Il conservante del Grana Padano sparisce dall’etichetta ma resta nel prodotto. Miracolo della burocrazia o miglioramento della tecnologia?
Il conservante del Grana Padano sparisce dall’etichetta ma resta nel prodotto. Miracolo della burocrazia o miglioramento della tecnologia?
Roberto La Pira 15 Gennaio 2019Da qualche mese è sparita dall’etichetta del Grana Padano Dop il nome del conservante lisozima, anche se il metodo di lavorazione è rimasto identico, come pure il periodo di stagionatura minimo di 9 mesi, il sapore il gusto e il prezzo. Non si tratta di un miracolo ma di una “cambio di categoria”. Il lisozima usato anche nel Grana Padano Dop, e classificato dall’Unione Europea come conservate E 1105, è stato promosso a coadiuvante tecnologico dal Ministero della salute. L’impiego del conservante si rende necessario perché le mucche che producono il latte destinato alla produzione del Grana Padano Dop sono nutrite prevalentemente con insilato di mais oltre a pastoni di mangimi Questo tipo di alimentazione comporta la possibile presenza di spore di tipo Clostridium tyrobutyricum nel latte, in grado di germinare tra il 3° e il 6°mese di stagionatura danneggiando irrimediabilmente il formaggio. Il disciplinare di produzione prevede l’aggiunta di 2,5 grammi di lisozima estratto dalle uova di gallina per ogni 100 litri di latte (ovvero 12,5 g circa per ogni forma stagionata di 40 kg).
La “promozione” da additivo a coadiuvante ha il grosso vantaggio di non dover riportare la dicitura “additivo conservante E 1105” nell’elenco degli ingredienti stampato sull’etichetta. Si tratta di un bel risultato perché d’ora in poi (salvo complicazioni dovuti a ricorsi al Tar dall’esito sfavorevole) il formaggio Dop potrà dire nella pubblicità di essere senza additivi pur dovendo indicare sull’etichetta “lisozima da uovo” per le persone allergiche. Questa promozione convince poco i produttori di Parmigiano Reggiano, che nella lavorazione del formaggio non usano il lisozima perché le mucche sono nutrite con erba medica, foraggio e mangimi vegetali senza insilato di mais e il problema delle spore non si pone. Per questo motivo i produttori di Parmigiano Reggiano Dop fino ad ora erano gli unici, insieme al Trentingrana, che potevano orgogliosamente scrivere per un formaggio a pasta dura e granulosa stagionato per 12 mesi la frase “senza additivi”. Cosa è successo? Perché sono cambiate le regole?
Tutto nasce due anni fa quando il Consorzio di tutela del Grana Padano invia una documentazione scientifica al Ministero della salute, chiedendo una variazione di classificazione del lisozima da conservante a coadiuvante tecnologico. Il motivo è che a fine stagionatura, quando il formaggio viene venduto il lisozima non esercita più la funzione di conservante perché le spore di Clostridium sono state neutralizzate da diversi fattori quali la minore umidità, la maggiore concentrazione del sale e le modifiche chimiche del formaggio. I 12,5 grammi di lisozima restano quindi nella forma, ma dopo 9 mesi non svolgono più la funzione contro le spore, quindi si possono considerare “coadiuvanti tecnologici di lavorazione” e come tali non devono essere dichiarati in etichetta.
La documentazione scientifica trova un riscontro favorevole presso l’Istituto superiore di sanità e il Consiglio superiore di sanità e il Ministero della salute l’8 maggio 2018 avalla il passaggio di categoria con una circolare (la nuova Ministra della salute Giulia Grillo viene nominata il 1 giugno 2018). Il discorso non vale per altri formaggi Dop stagionati come l’Asiago o il Montasio perché il lisozima aggiunto, avendo una stagionatura più rapida mantiene la funzione di conservante. Per contro la nuova regola potrebbe interessare altri formaggi a lunga stagionatura come Gran Moravia prodotto nella Repubblica Ceca che utilizza procedure di lavorazione e di stagionatura simili al Grana Padano.
In attesa del pronunciamento dei ricorsi al Tar avviato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano contro la decisione del Ministero della salute, va detto che secondo la normativa i coadiuvanti tecnologici di lavorazione, sono sostanze utilizzate nel processo produttivo che non rimangono nel prodotto finito ma possono lasciare residui o derivati non pericolosi per la salute. Basta pensare ai solventi usati per estrarre l’olio di semi o l’olio di sansa che sono eliminati con l’evaporazione, oppure alla C02 usata per estrarre la caffeina dai chicchi di decaffeinato. Per il lisozima la procedura è leggermente diversa, perché viene aggiunto come additivo ma poi secondo il Ministero della salute italiano diventa coadiuvante, avendo esaurito la sua funzione nel formaggio stagionato.
