamente che non si è esperti del settore e poi però commentare con feroce sicurezza tutte le atrocità (ben note ? da chi? quando ? dove è stato pubblicato? chi lo afferma? ) dello stesso settore è artificio retorico tanto abusato quanto debole e poco credibile.
– Da sempre (documenti del XVII secolo – pastai di Gragnano, oggi 12 pastifici DOP, 4 100% grano italiano) l’Italia è nota nel mondo per la qualità della pasta e per raggiungerla sin da allora si ricorreva a massicce importazioni di una nota varietà russa (Taganrog) e lo stesso storico veliero simbolo di Agnesi dovrebbe far fare un semplice 2+2 anche ai sedicenti “non esperti”.
Etichettare con sprezzante FALSO made in Italy quello che è sempre stato il fiore all’occhiello del nostro Paese la dice lunga sul clima “patriottico” che stiamo vivendo.
– Oggi le importazioni sono tutto sommato diminuite rispetto al passato ma il grande successo (dà fastidio ?) della made in Italy e soprattutto la scoperta della genuinità equilibrata della pasta nel mondo ne hanno fatto aumentare enormemente i consumi, spesso al posto di terribili intrugli grassi obesizzanti (dà fastidio?). Va da se che FORTUNATAMENTE siamo arrivati a produrre circa 6 milioni di tonnellate di pasta secca, mentre le produzioni di grano duro oscillano da 3 a 5 milioni.
– Queste rese nazionali si possono aumentare facilmente recuperando terreni abbandonati e destinati a un vergognoso consumo di suolo (prima tragedia ambientale italiana) e migliorando le rese unitarie ricorrendo in primis a varietà moderne adatte all’ambiente pedoclimatico di coltivazione con resistenze alle avversità biotiche ed abiotiche con caratteristiche qualitative di pregio : NE ESISTONO A DECINE !
-Ma poi la produzione va organizzata secondo stoccaggi differenziati in base a qualità omogenea e i contratti di filiera vanno promossi con reciproci accordi utili.
– Già si fà e il settore cresce e questa è l’unica strada per promuovere e valorizzare il grano italiano di cui esistono GIA’ 40 marchi di pasta 100% grano italiano. Certo non le bufale sulle navi di Nosferatu alla fonda nel porto di Bari.
– Comunque a proposito di esperti, non arriva grano duro dall’Ucraina , da lì arriva il tenero.
– Il CETA permetterà scambi vantaggiosi per i Paesi che hanno un buon tenore di vita medio come il nostro grazie all’export soprattutto di agroalimentare. Le autarchie e l’economia medievale (chi va là ?1 fiorino) non hanno mai portato benessere condiviso. Perché mai Francia, Usa e Canada poi dovrebbero compare la nostra pasta e altri prodotti molto più cari (vino. olio…) se noi gli sbarriamo le importazioni della materia prima più economica?
– A Giovino ho risposto su un argomento che conosco bene (micotossine), Conosco meno le contaminazioni da Gliphosate ma mi sembra una chiara PANZANA che ci siano limiti diversi per il bio e il convenzionale. Ma vogliamo scherzare ?
Se conosce meno l’argomento come fa a dichiarare che è una un chiara PANZANA???
In Italia il DM 309/2011 impone che se un prodotto bio ha residui di pesticidi (glifosate incluso) superiori a 0,01 mg/kg, deve essere declassato a convenzionale. Se poi il residuo supera i 10.000 ppb (parlando di glifosate), è fuori norma.
Io non sto traendo nessuna conclusione, anzi, non trovo affatto scandaloso che un prodotto convenzionale abbia residui di glifosate, non capisco perché dovremmo aspettarci il contrario.
Ma vogliamo scherzare???
Mi sembrano sofismi dei bei filosofi del liceo…
Un conto è l’assenza di sostanze che evidenzino la corretta adesione al metodo biologico, anche con residui minimi
DI TUTT’ALTRA consistenza giuridica il rispetto dei limiti per i contaminanti potenzialmente tossici o addirittura velenosi.
In presenza di rischi accertati o ipotizzati per la salute , non potranno certamente esserci due diverse valutazioni del legislatore per due diversi sistemi di coltivazione. DON limite 1750 ppb PER TUTTI, Arsenico, Cadmio ecc… LO STESSO!
