La petizione per dire stop alla vendita di dolciumi e snack alle casse dei supermercati ha raggiunto 9 mila adesioni in due giorni. Protesta l’Aidepi a nome dei produttori
La petizione per dire stop alla vendita di dolciumi e snack alle casse dei supermercati ha raggiunto 9 mila adesioni in due giorni. Protesta l’Aidepi a nome dei produttori
Roberto La Pira 31 Maggio 2014La petizione rivolta ai supermercati e promossa da Il Fatto Alimentare per non esporre in prossimità delle casse dolci, snack e caramelle ha superato le 9 mila adesioni in 48 ore, ha raccolto alcune adesioni e ha creato qualche disappunto.
Pubblichiamo la lettera spedita ieri da Mario Piccialuti direttore dell’Aidepi (Associazione di categoria che riunisce i produttori di dolciumi e di pasta italiani) che critica l’ iniziativa.
Gentile dr. la Pira, Le scrivo per esprimere il mio stupore nell’apprendere la notizia che una testata obiettiva e di approfondimento come “Il Fatto Alimentare” abbia lanciato una petizione contro una fascia di prodotti del mondo dolciario, o come tale viene presentata.
Senza entrare nel merito delle politiche di posizionamento a scaffale che ogni catena fa in relazione al proprio punto vendita, in primo luogo non posso non rilevare che additare come responsabili dell’obesità infantile delle tipologie di prodotto in particolare è al di fuori di ogni criterio di educazione alimentare: non esistono alimenti buoni e alimenti cattivi, questo è concetto oramai diffuso e ripetuto da tutta la comunità scientifico-nutrizionale.
In secondo luogo, la descrizione dei prodotti che Lei ha riportato nel testo della petizione “prodotti e snack generalmente ricchi di zuccheri, grassi, sale, conservanti e coloranti” e la dicitura “junk food”, mal si attagliano ai prodotti che le Aziende associate ad Aidepi, che Lei ben conosce, producono da anni, con altissimi livelli qualitativi e, in molti casi, senza zuccheri e grassi. Denigrare in questo modo prodotti che sono studiati attentamente e sui quali le Aziende investono notevolmente per renderli parte di una corretta dieta e di un equilibrato stile di vita, non si addice ad un giornalista informato come Lei.
Aggiungo infine che Aidepi ha sempre creduto e valorizzato il ruolo decisionale dei genitori nell’ambito dei comportamenti alimentari dei propri figli, a tal punto che, già dal 2007, le Aziende associate si sono impegnate a non vendere i propri prodotti all’interno dei distributori automatici posti nelle spazi delle scuole, proprio per dare al genitore la possibilità di un controllo consapevole di ciò che acquista o consuma il proprio figlio.
Con il termine “inaccettabile” definirei invece il fatto che i nostri bambini, come pure gli adulti, si muovano così poco, che le città in cui spesso vivono siano inadatte a sviluppare quell’essenziale momento di socialità che è il gioco all’aperto e che, contrariamente a quanto accade in altri Paesi europei, le politiche sociali non prevedano investimenti su attività fisica, movimento e corretta educazione alimentare.
Mario Piccialuti (direttore Aidepi -Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiana) – Roma 30 maggio
Ringrazio Aidepi, ma ritengo questa campagna assolutamente utile e forse l’unico modo per sollecitare i supermercati ad adottare una scelta doverosa. La parola inaccettabile non è casuale. Non riesco a trovare un altro modo per definire la politica delle catene catene quando espongono caramelle, snack e dolciumi in prossimità delle casse per catturare l’attenzione dei bambini.
L’iniziativa è stata presa da Tesco in Inghilterra e questa catena ha più volte dimostrato di saper cogliere prima di altri le aspettative dei consumatori. Basta ricordare la posizione del no agli Ogm partita da Tesco che ha di fatto sancito il rifiuto degli Ogm nei prodotti alimentari in Europa.
La realtà è che i bambini italiani sono bombardati ogni giorno da centinaia di input e di messaggi pubblicitari che li invitano a consumare questi prodotti e il supermercato diventa uno dei luoghi dove si compie l’atto di acquisto decisivo. Su questo concetto non dovrebbero esserci dubbi. Non le rispondo sulla questione del ruolo decisionale dei genitori e del poco movimento dei bambini, perché queste argomentazioni più volte ribadite dal fronte industriale sono deboli, superate e sin troppo banali. Siamo fiduciosi di portare avanti una campagna difficile ma corretta e per questo continueremo.
