Nei prossimi mesi il prezzo dell’olio di oliva extravergine italiano è destinato a salire e il nostro Paese dovrà importare il 60-70% del quantitativo necessario da Spagna, Tunisia e Grecia. Sono queste le conseguenze di un’annata disastrosa che, a causa degli eventi meteorologici avversi registra un calo del 38% rispetto all’anno precedente. Secondo le stime dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), il raccolto scenderà da 429 mila tonnellate di olio di oliva a 265 mila. Questa diminuzione rappresenta il valore medio tra un’ipotesi massima, che potrebbe arrivare al 45%, e una più ottimistica, che limiterebbe la riduzione al 30%.
Mentre al Nord si prevede un aumento della produzione del 30%, grazie soprattutto alla Liguria, nel Centro Italia si stima una lieve flessione legata alle difficoltà in alcune aree di Lazio e Abruzzo, non compensata dagli aumenti stimati in Umbria e Toscana. A pesare sul risultato complessivo è la situazione nel Mezzogiorno, da dove arriva oltre l’80% della produzione nazionale. La situazione è particolarmente pesante in Puglia, che rappresenta la regione principale dell’olivicoltura italiana, dove alle situazioni climatiche si aggiunge la strage di ulivi causata dalla Xylella nel Salento che continua. Lo scenario non migliora in Calabria e Sicilia.
Produzione di olio di oliva italiano in calo
Le stime sulla flessione della produzione italiana hanno già provocato un aumento del prezzo dell’olio extravergine nazionale, che dopo un minimo di 4,04 euro al chilo registrato in maggio ha visto le quotazioni salire considerevolmente sin dall’inizio dell’estate, fino ad arrivare ai 4,94 euro di settembre. In Spagna, invece, la situazione è opposta, con produzione in aumento e prezzi in diminuzione. A settembre i prezzi erano intorno ai 3 euro al chilo, così come per l’olio di oliva prodotto da Grecia e Tunisia, anche se come dato storico il prezzo dell’olio extravergine italiano è sempre superiore a quello degli altri Paesi.
Negli ultimi anni, la produzione di olive italiane ha subito forti oscillazioni: 474 mila nel 2015 e 182 mila l’anno dopo; 429 mila nel 2017 e le 265 mila stimate per quest’anno. Ismea osserva che nella storia produttiva dell’olivicoltura nazionale queste annate particolarmente negative, nelle quali più elementi contribuiscono a flessioni di grande impatto, generalmente si sono distanziate l’una dall’altra fino a 15 anni. Negli ultimi anni invece, la maggiore frequenza delle situazioni climatiche anomale sta rendendo estremamente complessa la situazione.
Il Fatto Alimentare ha chiesto a Alberto Grimelli direttore di Teatro Naturale, perché si registrano variabili così vistose tra un anno l’altro.
Ci sono diversi fenomeni diversi che si stanno sommando. Prima di tutto la tendenza all’abbandono delle piccole olivete, quelle da qualche centinaio di olivi condotte da hobbisti o olivicoltori part time. In questi casi le cure colturali sono ridotte al minimo, con accentuazione dell’alternanza di produzione naturale dell’olivo. Poi vi è l’effetto dei cambiamenti climatici, con siccità più prolungate o in periodi sensibili (come l’inolizione, il periodo di accumulo dell’olio nel frutto quest’anno) oppure fenomeni meteo estremi come grandinate eccezionali oppure come Burian, la gelata di febbraio che ha danneggiato pesantemente l’olivicoltura pugliese e italiana.
Perché i prezzi dell’extravergine italiano sono sempre superiori a quelli di Spagna, Grecia e Tunisia?
La qualità media degli oli italiani è superiore a quella di altri Paesi, secondo molti studi scientifici, a partire da quelli dell’Università di Perugia. Qualità significa costi produttivi superiori e quindi prezzi più elevati. Non è un caso che le eccellenze spagnole o greche abbiano prezzi del tutto confrontabili con quelli nazionali. Se ci riferiamo invece al prodotto commodity, quello da offerta al supermercato, lì altri Paesi si sono strutturati per creare una filiera di tipo industriale, basata essenzialmente sul contenimento dei costi. L’Italia, per storia, tradizione, motivi sociali e orografia, ha scelto di giocare la sua partita sul valore aggiunto piuttosto che sugli sconti.