Certo che i limiti di sicurezza sono uguali per tutti i prodotti, però per i prodotti dichiarati bio o baby food, se si superano i 10 ppb c’è il declassamento.
Non capisco perché continua a rispondermi sulle micotossine quando io non le ho mai nominate.
Non mi sembra un sofismo il riportare le normative sui residui di pesticidi, anche perché io non ho tratto conclusioni. Ho solo chiesto chiarimenti sui Limiti di Quantificazione.
Mi sembra che non sia stato fatto notare che mentre i campionamenti sul grano nazionale sono “a campione”, e non rappresentano che una percentuale ridotta dei lotti totali, tutte le navi cisterna provenienti ad esempio dal Canada vengono campionate dalle dogane portuali tramite il servizio dei laboratori delle dogane, accreditati e notoriamente molto affidabili per conoscenza delle matrici, di strumentazione adeguata e delle metodiche ufficiali, oltre all’ispezione dei mezzi di trasporto. Quindi i dati non sono confrontabili, naturalmente a sfavore delle produzioni nazionali non campionate con altrettanta severità di quelle canadesi( o di altre provenienze)
Quanto al tipo di campionamento va fatto secondo criteri proporzionali alle dimensioni dei lotti, e spesso i campionamenti vengono ripetuti “in continuo” durante le operazioni di scarico, con la massima rappresentatività dell’intero lotto.
Come osservazione generale : sarebbe igienico e salutare per un’informazione corretta ai consumatori lettori, che certe conclusioni di pancia ( o interessate) venissero fatte da chi ha una adeguata conoscenza dei fenomeni e della materia di cui si discute, altrimenti si assiste alla diffusione virale di fake-news che provoca distorsioni inaccettabili.
Al signore caiofabricius
-Mettere le mani avanti affermando candidamente che non si è esperti del settore e poi però commentare con -feroce sicurezza tutte le atrocità (ben note ? da chi? quando ? dove è stato pubblicato? chi lo afferma? ) -dello stesso settore è artificio retorico tanto abusato quanto debole e poco credibile.
Ribadisco di non essere esperto del settore agroalimentare, ma allo stesso tempo di avere sufficiente capacità di analizzare i dati con spirito critico. Per comprendere un fatto a partire da dati è sufficiente avere conoscenze di statistica e matematica.
Tipicamente chi risponde sulla forma anziché sulla sostanza è proprio perché è consapevole che le proprie argomentazioni siano deboli e tenta di cambiare l’oggetto della questione.
Ti ho riportato le fonti da cui ho preso le informazioni per fare certe affermazioni.
– Da sempre (documenti del XVII secolo – pastai di Gragnano, oggi 12 pastifici DOP, 4 100% grano italiano) -l’Italia è nota nel mondo per la qualità della pasta e per raggiungerla sin da allora si ricorreva a massicce -importazioni di una nota varietà russa (Taganrog) e lo stesso storico veliero simbolo di Agnesi dovrebbe far -fare un semplice 2+2 anche ai sedicenti “non esperti”.
Quindi l’Italia patria della pasta, ha sempre fatto ottima pasta grazie al grano straniero?
Oppure data l’impossibilità di soddisfare la domanda con il proprio grano, ha dovuto necessariamente rivolgersi a grano straniero?
Sono due situazioni molto diverse…
-Etichettare con sprezzante FALSO made in Italy quello che è sempre stato il fiore all’occhiello del nostro -Paese la dice lunga sul clima “patriottico” che stiamo vivendo.
– Oggi le importazioni sono tutto sommato diminuite rispetto al passato ma il grande successo (dà fastidio ?) -della made in Italy e soprattutto la scoperta della genuinità equilibrata della pasta nel mondo ne hanno fatto -aumentare enormemente i consumi, spesso al posto di terribili intrugli grassi obesizzanti (dà fastidio?). Va -da se che FORTUNATAMENTE siamo arrivati a produrre circa 6 milioni di tonnellate di pasta secca, mentre le -produzioni di grano duro oscillano da 3 a 5 milioni.
