L’allerta apparsa sul sito della regione Valle d’Aosta per l’eccesso di piombo riscontrato nei contenitori di cartone per pizza, e utilizzati da 30 pizzerie fa riflettere. (Allerta rientrato dopo qualche mese in seguito ad una revisione delle analisi )
Il problema non è una novità. Nel 1994 le cronache registrarono un’allerta per motivo analoghi: contenitori per pizza venduti a prezzi molto convenienti, ottenuti da carta riciclata contenti sostanze nocive. Allora il Ministero della salute si attivò e dopo qualche anno si riuscì a moralizzare un settore che presentava molte criticità, convincendo le imprese ad utilizzare solo cellulosa vergine come prescriveva la normativa, ai tempi spesso aggirata.
La legge italiana, considerata una delle più severe in Europa, vieta l’uso di cellulosa riciclata perché nel contenitore di cartone la temperatura raggiunge i 60/65°C. In queste condizioni con un alimento umido e ricco di grassi come la pizza è plausibile una migrazione di sostanze sgradite quali: piombo, ftalati e altri composti tossici presenti nel cartone riciclato.
La normativa italiana, fissa per il piombo il limite a 3 microgrammi per decimetro quadrato, del tutto compatibile con l’uso di cellulosa vergine che non raggiunge mai questo valore. Quando però il cartone è ottenuto da cellulosa riciclata il limite può essere superato anche di 4-5 volte, arrivando a 10 o 15 microgrammi per decimetro quadrato.
Un altro divieto della legge riguarda la presenza di scritte all’interno della scatola. In Francia, Germania e altri paesi europei, le leggi sono più permissive, per cui esistono limiti per le sostanze tossiche, ma i contenitori possono contenere uno o due strati di cartone riciclato (in genere il rivestimento interno a contatto con la pizza è di cellulosa vergine, mentre gli altri strati sono ottenuti da cellulosa riciclata).
Ma come si riconoscono i contenitori a norma? Su alcuni si trova il logo composto da un bicchiere e una forchetta (vedi foto a lato). Il marchio si deve intendere come una sorta di autocertificazione della cartiera che indica la possibilità di utilizzare il contenitore per tutti i prodotti alimentari. A fianco del logo compare la scritta ” idoneo per alimenti che hanno attività estrasttiva”. Se il simbolo manca vuol dire che il contenitore non può essere impiegato nel settore alimentare. Gli altri elementi che devono essere presenti in etichetta sono il nome del produttore e il codice di tracciabilità per identificare il lotto di produzione.
Certo, la presenza eccessiva di piombo è vietata e i cartoni vanno ritirati dal commercio, ma è importante chiarire che la migrazione di questa e altre sostanze nella pizza non deve intendersi come un problema immediato. Il discorso è più generale, per cui i limiti imposti dalla norma sono stabiliti considerando l’accumulo di sostanze nocive con cui veniamo a contatto ogni giorno, attraverso l’ambiente e altri alimenti.
L’ultima considerazione riguarda la convenienza economica del pizzaiolo di usare scatole in cellulosa riciclata. I conti sono presto fatti. Un contenitore di cartone ottenuto da cellulosa riciclata costa 9 centesimi di euro. Il prezzo però aumenta progressivamente in relazione alla quantità di materia prima vergine sino ad arrivare a 15 centesimi di euro quando sono in regola con la legge italiana. Per il consumatore sono cifre ridicole, ma per chi importa o commercializza centinaia di migliaia di pezzi queste differenze sono fondamentali.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24