Qual è il rischio che oli esteri vengano spacciati per italiani?
C’è sempre questo rischio e aumenta tanto più è elevato il differenziale di prezzo tra olio italiano ed estero. La differenza di quotazione di solito è di 50-70 centesimi di euro al litro, ma quest’anno abbiamo soperato i 2 euro e potrebbe arrivare a 3. Spacciando un olio spagnolo per italiano si ha un guadagno notevole. Se pensiamo che, solo in Italia, si vendono 50-60 milioni di litri di olio italiano, è facilmente calcolabile il margine di profitto di simili truffe.
Quanto olio di oliva importeremo quest’anno?
Possiamo fare delle ipotesi, al momento. L’Italia ha un consumo di 550 mila tonnellate di olio d’oliva e ne esporta circa 300-350 mila tonnellate, quindi ha un fabbisogno di 850-900 mila tonnellate. La produzione nazionale dovrebbe arrivare a 200 mila tonnellate, con giacenze ufficiali per 100 mila. Ala fine dovremmo importare 550-600 mila tonnellate , probabilmente soprattutto dalla Spagna visto che avrà un’ottima produzione (1,6 milioni di tonnellate) e prezzi molto competitivi.
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Penso che l’olivicoltura italiana si salva e si salverà sempre di più, con l’indicazione della monocoltura locale protetta ed anche non protetta, ma solamente dichiarata in etichetta dal produttore locale.
Lasciamo ai grandi imbottigliatori i blend con olii importati e valorizziamo le nostre produzioni al giusto prezzo.
Anche piccoli coltivatori, se organizzati in cooperative locali di produzione ed imbottigliamento, possono spuntare prezzi remunerativi, se ben presentate ai consumatori non solo nazionali.
io 15 euro al litro non li spendo … Spiegami a chi lo vendono l’olio Monocultivar DOP ecc…
Non ho inteso trasformare tutto l’olio EVO italiano in DOP, ma invitare i molti piccoli coltivatori a consorziarsi in cooperative indicando in etichetta la zona di coltivazione.
Questo non dovrebbe portare a quel prezzo, ma un vero e sano EVO con origine tracciata e dichiarata non credo possa costare meno di 10 euro/litro.
Poi ognuno faccia le proprie scelte; personalmente preferisco un solo giro d’olio veramente buono ed aromatico, piuttosto che allagare le pietanze con uno mediocre di dubbia provenienza e miscelanza.
Per la frittura, piuttosto che sprecare un EVO preferisco un buon girasole alto oleico, oppure olio di riso neutro e rispettoso dell’alimento da friggere.
E’ vero che nel mondo dell’alimentazione avviene sempre di più la manipolazione dei prodotti alimentari per fini speculativi, interessi economici mancando il rispetto alla salute della persona. L’olio di oliva extravergine dovrebbe essere rispettato non solo per le sue peculiarità alimentari ma anche per quelle sue peculiarità medicinali. Quindi a ragion veduta ritengo che oli nazionali prodotti nelle diverse regioni Nazionali per la loro capacità produttiva e conformazione morfologica non possano essere appiattiti con un prezzo medio di 6-7 €/l, come spesso viene indicato. L’Italia con le sue 480 cultivar attive su 760 schedate,ha costi di produzione,rese sul finito e qualità chicmiche-organolettiche differenti anche se simili tra Sud, Centro e Nord, quindi per le principali considerazioni suddette il prezzo cambia. Vorrei solo rimarcare che per un EVOO, alimento veramente nazionale dell’annata in corso, estratto con materia prima priva di difetti nei tempi stabiliti, con tecnologia e processi autocontrollati, confezionati ed etichettati non possono essere venduti con un prezzo di base inferiore a 15€/l. Riflettiamo pensando che un litro di olio sintetico che utilizziamo per un motore a scoppio ci viene fatturato in un tagliando dell’autovettura tra i 18-25€/l. Non vorremmo lubrificare il nostro corpo con un prodotto paritetico? Impariamo tutti quanti a riconoscere ciò che compriamo prima di criticarne il prezzo.