Il made in Italy fatto con materie prime straniere è un falso made in Italy. Per questo ci deve essere e ci sarà finalmente la provenienza degli ingredienti sull’etichetta sulla pasta. Dovrebbe essere obbligatorio per qualunque prodotto. Se un’azienda è trasparente non ha alcun problema a dichiarare dove prende le materie prime. Se tenta di nasconderlo significa che ha paura della verità.
– Queste rese nazionali si possono aumentare facilmente recuperando terreni abbandonati e destinati a un -vergognoso consumo di suolo (prima tragedia ambientale italiana) e migliorando le rese unitarie ricorrendo in -primis a varietà moderne adatte all’ambiente pedoclimatico di coltivazione con resistenze alle avversità -biotiche ed abiotiche con caratteristiche qualitative di pregio : NE ESISTONO A DECINE !
Concordo su questo punto.
– Già si fà e il settore cresce e questa è l’unica strada per promuovere e valorizzare il grano italiano di -cui esistono GIA’ 40 marchi di pasta 100% grano italiano. Certo non le bufale sulle navi di Nosferatu alla -fonda nel porto di Bari.
Concordo su questo punto.
– Comunque a proposito di esperti, non arriva grano duro dall’Ucraina , da lì arriva il tenero.
Leggi qui notizia del 2016 http://www.corriere.it/video-articoli/2016/06/22/guerra-pasta-ecco-come-l-ucraina-diventata-dei-principali-fornitori-grano-l-italia/5c52e800-3857-11e6-af01-13e8abfd5afa.shtml
– Il CETA permetterà scambi vantaggiosi per i Paesi che hanno un buon tenore di vita medio come il nostro grazie all’export soprattutto di agroalimentare. Le autarchie e l’economia medievale (chi va là ?1 fiorino) non hanno mai portato benessere condiviso. Perché mai Francia, Usa e Canada poi dovrebbero compare la nostra pasta e altri prodotti molto più cari (vino. olio…) se noi gli sbarriamo le importazioni della materia prima più economica?
Mi dispiace deluderti, il CETA favorisce solo le multinazionali (mostri come monsanto) a scapito dei piccoli produttori e dei consumatori. Riduce la qualità dei prodotti, la biodiversità e aumenta l’inquinamento a causa del trasporto. Per fortuna è molto difficile che venga ratificato da un numero sufficiente di stati. Leggiti qui http://www.slowfood.it/ceta-made-italy/ e qui http://www.slowfood.it/no-del-ceta-dalle-regioni/ entrambe fonti molto attendibili molto più di qualunque altra…
– A Giovino ho risposto su un argomento che conosco bene (micotossine), Conosco meno le contaminazioni da Gliphosate ma mi sembra una chiara PANZANA che ci siano limiti diversi per il bio e il convenzionale. Ma vogliamo scherzare ?
Perché? Da non esperto, mi aspetterei inquinamento da glifosato assente (prossimo a zero) nei prodotti biologici e basso nei prodotti tradizionali. Spero che la commissione europea non autorizzi tale erbicida per i prossimi 10 anni. Un referendum di 7 stati e 1 milione di cittadini europei ha chiesto di vietarlo.
Vediamo quanto le multinazionali (monsanto) con le loro di lobby sapranno convincere (pagare) i politici della UE.
Fonti https://stopglyphosate.org/it/ e http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/13/glifosato-lappello-di-lifegate-a-firmare-la-petizione-europea-per-bandirlo-liberi-da-rischi-per-la-nostra-salute/3388885/
Un mio commento riportante i dati ufficiali Delle esportazioni del Canada e che dimostra come i Molini e pastifici non acquistano il grano duro eccellente non è stato pubblicato. Come mai? Ribadisco che il grano duro canadese 2016 era pessimo al 50%. Perché i mitici pastificatori italiani hanno comprato le categorie più scadenti e non le migliori? Si legga il report canadese sul raccolto 2016 e magari lo commenti ai lettori o come più probabile non pubblichi nulla di quanto scritto.
Lei pensa che aziende come Granoro , Divella , De Cecco , Barilla ecc che conoscono molto bene la qualità del grano, acquistino grano canadese di scarsa qualità, contaminato e lo paghino anche il 30% in più per fare la pasta? Mi sembra improbabile per usare un eufemismo.
