L’ultima terra di conquista del nuovo colonialismo è la Repubblica Democratica del Congo, dove il governatore della provincia del Katanga ha messo a disposizione degli investitori stranieri 14 milioni di ettari di terreni coltivabili.

La provincia di Katanga, sud-est del paese, è nota per la ricchezza di minerali del suo sottosuolo, già sfruttato da società come Freeport McMoran e Anvil mining. Ma il governatore Moise Katumbi vuole diversificare. «Il nostro futuro è l’agricoltura, non le miniere», ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters, promettendo esenzioni fiscali agli investitori che accoglieranno le sue offerte: «Il Katanga è grande quanto la Francia, e con 10 milioni di abitanti può considerarsi una terra libera». Una terra libera nel senso forse che la si può “liberare” facilmente dai suoi abitanti per fare spazio ai nuovi coloni.

E’ quello che sta succedendo da un paio d’anni in altre aree del paese, come le province settentrionali di Makoua e Mokeko dove, lo scorso dicembre, 470 mila ettari sono stati ceduti dal governo alla società malese Atama Plantation. Il 10 marzo di quest’anno, invece, il ministro dell’Agricoltura ha concesso alla società sudafricana Agri SA 80 mila ettari di terra arabile nel sud-ovest, province di Malalo II e Dihesse. In esclusiva, per 99 anni.

Le deportazioni sono già in corso: «Sono rimasto scioccato quando i governativi mi hanno detto che dovevo lasciare i miei campi coltivati a cassava e arachidi», ha dichiarato alla stampa Jean Mbenze, un contadino di Dihesse.

La Ligue Panafricaine du Congo-Umoja (LPC-U) ha denunciato il governo per non avere inserito, nell’accordo del 10 marzo, alcun obbligo a carico della società sudafricana, affinché almeno parte delle merci sia destinata al mercato nazionale, né per il trasferimento di know-how e tecnologie né per l’occupazione dei locali. E infatti il vicepresidente di Agri SA, Tho De Jager, ha confermato di non aver preso alcun impegno in queste direzioni.

«Lo stesso accade nelle periferie della capitale Brazzaville, dove le strisce di terra coltivate sulle sponde del fiume Congo sono state lottizzate per costruire nuovi edifici», afferma Kevin Mviri della Association for Human Rights and the Prison Environment, condannando le violenze a danno dei contadini suburbani  per scacciarli dalle loro terre: «Nessuno li tutela, e lo stato affida le loro terre a gruppi di stranieri».

La sussistenza degli abitanti del Congo è legata a circa 100 mila piccole e micro-aziende agricole, ma anche a causa di decenni di dittatura e conflitti, il 21% della popolazione soffre di malnutrizione (dati International Food Policy Research Institute).

Nel 2010 la FAO ha invitato i governi africani a evitare le cessioni massicce di terra, per non peggiorare la povertà e aggravare le tensioni sociali. Ma cosa ci si può attendere in Paesi dove regna la corruzione, in assenza di regole internazionali a tutela dei diritti essenziali delle popolazioni indigene? Poco e niente, purtroppo.

«C’est maintenant ou jamais que les Nations soucieuses des droits humains doivent défendre la dépossession des Peuples par des régimes illégitimes avec la complicité du capital, au lieu de n’avoir qu’une vision sélective quand ils réclameront leur patrimoine». (Le Bureau Exécutif de La Ligue Panafricaine du Congo-Umoja. Fait à Paris, le 31 mars 2011).

Dario Dongo

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