Cordialmente
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ho firmato e pubblicizzato la petizione, anche se ritengo che i veri colpevoli siano i (molti) genitori che non sanno gestire i bambini ed i loro capricci; spesso vedo capricci che “ai miei tempi” non sarebbero stati tollerati e meno che mai sarebbero terminati con la resa del genitore.
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Conosco molti genitori che fanno vedere la tv con il contagocce, che non concedono l’uso dell’Ipad al bambino di 7 anni, e che sono capaci di dire No al bambino e mantenere questa linea di condotta, anche se è la meno facile e richiede più impegno. Ma vedo anche tanti, troppi, che dopo una debole resistenza “tra mezz’ora si mangia, non ti prendo le patatine”, dopo un capriccio insistito ad arte ecco che le patatine si materializzano nelle mani del bimbo.
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Scene queste che si vedono alla cassa, certo, ma anche davanti agli scaffali. Il problema non è, non dovrebbe essere, “dove” sia posizionato il prodotto, ma chi lo compra e perchè.
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Fatta questa premessa, condivisa in famiglia, resta il fatto che il problema dell’abuso di snack, dolci, che bene non fanno, all’adulto come al bambino.
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E se c’è un problema è necessario affrontarlo, facendo talvolta una certa autocritica e magari rinunciando ad una parte dei guadagni facili, sempre che si voglia avere una condotta responsabile in nome del Bene comune.
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Non si è chiesto di rendere illegali i dolci, ma semplicemente di lasciarli nelle zone apposite degli scaffali e non posizionati in modo strategico, calcolato, per venderli a colpo sicuro. L’Etica delle aziende la si vede anche in questi frangenti. Peccato che la gran parte dei consumatori italiani non abbiano memoria lunga ed una consapevolezza necessaria. Chissà che direppe Adeipi se la gran parte dei consumatori decidesse di boicottare i supermercati e/o le aziende che ostacolano questa iniziativa chiesta da Il Fatto Alimentare?
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Vorrei citare una vicenda che porto ad esempio sul Blog, quando si parla di consapevolezza e di risposta da parte dei consumatori:
“la protesta nata in Israele per l’aumento di prezzo di un formaggio, il Cottage, un prodotto simile allo Jocca che era prodotto in Israele dalla Tnuva, una società cooperativa di proprietà dei kibuzin.
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Un prodotto a basso prezzo, consumato da tutti sino a che la Tnuva è stata acquistata da Apax, un fondo internazionale di investimenti che, fatti due conti, ha intravisto la possibilità di un facile guadagno aumentando il prezzo di un prodotto di largo consumo e confidando che i consumatori avrebbero accettato l’aumento, vista appunto l’abitudine radicata al consumo del prodotto.
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In effetti, nonostante un aumento del prezzo dell’80%, dal 2007 al 2011, il consumo è rimasto invariato sino a che una persona scrisse su Facebook che era stufa e non avrebbe più acquistato il Cottage a quel prezzo.
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150.000 persone su Facebook cliccarono su Mi piace ed 1 milione di persone non acquistò più il formaggio, facendo crollare le vendite, con perdite elevatissime, per produttori e per i supermercati, in quanto il prodotto fresco inacidisce rapidamente.
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La Tnuva abbassò il prezzo, ma a quel punto era partito il vento della protesta che si allargò poi ad altri settori… Ne saremmo capaci? Dubito fortemente…
E’ anche per le campagne meritorie e coraggiose come questa e per leggere commenti informati e preparati come questo (nonché quelli di Antonio Pratesi) che leggo con piacere e interesse ilfattoalimentare. Bravi! Grazie!
(Andrea, cittadino qualunque, amante del cibo genuino=locale)
PaoBlog, la penso come te su tutta la linea però, come mamma, sono un po’ stanca di dovere continuamente lottare contro le politiche di marketing sfrenato orientato solo a creare “tentazioni” e a generare profitti.
Che assurda petizione, si insegni ai genitori a dire di no, a non far consumare ai figli merce ancora prima di essere passati per le casse. Mendicare un cambiamento del genere sancisce l’inettitudine e il fallimento della figura genitoriali.