Gentile La Pira,
perché non ha riportato il commento dell’utente Marco? Viste le affermazioni dell’utente credo sarebbe stato importante e utile.
Inoltre, poiché sono coinvolte multinazionali per le quali il profitto vale più di ogni altro interesse, non sarei stupito se l’affermazione di Marco fosse vera.
Egregio La Pira quanto riportato non è un mio pensiero è un dato oggettivo riportato dal Canadian Grain Commission, l’italia a importato solo grano di categoria 3 e di una fantomatica categoria other (composta di categoria 4 e 5), mentre non ha importato categoria 1 e 2 le migliori. Ribadisco che i dati non sono miei pensieri ma dati a disposizioni del mondo sul sito del Canadian Grain Commission. Inoltre tengo a sottolineare che non ho fatto alcun cenno a grano contaminato.
Italy No.3 CW AD 617,8
OTHER 67,9
Total 685,6
Al Signore Salvatore,
-Le fonti di slow food, per quanto meritevole associazione, sono a dir poco deboli e chiaramente di parte. Chi ha laurea in Statistica e Matematica sa che dovrebbe documentarsi su lavori scientifici validati da referee internazionali, soprattutto se pensa di pontificare in discipline che non conosce.
– Insufficiente quantità e qualità sono motivazioni entrambe verificatesi storicamente, con tutta la faticosa buona volontà non vedo dove sia l’inconciliabilità. Tralasciando il passato (che non bisognerebbe però mai dimenticare per comprendere il presente, specie quando si straparla di tradizioni…), oggi la qualità del grano italiano ci sarebbe tutta grazie al lavoro serio di agronomi e genetisti ma è frammentaria sul territorio e invece bisognerebbe organizzarla in grandi lotti omogenei. E’ questo penso il vulnus principale che offre il fianco alle importazioni da Paesi invece organizzatissimi come il Canada. La quantità si può raggiungere aumentando superfici e rese unitarie. Si può fare con politiche rigorose : si tratta di motivare economicamente a non abbandonare la terra che poi ci frana addosso (a tutti).
– Sinceramente non capisco perché ribadisce questa sprezzante e semplicistica conclusione “Il made in Italy fatto con materie prime straniere è un falso made in Italy”, se appunto la pasta, 1° prodotto vero passaporto del made in Italy sin dal 1650 si fa DA SEMPRE miscelando le semole ANCHE importate. L’IGP di Gragnano, unica al mondo , ha questo nel suo disciplinare. 4 pastifici anche importanti di Gragnano (uno è venduto come Fior fiore COOP) hanno pensato di produrre 100% italiano, benissimo, io compro quella, ma non è che gli altri 8 stiano facendo qualcosa di losco come ha già sentenziato invece con postverità il web forcajolo giudice senza prove ma tanti pregiudizi ignoranti.
– A citare fonti deboli e articoli fumosi e furbetti non si intimidisce nessuno, si dimostra solo la scarsa capacità di analisi scientifica: la prima parte dell’articolo parla genericamente di “grano” poi entra nei problemi del “grano duro”. Ennesimo artificio retorico per sprovveduti ben sapendo che dall’Ucraina arriva grano TENERO, che una salvifica legge italiana del 1961 vieta nella trasformazione in pasta secca alimentare
– Se a un ricercatore agrario, biologo o anche statistico-matematico viene affermato seccamente che “slowfood è fonte molto attendibile molto più di qualunque altra…” penso che , se educato, come minimo scuoterà la testa sconsolato.
Comunque non sono un economista e la rimando ai tanti articoli oggi disponibili. Tra i più chiari e semplici anche per i non addetti ai lavori le consiglio quello del Prof Olper di UNI Milano pubblicato sulla principale rivista tecnico-divulgativa del mondo agricolo (l’Informatore Agrario n. 28) “Il CETA, tanti vantaggi per l’agroalimentare italiano”
– Non sto difendendo il Gliphosate e il babbau cattivo della Monsanto, cercavo di chiarire una cosa elementare e lapalissiana. I limiti tossicologici non possono certo cambiare se un prodotto viene dal bio o dal convenzionale, ma vogliamo scherzare , appunto. Sarebbe gravissimo. Se si dimostra che una coltura bio è stata invece trattata siamo in presenza di frode. Diverso il discorso del baby food , con limitazione giustamente più severa, ma certo a prescindere dal luogo e dal metodo di coltivazione.
