Bottle in water bottiglia plastica spiaggia
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Molti imballaggi contengono additivi per renderli più biodegradabili. Ma siamo sicuri che funzionino?

Le plastiche con additivi utilizzate per bottiglie e sacchetti potrebbero non essere più biodegradibili di quelle tradizionali, come vorrebbe chi le produce. È il risultato di una ricerca che ha analizzato appunto le differenze tra i classici sacchetti, borse, bottiglie in materiale plastico “tradizionale” e quelle con additivi.

Al fine di aiutarne e velocizzarne la disintegrazione, in queste plastiche denominate “oxo-degradabili”  vengono aggiunti nel processo produttivo additivi come i sali di metalli che accelerano lo “spezzettamento”  in presenza di ossigeno, luce ultravioletta o il calore, riducendo così il ridurre peso molecolare. In questo modo secondo alcuni produttori la plastica , dovrebbe frammentarsi e garantire l’accesso di microorganismi in grado di degradare il materiale . In passato diversi studi hanno messo in dubbio questa tesi tanto che molte materie plastiche oxo-biodegradabili non superano il test di certificazione di compostaggio che richiede la conversione del  60% del materiale in anidride carbonica entro 180 giorni.

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I sacchetti definiti oxo-degradabili sono stati messi al bando: gli additivi sembrano non funzionare

Il problema è stato alla base delle recenti polemiche sui sacchetti in vendita nei supermercati  che si sono concluse con la messa al bando di quelli  oxodegradabili. Per verificare il comportamento di questa plastica, i ricercatori Susan Selke e Rafael Aure della Scuola di Packaging presso la Michigan State University hanno strutturato uno studio rigoroso impiegando una miscela LDPE (usato per  le borse della spesa, per la spazzatura o i sacchetti per il pane) e fogli di PET, come quelli utilizzati per le bottiglie di acqua miscelati con tre diversi additivi. I ricercatori hanno esposto le plastiche oxo-degradabili a luce UV per circa sei giorni, l’equivalente di circa due mesi di esposizione all’aperto a Miami, e li hanno trattati successivamente come comuni rifiuti, ponendoli all’interno di una compostiera, in una discarica e nel terreno.

Misurando l’anidride carbonica e il metano che si sviluppava in contenitori chiusi in modo da simulare un reale procedimento di compostaggio e uno smaltimento diretto in discarica, i ricercatori hanno verificato  la capacità dei microbi di digerire i materiali. Dopo circa sei mesi di compostaggio e un anno e mezzo trascorso “in discarica”, i campioni che includevano plastiche con additivi non producevano significativamente più metano e anidride carbonica rispetto ai campioni di plastica tradizionale. Lo stesso accadeva i campioni messi nel terreno. Dopo tre anni, la plastica con additivi non ha mostrato un degrado  maggiore rispetto ai campioni tradizionali. I ricercatori affermano quindi di non avere prove per dire che  gli additivi favoriscono un significativo livello di  biodegradazione.

 

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Le società produttrici di plastica oxo-degradabili mettono in dubbio le caratteristiche dello studio

Le società produttrici di queste materie plastiche sostengono che le condizioni di studio non erano adeguatamente rappresentative rispetto al modo in cui le materie plastiche oxo-degradabili vengono. Non tutti la pensano così,  David J. Tönjes , esperto in gestione dei rifiuti solidi presso la Stony Brook University , SUNY, sostiene che lo studio è stato ben progettato: «Le materie plastiche con questi additivi non si degradano in tempi ragionevoli».

 

 

 

 

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Costante
Costante
21 Giugno 2015 19:04

Come ho scritto e sostenuto da molti anni, occupandomi del miglioramento del packaging alimentare, pur sostenendo che il progresso non va fermato ed è fondamentale che i ricercatori continuino a sperimentare in tutte le direzioni, i polimeri cosiddetti “biodegradabili” e compostabili in maniera inequivocabilmente comprovata sono i soli da ammettere al compostaggio. Tutti gli altri vanno prima indirizzati il più possibile a riciclo e a riutilizzo in maniera oculata tenendo conto degli aspetti sanitari, e tutto il resto della plastica DEVE rientrare nel ciclo della produzione di energia come il petrolio da cui è stata derivata, naturalmente con il minore impatto ambientale possibile, e gli impianti di incenerimento di ultima generazione, al di là delle posizioni ideologiche correnti, sono in grado di farlo in modo egregio, con valori di inquinanti residuali di gran lunga inferiori ad altre fonti inquinanti che giornalmente sopportiamo senza lamentarci allo stesso modo.