Di fronte a un marketing così aggressivo non è sempre facile resistere. Se si sposa la sua tesi potremmo dire che la pubblicità di snack, junk food ecc è inutile perché ci sono i genitori che educano i figli. La realtà è molto diversa chissà perché.
Aggiungo che non parlerei solo di bambini.anche per gli adulti e’ più facile resistere alle tentazioni se non te le trovi sotto il naso per dieci minuti…
Molta pubblicità a dire il vero è diretta a comunicare ai genitori coem viene prodotta e cosa contiene una merendina, esempio Kinder. Le posizioni in avancassa sono per un acquisto d’impulso e di certo non solo diretto ai bambini, vedi categorie come caramelle, gomme da masticare alla liquirizia by Perfette, lame da barba by Gillette, Gratta e vinci by Stato italiano, Pile by duracell, Cocacola, Gelati by Algida, e poi ci sono snack Ferrero, Mars, Nestlé, MA MAI le merendine e spesso patatine che sono il più grande focus dei bambini. Non penso sia il marketing il colpevole se mai io non ne vedo alcuno
Mi ero dimenticata della petizione perché gli snack alle casse per i miei bimbi non sono un problema, in quanto a fronte di ripetuti “no” ora hanno smesso di chiederli. Quindi concordo con chi dice che il problema principale è la rinuncia ad educare da parte di molti genitori. D’altro canto però i bimbi sono bombardati con tanta e tale pubblicità e marketing vario riguardo ai cibi che sono spazzatura e dovrebbero essere consumati in piccolissime quantità, checché ne dica il Sig. Piccialuti, che per i genitori, anche quelli che i figli si ostinano a tentar di educarli, una battaglia in meno da combattere è senz’altro un’aiuto, in questo caso diretto alla salute dei nostri figli, non solo alla loro educazione.
Ora vado a firmare
Sono un addetto ai lavori, mi interesso di Nutrizione e Obesità da oltre 20 anni.
Esprimo la mia solidarietà al Fatto Alimentare!
Una bellissima iniziativa, che ha messo il dito sulla piaga!
La pronta reazione di Mario Piccialuti lo testimonia!
Hanno paura, perchè questa iniziativa crea un pericoloso precedente.
Carissimo Roberto La Pira: ha notato che coloro che La criticano, sostenendo che se siamo obesi non è colpa della società ma dei genitori; oppure che è colpa della scarsa attività fisica e non dell’industria alimentare; molto spesso nei post sul Fatto Alimentare usano degli pseudonimi e non “ci mettono la faccia” (nome e cognome e magari titolo di studio)?
L’industria alimentare:
1) ha una responsabilità importante nell’esplosione dell’obesità. C’è ampia letteratura in proposito.
2) sa che l’opinione pubblica è molto importante.
3) può controllare la Radio e TV (con gli sponsor) ma non i Social Network.
Mi domando: che usino questi “troll” per contrastare la diffusione di idee corrette perchè NON vogliono che l’opinione pubblica “si svegli” e si accorga che una fetta importante dell’obesità è legata ai loro prodotti e al marketing aggressivo rivolto verso i bambini?
Antonio Pratesi
Medico – Dietologo – Nutrizionista
PS: scusate ma non rispondo a messaggi firmati con pseudonimi.
La tendenza di molte persone negli ultimi periodi, amplificata forse dal “grillismo”, è quella di considerare l’opinione diversa dalla propria come necessariamente pilotata dalle lobby di settore con lo scopo di controllare l’opinione pubblica. Si fatica ad accettare che, opinioni diverse dalle proprie, siano invece dettate semplicemente da convinzioni altrettanto legittime seppur differenti. Questo è un peccato, perchè impedisce un reale confronto tra le due parti in quanto ne delegittima automaticamente una in favore dell’altra che diventa depositaria dell’unica verità accettabile. In un contesto sociale nel quale una madre si presenta con un avvocato per accusare di furto un insegnante che aveva “sequestrato” il telefono del figlio per il contenuto hard di alcune immagini non fatico a capire che sia molto più comodo accusare figure terze (nel nostro caso le aziende alimentari e la GDO) per le gravi lacune educative di cui noi genitori siamo i primi responsabili. La sig.ra Anna, pur non mettendo il cognome e non ostentando il proprio titolo di studio ha descritto con grande realismo ed equilibrio la situazione. Noi genitori non dobbiamo sfuggire alle importanti responsabilità derivanti dal nostro ruolo educativo; se poi le aziende (ma in questo caso più che altro la distribuzione) ci daranno una mano, evitando di indurci in tentazione, ben venga. Scaricare però tutta la responsabilità su “altri” non giova a nessuno…
Volevo riprendere la frase del responsabile Aidepi: “non esistono alimenti buoni e alimenti cattivi, questo è concetto oramai diffuso e ripetuto da tutta la comunità scientifico-nutrizionale”. Conosco bene la comunità scientifico nutrizionale ma non mi pare dica questo.