Infine e senza entrare nel merito tecnico (ci vorrebbero 10 pagine) , che poi con allegra facilità da una tastiera si accusino i “grandi” di corruzione senza prove solo perché “grandi” è gioco al massacro molto pericoloso in un periodo di neomedievalismo forcaiolo in cerca di colpevoli comunque…attenzione a non trovarsi tra la folla inferocita e venire additato come “grande” solo perché si portano gli occhiali o una camicia a fiori (è successo tante volte nella Storia).
Mi spiace ma sono allergico al fumo
Al signor fabrizio_caiofabricius o caiofabricius,
che utilizza due utenti per migliorare le sue risposte e forse anche la sua reputazione…
-Le fonti di slow food, per quanto meritevole associazione, sono a dir poco deboli e chiaramente di parte. Chi -ha laurea in Statistica e Matematica sa che dovrebbe documentarsi su lavori scientifici validati da referee -internazionali, soprattutto se pensa di pontificare in discipline che non conosce.
Certo, mi riporti lei delle fonti maggiormente attendibili. Se per lei essere a salvaguardia del vero cibo è essere di parte significa che non ha capito niente di come deve essere prodotto e consumato il cibo. Comunque non ho mai detto di avere laurea in statistica e matematica, è lei che estrapola informazioni come le conviene.
– Insufficiente quantità e qualità sono motivazioni entrambe verificatesi storicamente, con tutta la faticosa -buona volontà non vedo dove sia l’inconciliabilità. Tralasciando il passato (che non bisognerebbe però mai -dimenticare per comprendere il presente, specie quando si straparla di tradizioni…), oggi la qualità del grano -italiano ci sarebbe tutta grazie al lavoro serio di agronomi e genetisti ma è frammentaria sul territorio e -invece bisognerebbe organizzarla in grandi lotti omogenei. E’ questo penso il vulnus principale che offre il -fianco alle importazioni da Paesi invece organizzatissimi come il Canada. La quantità si può raggiungere -aumentando superfici e rese unitarie. Si può fare con politiche rigorose : si tratta di motivare -economicamente a non abbandonare la terra che poi ci frana addosso (a tutti).
Su questo posso essere d’accordo, dipende molto da come verrebbe realizzato.
– Sinceramente non capisco perché ribadisce questa sprezzante e semplicistica conclusione “Il made in Italy -fatto con materie prime straniere è un falso made in Italy”, se appunto la pasta, 1° prodotto vero passaporto -del made in Italy sin dal 1650 si fa DA SEMPRE miscelando le semole ANCHE importate. L’IGP di Gragnano, unica -al mondo , ha questo nel suo disciplinare. 4 pastifici anche importanti di Gragnano (uno è venduto come Fior -fiore COOP) hanno pensato di produrre 100% italiano, benissimo, io compro quella, ma non è che gli altri 8 -stiano facendo qualcosa di losco come ha già sentenziato invece con postverità il web forcajolo giudice senza -prove ma tanti pregiudizi ignoranti.
Glielo spiego in due parole: la trasparenza. La conclusione che mi porta a dire “Il made in Italy fatto con materie prime straniere è un falso made in Italy” deriva proprio da questo fatto. Ognuno è libero di produrre qualunque prodotto come vuole e con quale ingredienti vuole. Allo stesso tempo il consumatore deve essere informato sull’origine delle materie prime e sul luogo del processo di lavorazione.
Un paragone simile nel settore tecnologico è con la mela la quale progetta in California, ma produce in Cina e giustamente lo scrive nei suoi prodotti.
