Chi crede che la pasta nelle scatole di cartone sia più “sicura” rispetto a quella nelle confezioni trasparenti si sbaglia. A dirlo è il nuovo studio pubblicato su Packaging Technology and Science da Koni Grob, chimico dell’Official Food Control del Cantone di Zurigo.
Il cartone che si usa per confezionare alimenti, infatti, di solito è riciclato e per questo può contenere oli minerali, derivati dagli inchiostri dei giornali e dei periodici stampati, che possono depositarsi sui cibi contenuti nelle scatole: pasta, riso, cereali, crackers, noodles, biscotti e via dicendo. È vero che spesso questi oli si trovano nelle scatole di cartone ondulato, quelle che formano il “l’imballaggio secondario”, quindi non a contatto diretto con il cibo, ma questo non sembra essere una grande differenza.
Koni Grob, che da anni studia la migrazione degli oli minerali dal cartone riciclato al cibo, ha analizzato circa 120 prodotti presenti sul mercato tedesco e ha trovato che solo 30 non avevano assorbito inchiostri. Tutti gli altri ne avevano in quantità superiori ai limiti (pari a 0,6 milligrammi/chilo) con una media dieci volte superiore, con alcuni imballaggi che arrivavano a cento volte. La cosa sorprendente è che la contaminazione da oli sembra avvenire anche quando l’alimento è a contatto diretto con una confezione “primaria” di cartone non riciclato, se questa è stata stivata in scatoloni più grandi di cartone ondulato riciclato. Come a dire: gli oli minerali sono pericolosi anche quando non a diretto contatto con il cibo, ma riescono a “passare” addirittura la barriera del cartone non riciclato.
Il dato, tra l’altro, appare ancora più preoccupante se si pensa che i test sono stati fatti quando la merce era sugli scaffali dei negozi da sei settimane ma, nella stragrande maggioranza dei casi, aveva date di scadenza fino a due anni ed era quindi presumibilmente destinata ad assorbire ancora più inchiostro nelle settimane a venire.
Secondo il ricercatore elevetico ci sono diversi approcci che potrebbero aiutare a migliorare la situazione.
In primo luogo si potrebbero usare solo cartoni non riciclati, ma ci sono difficoltà tecniche insormontabili. Scrive infatti Gorb: «Non si possono lavorare negli stessi macchinari fibre naturali e fibre riciclate su larga scala, e questo significa che le industrie attuali non possono fornire gli enormi quantitativi di cartone necessari. Inoltre, la richiesta di fibre non riciclate comporterebbe un aumento della domanda di vegetali che nessuno si può permettere di soddisfare, tanto meno se si volessero impiegare solo vegetali coltivati con sistemi sostenibili».
Si potrebbe comunque partire da cartoni riciclati, continua Grob, ma selezionati in partenza e provenienti da carta meno inquinata da inchiostri. In un altro suo studio del 2010 pubblicato sulla stessa rivista, lo stesso Grob aveva dimostrato che periodici, opuscoli e carta patinata rilasciano le quantità più elevate degli oli minerali che si ritrovano nel cibo, mentre cartoni, carta da ufficio e quotidiani quelle inferiori, e spiegato dunque che la scelta del materiale di partenza è tutt’altro che indifferente.
Ma optare per materiale a basso contenuto di inchiostro può non bastare, perché comunque si verifica un trasferimento di sostanze chimiche importante: il ricercatore ha infatti provato a partire da carta che aveva inchiostri in quantità cinque volte inferiori alla media e ha ottenuto cartoni che hanno trasferito al cibo oli minerali in concentrazioni fino a sette volte superiori a quelli considerati pericolosi. «È assai improbabile ottenere buoni risultati con questo approccio», ha commentato.
«Infine – e questa sarebbe la via più percorribile, secondo il chimico – si potrebbe migliorare la separazione tra cartone e cibo, introducendo plastiche-barriera ecosostenibili. Ancora una volta, tuttavia, resterebbe il problema degli imballi, assai difficile da superare».
Gli oli minerali sono sostanze simili al petrolio, possono causare infiammazioni e, se assorbiti in quantità, elevate possono favorire la formazione di forme tumorali, anche se le stesse autorità svizzere hanno ricordato che seguendo una dieta bilanciata i rischi calano fino quasi a scomparire.
Tuttavia le autorità sanitarie non sono così tranquille, se è vero che la Food Standards Agency britannica ha annunciato l’avvio di uno studio sull’argomento. E anche le aziende forse non si sentono così sicure: Kellogg’s e Wetabix hanno già intrapreso non meglio specificati passi nella direzione della riduzione dell’impiego di cartoni riciclati, mentre alcune aziende biologiche come la Jordans hanno smesso di utilizzarli.
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Giornalista scientifica
L’articolo solleva diversi problemi non indifferenti, tra cui quello del riciclaggio che, se non svolto in modo corretto, perde il suo valore di risorsa diventando persino un rischio per i consumatori. Il secondo problema sembrerebbe la mancata presa di posizione dal punto di vista legislativo dell’Europa in merito al materiale in oggetto (per la plastica esistono regolamentazioni più specifiche anche europee che prevedono l’uso di plastica riciclata a contatto con alimenti purchè si accerti che la plastica sin dall’origine abbia sempre posseduto i requisiti previsti per contattare sostanze d’uso alimentare).
Nel caso attuale comunque, leggendo i vari studi di Grob, si può intravedeere qualche spiraglio di soluzione e cioè l’utilizzo di fogli in alluminio che facciano da barriera tra la carta e l’alimento; una soluzione interessante in termini di efficacia, meno valida in termini di costi.