Secondo gli esperti dell’Istituto superiore di sanità, il lisozima nei formaggi stagionati aggiunto all’inizio della stagionatura si deve considerare un additivo perché esprime una funzione antimicrobica. Poi però a fine stagionatura diventa una sostanza inerte, perché non esprime più l’attività antimicrobica e quindi si può considerare un residuo e classificare come un coadiuvante tecnologico. La differenza sostanziale rispetto ad altri coadiuvanti tecnologici è che i 12,5 g di lisozima dell’uovo aggiunti nella forma di Grana Padano all’inizio della stagionatura, si ritrovano nel formaggio venduto al pubblico anche se in quantità inferiore. Questo aspetto tecnicamente rappresenta una particolarità non così comune visto che altri coadiuvanti tecnologici si trovano solo in tracce nel prodotto finito. A parer nostro si tratta di un aspetto critico, che forse non giustifica la promozione del lisozima da additivo a coadiuvante. Attenzione però, perché sull’etichetta del Grana Padano Dop compare ancora la scritta “lisozima dell’uovo”. Questo perché la normativa UE dal 1169/2011 prevede l’obbligo di dichiarare nell’elenco degli ingredienti la presenza dei derivati dell’uovo, trattandosi di un alimento considerato allergene.
Sulla questione lisozima registriamo oggi una dichiarazione della ex Ministra della salute Beatrice Lorenzin al giornale online dell’Appennino reggiano Redacon, in cui precisa che “si può chiedere un nuovo parere tecnico al nuovo Consiglio superiore della sanità e alla direzione alimenti del Ministero, sottolineando aspetti che potrebbero essere stati non analizzati in modo opportuno la volta precedente.” A questo punto la controversia, che doveva trovare una soluzione giuridica definitiva con il pronunciamento del Tar all’esposto del Consorzio del Parmigiano Reggiano, si complica e la dichiarazione della ex ministra potrebbe aprire un nuovo capitolo.
La vicenda ha una certa rilevanza per via dei soggetti coinvolti, ma tocca meno i consumatori italiani che distinguono molto bene il Parmigiano Reggiano da sempre considerato il re dei formaggi stagionati dal Grana Padano e dagli altri tipi di formaggi a pasta dura e granulosa sia perché costa il 35-40% in più, sia per il sapore diverso.
Ma la vera sfida da affrontare per i consorzi dei formaggi più famosi in Italia non riguarda il lisozima. I temi importanti e delicati sono ad esempio il benessere animale, dove non basta certo un salto di categoria stabilito d’ufficio per migliorare la situazione. Bisognerebbe capire anche quanti dei 52 formaggi Dop italiani sono preparati con latte di bovine alimentate con foraggi autoctoni e quante con mangimi importati, come pure focalizzare l’attenzione sugli starter e i batteri usati per le cagliate di latte crudo, pastorizzato e sterilizzato.
(*) Definizione di coadiuvante tecnologico: sostanza non consumata come alimento di per sé, volontariamente utilizzata, per ottenere e/o stabilizzare materie prime, prodotti alimentari, o loro ingredienti che può dar luogo alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o dei suoi derivati nel prodotto finito. Questi residui non devono costituire un rischio per la salute. Esempi: solventi per oli, grassi e aromi, chiarificanti per bevande alcoliche.
Foto di copertina tratta dal sito del Consorzio Grana Padano
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Punto 1: se per l’ UE è un additivo, ed è presente nel prodotto finito e può ( allergene) rappresentare un rischio per la salute dubito possa diventare un coadiuvante tecnologico per semplici esigenze di marketing..
Dall’alto della mia ignoranza mi pare una furbata.
Articolo molto interessante e ben fatto, grazie!
Il termine additivo deriva dal latino “addere” che significa aggiungere ( relativo all’addizione ). Se ciò che è “addizionato” rimane – non evapora, non sublima, non è metabolizzato, insomma non si dissolve in puro spirito – non certo un giochino di parole lo farà scomparire. Magie d’Italietta.
Mettendo da parte il fatturato del prodotto in questione, tralasciando il peso della filiera coinvolta, ma se applicassimo lo stesso ragionamento anche al nitrato di potassio/sodio (volgarmente detto SALNITRO) utilizzato nei salumi anche qui si potrebbe passare dalla categoria additivo a coadiuvante tecnologico? Effettivamente nei salumi ben stagionati, il nitrato aggiunto agisce solo nella prima fase di produzione convertendosi tramite l’azione microbica prevalentemente in ossido nitroso senza lasciare residui nel prodotto finale. Mi sbaglio?
Ma la funzione antimicrobica continua nel prodotto finito