Questo è un mantra che viene ripetuto dall’industria alimentare magari con la compiacenza di qualche nutrizionista che va in TV (ma che non rappresenta la comunità scientifica nutrizionale).
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In realtà ci sono alimenti che possiamo definire “buoni” o “cattivi” (in base a criteri nutrizionali) e l’educazione alimentare serve appunto ad identificarli. Ad esempio la verdura è un gruppo alimentare buono, mentre le bevande zuccherate (aranciata, chinotto, cola) sono un alimento spazzatura = junk food (acqua, zucchero e sostanze chimiche). I melograni sono un alimento buono mentre la cioccolata spalmabile più famosa al mondo, possiamo definirla un alimento cattivo (56% di zucchero bianco + 31 % di grassi, alcuni di dubbia qualità). Non esiste in natura un alimento che contenga così tanto zucchero bianco che non è necessario nella nostra dieta (il fabbisogno è zero grammi al giorno). Inoltre meno zucchero bianco introduciamo, meglio è. La frutta è un gruppo buono, le patatine in sacchetto (piene di sale,di grassi e amido a rapidissima digeribilità) possiamo definirle un alimento cattivo che è meglio evitare.
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Potrei andare avanti all’infinito.
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Quindi la frase “non esistono alimenti buoni e alimenti cattivi, questo è concetto oramai diffuso e ripetuto da tutta la comunità scientifico-nutrizionale” è un “nonsense”.
questa è una campagna diretta a colpire parte dell’industria alimentare italiana, verso la quale Roberto La Pira nutre da tempo grande disprezzo. Come molti commentano, la buona alimentazione sta nel consumare in modo moderato e in base al proprio stile di vita. Non solo, al supermercato sono i genitori che acquistano, non vedo mai bambini in coda alla cassa! Tutto sta nella capacità dei genitori di saper proporre l’alimentazione corretta e credo che uno snack dolce o salato ci possa stare benissimo, in alcuni momenti.
Gentile Anna dire che nutro un grande disprezzo verso l’industria alimentare italiana è esagerato. Se ha la pazienza di leggere qualche articolo del nostro sito si potrà rendere facilmente conto dell’errore. Tesco, Leclerc in Francia e Lidl in Inghilterra sono supermercati che hanno fatto la scelta di non esporre dolci e snack alle casse. Addossare la colpa ai genitori è come dire che gli italiani sono obesi per loro scelta. Troppo facile.
La Pira mi scusi, ma quale vantaggio si può avere dal continuare a negare la responsabilità dei genitori nell’educazione (anche alimentare) dei propri figli? Perchè non leggo mai qui che (anche) i genitori hanno le loro colpe? Chi ci guadagna a continuare a fornire alibi ad una generazione intera di educatori? Nessuno ci guadagna! Lei dice che è troppo facile dare colpa ai genitori, a mio avviso è troppo facile dare la colpa alle sole aziende. Da più di 30 anni il marketing delle aziende è indirizzato ai bambini e ingenera bisogni non necessari, da più di 30 anni i bambini sono oggetto di bombardamento mediatico, da più di 30 anni ci sono ovetti Kinder alle casse, pupazzetti o gadget nelle patatine, regalini nelle merendine, pubblicità di alimenti di dubbio valore nutrizionale nei giornali per bambini o che usano bambini nei messaggi pubblicitari.
La mia domanda è: perchè una petizione con più di 30 anni di ritardo? Perchè i genitori delle vecchie generazioni sono stati in grado di affrontare un “problema” che i genitori di oggi sembrano incapaci di affrontare?