Dopo il blu e il rosso è arrivata anche la mozzarella gialla a completare lo spettro cromatico dei formaggi a pasta filata sequestrati in Italia presso alcuni “discount”. L’ultima notizia arriva dalla provincia di Fermo, dove il 14 settembre un consumatore ha riscontrato il colore giallo, con striature rosa, in una “mozzarella” comprata da EuroSpin. Nulla di grave dal punto di vista sanitario, ma la vicenda ha riaperto il discorso sull’indicazione d’origine. Il solito “gruppo d’opinione autoctona” ha provato ad affermare che il rischio deriva dalla produzione straniera, o comunque dalla provenienza estera delle materie prime. Questo concetto è falso, come ha più volte evidenziato Roberto La Pira in questo sito.
La questione è un’altra. Basta aprire gli occhi per notare che una caratteristica comune a queste colorazioni anomale è il prezzo dilistino molto basso. Che fare?
Suggerire ai consumatori di scegliere i prodotti di marca perché offrono maggiori garanzie è il primo consiglio, ma purtroppo non sono in molti a poterlo seguire.
Vale allora la pena di ricordare un principio cardine del diritto alimentare: “nessun alimento a rischio può venire immesso sul mercato” (reg. CE n.178/02, c.d. “General Food Law”, art. 14″).
Questo vuol dire che i consumatori devono potersi rivalere senza riserve, non solo nei confronti del produttore o dell’importatore (che a volte è difficile reperire sull’etichetta) ma prima di tutto nei confronti del venditore, per ogni problema di qualità o sicurezza
Il concetto vale in particolare per:
– i prodotti che recano un marchio commerciale (c.d. private label), vale a dire le confezioni con il nome delle catene disupermercati (es. Auchan, Carrefour, Coop, Esselunga, Conad)
– i prodotti con il marchio di un produttore che non ha sede o comunque non è reperibile in Italia
– i prodotti importati da paesi extra-Ue.
E’ proprio in queste situazioni che il consumatore – quando compra un alimento realizzato da ignoti – si affida al venditore confidando che sarà lui a garantire la bontà della merce.
Non è ammissibile che un venditore di fronte ad un problema sanitario o qualitativo provi a “lavarsene le mani” adducendo motivazioni del tipo : ” sono il venditore e non posso controllare cosa c’é dentro le confezioni…”
Bisogna affermae il concetto che il distributore deve rendere conto al giudice penale di come ha selezionato i propri fornitori, delle condizioni di acquisto e rispondere della sicurezza di ciò che vende. In questa direzione (almeno in parte) si è già espressa la Corte di giustizia delle Comunità europee, nel gennaio 2006.
Anche il legislatore italiano deve affermare a chiare lettere questa responsabilità, e le autorità di controllo devono chiudere gli esercizi che mettono sugli scaffali prodotti “low-cost” non sicuri. Solo ribadendo il concetto di responsabilità collegiale del distributore insieme agli altri operatori (importatori, produttori) eventualmente coinvolti , si può porre fine alla ricorsa al ribasso dei listini che rischia di compromettere la fiducia del consumatore e la reputazione di interisettori produttivi.
Dario Dongo
Foto:Flickr cc
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