La crescente diffusione di accompagnare pasti e spuntini con bevande gassate e zuccherate è andata di pari passo, negli ultimi anni, con il dilagare del sovrappeso e dell’obesità. Per arginare il fenomeno e favorire il cambiamento dei comportamenti alimentari c’è chi punta sull’aumento dei prezzi. In diversi paesi è stata introdotta una soda tax, cioè un rincaro delle imposte sulle bibite, che nelle intenzioni dovrebbe ripagare in parte, i costi sanitari causati dal consumo eccessivo di zucchero in forma di bevanda. Anche in Italia alla fine dell’anno è stata ventilata una proposta simile.
Ma quanto bisogna far lievitare i costi per ottenere un effetto misurabile e incisivo? Probabilmente più di quanto non si sia fatto finora. Per fornire una stima ragionata, i ricercatori e gli economisti sanitari della Columbia University e dell’Università di San Francisco hanno effettuato una simulazione partendo proprio dai dati della città californiana, tra le prime al mondo a introdurre una soda tax.
A tal proposito colpiscono i risultati di un’indagine pubblicata su Health Affairs, facendo ricorso alle statistiche della National Health and Nutrition Examination Survey, che ha coinvolto migliaia di persone radiografandone abitudini alimentari e salute nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006. Gli autori hanno confermato che una riduzione dei consumi corrisponde in genere un calo del peso medio, e quindi una diminuzione dei casi di obesità, diabete e malattie cardiovascolari. Probabilmente questo risultato può essere incrementato in modo significativo, aumentando un po’ la tassazione. Incrociando i dati con diverse stime, i ricercatori hanno calcolato che se la tassa applicata fosse di un penny per oncia (12 centesimi di euro per lattina), nell’arco di dieci anni si ridurrebbero i consumi del 15% e si avrebbero a livello nazionale 95.000 casi in meno di infarto, 8.000 in meno di ictus, 26.000 morti premature in meno e un abbassamento del 2,6% dell’incidenza del diabete di tipo 2.
Gli effetti sarebbero particolarmente evidenti tra i maschi di età compresa tra i 25 e i 64 anni, considerati accaniti consumatori di bevande zuccherate, mentre il risparmio di denaro pubblico collegato alla minore necessità di interventi medici sarebbe pari a 13 miliardi di dollari in dieci anni.
Non è detto – sottolineano gli autori – che una persona abituata a bere bevande dolci a pranzo cambi le proprie abitudini e torni all’acqua perchè deve pagare di più. Per questo motivo uno degli interrogativi riguarda il comportamento dei consumatori: sceglierebbero l’acqua? Oppure succhi di frutta, energy drinks o alcolici come la birra? La questione è rilevante, ma non inficia la validità della soda tax. Le bevande gassate contribuiscono all’insorgenza del diabete e delle malattie cardiovascolari, non soltando perché favoriscono l’aumento di peso, ma anche in maniera indiretta.
La loro sostituzione durante i pasti con altre bevande sarebbe comunque favorevole (si stima che per ogni 100 calorie assunte in meno, il numero di calorie rimpiazzate potrebbe arrivare, nel peggiore dei casi, a 60). L’intento è di aiutare i cittadini a riconsiderare il ruolo delle bevande dolci, invitandoli a consumarle saltuariamente come avveniva diversi decenni fa.
Alcune voci critiche hanno sottolineato che iniziative di tal genere sono discriminatorie, perché penalizzano soprattutto i ceti meno abbienti. Gli autori della ricerca hanno risposto che i dati sul legame tra disponibilità economiche e consumo di bevande zuccherate non sono così chiari. In ogni caso è proprio tra le persone meno istruite e più povere che si registrano i tassi più alti di obesità e di altre malattie collegate, nonché le minori possibilità di accedere ai servizi sanitari, soprattutto in paesi come gli Stati Uniti. Favorire l’adozione di abitudini alimentari più sane e la perdita di peso sarebbe quindi un buon modo per migliorare la salute proprio di chi ne ha maggiore bisogno.
Agnese Codignola
Bell’articolo. In effetti la capacità della tassa di disincentivare i consumi non è ancora stata chiarita. Il vantaggio di tasse minimali (come quella francese) è che, anche ammettendo che non disincentivino i consumi, riescono comunque a drenare risorse per finanziare attività come l’educazione alimentare o altre public policies in tal senso. Per fortuna in Italia come rammenta Dario il consumo di bevande zuccherate è ancora limitato.
Il cibo visto come medicina. Siamo alle solite!
Qualsiasi sostanza se presa in misura eccessiva può essere dannosa, anche il cibo. Se tu lo sai ti adegui.
Questa forma di "marketing salutistico" che vediamo ben sponsorizzata con i cibi "light" non fa altro che produrre con gli scarti alimentari dei surrogato di cibo originale.
Così si tasseranno i succhi di frutta e non si tasserà la Coca Cola Light.
Tutto ciò mi sembra assurdo.
Le ricerche condotte negli USA riflettono abitudini di consumo lontane anni-luce rispetto a quelle nostrane: le bevande dolci non sono certo popolari sulle tavole europee come invece su quelle nord-americane, per non dire dei consumi pro-capite.
Le simulazioni sui possibili benefici alla salute pubblica che deriverebbero da nuove tasse sui consumi sono quindi del tutto irrilevanti nel contesto UE.
E soprattutto, perchè continuare a drenare le tasche dei consumatori anzichè provare a educarli a diete e stili di vita equilibrati?