Come per incanto, pannocchie e girasoli prendono il posto di benzina e gasolio. Dal campo alla strada, odore di frittura anziché di catrame. È tutto così “verde”, é tutto così “bio” – anzi, é tutto così F-A-L-S-O! I ministri europei ora devono scegleire se è meglio nutrire i bimbi affamati o saziare i SUV catalizzati? Action Aid! e Oxfam all’attacco.
Ma quanto costa? Mescolare i combustibili fossili ora in uso nel settore trasporti con il 10% di “bio-carburanti” significa sottrarre alle produzioni alimentari il 26% delle terre arabili del pianeta. Solo nel 2008, produrre cibo anziché “biofuels” avrebbe risparmiato dalla fame 127 milioni di esseri umani, poco più del doppio della popolazione italiana.
E dove si trova? Le monocolture intensive di derrate agricole primarie chiedono terra e acqua. Il mais da etanolo è pagato più di quello per le tortillas, e la sua produzione infatti prevale già nel primo Paese produttore, gli USA. Ma la terra non basta, e il business fiorisce.
Quindi? Allora si accaparra la terra nei Paesi poveri, é semplice, basta corrompere i governanti del luogo. Pensano loro poi sgombrare i terreni da persone cimiteri e villaggi. Si chiama “land grabbing”, poca spesa ottima resa. Lo fanno tutti, anche alcuni gruppi industriali italiani. Basti pensare che negli ultimi 10 anni i 2/3 delle acquisizioni di terra su larga scala ha avuto luogo nei Paesi in via di Sviluppo (un eufemismo) e finalità di produzione di biofuels.
L’ambiente, almeno? Né il cambiamento climatico né il buco nell’ozono si ridurranno per merito dei bio-carburanti. Servirebbe ridurre le combustioni piuttosto. Ma la deforestazione, la preparazione dei terreni e la trasformazione delle materie prime in carburanti hanno un impatto micidiale sull’ambiente.
La Commissione europea nel mese di ottobre dell’anno scorso, per la prima volta, ha proposto di rivedere la demenziale politica di sostegno ai bio-carburanti. Meglio tardi che mai, si inizia a considerare il conflitto cibo-carburante. Oxfam Italia e Action Aid hanno insieme pubblicato una breve analisi del progetto di riforma, con alcuni suggerimenti sul come meglio procedere, in ottica di sostenibilità a lungo termine.
Il 21 marzo a Bruxelles sarà il turno dei Ministri dell’Ambiente, a decidere quale sia la priorità. “Rien ne va plus!”
Dario Dongo
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Ed infine, che è successo il 21 marzo a Bruxelles?
Sfameremo la popolazione o l’esercito di macchine?
Una domanda che sembra uscita da un libro sci-fi.
mi associo a Francy: che è successo ?
complimenti,finalmente un’analisi che va al cuore,aggiungiamo che queste coltivazioni usano ogm,disserbo, concimi chimici pesticidi e conservsantiper cui inquinano e desertificano madre terra e non illudiamoci che l’Europa o il Papa siano in grado di aprire i granai pieni di cereali da sempre per calmierare e speculare sui prezzi (non certo per sfamare i nostri fratelli)
Esistono moltissime terre che sono state abbandonate i Europa e che potrebbero essere riutilizzate per fare prodotti biodiesel di seconda generazione. C’è un progetto in Sardegna che sta dando ottimi frutti. Rimpianta nelle terre abbandonate anche dalla pastorizia il Cardo. Da questo si estrae olio per il biodiesel e con i panetti di residui il mangime per gli animali. Non ha bisogno di tanta acqua ne di fertilizzanti o pesticidi ed aiuta a ripristinare la biodiversità nel terreno. Riutilizzo di campi abbandonati in zone marginali è la via da seguire. Questo permette anche un ritorno dei veri custodi del territorio..gli agricoltori.