– A citare fonti deboli e articoli fumosi e furbetti non si intimidisce nessuno, si dimostra solo la scarsa -capacità di analisi scientifica: la prima parte dell’articolo parla genericamente di “grano” poi entra nei -problemi del “grano duro”. Ennesimo artificio retorico per sprovveduti ben sapendo che dall’Ucraina arriva –grano TENERO, che una salvifica legge italiana del 1961 vieta nella trasformazione in pasta secca alimentare
Visto che considera deboli e poco attendibili gli articoli che riporto, alcuni dei quali presi da wikipedia, mi potrebbe riportare lei degli articoli per validare le sue tesi. Altrimenti utilizza due pesi e due misure come è tipico di chi risponde senza citare le fonti delle proprie argomentazioni.
– Se a un ricercatore agrario, biologo o anche statistico-matematico viene affermato seccamente che “slowfood -è fonte molto attendibile molto più di qualunque altra…” penso che , se educato, come minimo scuoterà la testa -sconsolato.
-Comunque non sono un economista e la rimando ai tanti articoli oggi disponibili. Tra i più chiari e semplici -anche per i non addetti ai lavori le consiglio quello del Prof Olper di UNI Milano pubblicato sulla principale -rivista tecnico-divulgativa del mondo agricolo (l’Informatore Agrario n. 28) “Il CETA, tanti vantaggi per -l’agroalimentare italiano”
Mi dispiace per lei, dire che il CETA porta dei vantaggi all’agricoltura italiana è falso.
Le ripeto persone molto competenti, certamente più di me e lei, come Carlo Petrini hanno scritto questo: http://www.slowfood.it/ceta-made-italy/. Se lo legga…
– Non sto difendendo il Gliphosate e il babbau cattivo della Monsanto, cercavo di chiarire una cosa elementare -e lapalissiana. I limiti tossicologici non possono certo cambiare se un prodotto viene dal bio o dal -convenzionale, ma vogliamo scherzare , appunto. Sarebbe gravissimo. Se si dimostra che una coltura bio è stata -invece trattata siamo in presenza di frode. Diverso il discorso del baby food , con limitazione giustamente -più severa, ma certo a prescindere dal luogo e dal metodo di coltivazione.
Fino a quando il glifosato non sarà bandito, ci sono due possibilità: se manteniamo le leggi attuali, ci dobbiamo rassegnare ad avere tracce di glifosato nei prodotti non convenzionali più alte rispetto ai prodotti biologici. Cambiamo la legge e mettiamo lo stesso livello di residui del biologico per tutti i prodotti.
-Infine e senza entrare nel merito tecnico (ci vorrebbero 10 pagine) , che poi con allegra facilità da una -tastiera si accusino i “grandi” di corruzione senza prove solo perché “grandi” è gioco al massacro molto -pericoloso in un periodo di neomedievalismo forcaiolo in cerca di colpevoli comunque…attenzione a non trovarsi -tra la folla inferocita e venire additato come “grande” solo perché si portano gli occhiali o una camicia a -fiori (è successo tante volte nella Storia).
Certo, forse ha già dimenticato i vari scandali luxleak (https://en.wikipedia.org/wiki/Luxembourg_Leaks), crisi mondiale provocata dalle banche “risolta” con denaro pubblico (http://www.nonconimieisoldi.org/blog/la-vergogna-europea-in-tre-immagini-e-un-numero/) e altro…felice per lei che si fida dei politici UE e non UE.
L’Ucraina non produce grano duro non lo ha mai prodotto, mi spiace ma anche questa calda bufala di rassicurante postverità attesa di pregiudizi del sentito dire da micuggino
non è vera
http://www.openfields.it/sito/wp-content/uploads/2016/01/PASTARIA2015_N06_it-artOF.pdf
http://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/mercati/2017/05/18/news/grano_duro_previsto_un_calo_di_semine_e_produzione-165736164/
http://www.colturaecultura.it/content/grano-nel-mondo pag 5 e 6
http://www.arsial.it/arsial/wp-content/uploads/SINTESI-2017-ROMACEREALI.pdf pag 11
SIC et SIMPLICITER.
Fabrizio_caiofabricius ha ottima reputazione di serietà nel suo ambiente di lavoro. La invito a moderare i termini, Signore Salvatore….
Malgrado le sue tristi illazioni, ho aggiunto all’iniziale nome di Fabrizio quello di caiofabricius semplicemente per evitare il rischio che diverse attribuzioni potessero verificarsi col solo nome proprio.