Funghi velenosi al mercato di Padova pronti per essere venduti, ritirati dal mercato.Tragedia evitata. Si tratta di ovuli di Amanita phalloides, il più velenoso della specie
Funghi velenosi al mercato di Padova pronti per essere venduti, ritirati dal mercato.Tragedia evitata. Si tratta di ovuli di Amanita phalloides, il più velenoso della specie
Roberto La Pira 10 Ottobre 2014Ieri, nel corso di un controllo di routine al mercato ortofrutticolo di Padova, gli addetti del Servizio Igiene Alimenti Nutrizione (Sian) hanno trovato due ovuli di Amanita phalloides all’interno di un lotto composto da cinque cassette. Per capire meglio la gravità della cosa stiamo parlando di uno dei funghi più velenosi dei nostri boschi, che purtroppo spesso viene confuso con gli ovuli “buoni” cioè l’Amanita caesarea, commestibile e molto apprezzato, soprannominato il re dei funghi.
Fonti accreditate spiegano come i due esperti del Sian, che stazionano tutti i giorni al mercato per controllare i funghi portati dai cittadini, abbiamo notato questa partita di ovuli non aperti e controllando con attenzione hanno fatto la scoperta. Si tratta di una partita che era già stata autocertificata ossia controllata dal micologo dell’importatore (un’azienda di Treviso) che evidentemente ha esaminato il prodotto con una certa superficialità.
Questo è un caso gravissimo dato che stiamo parlando di uno dei funghi più velenosi e l’ingestione dei due esemplari avrebbe potuto procurare la morte o in alternativa seri danni al fegato dei malcapitati consumatori.
A seguito di questi controlli è stata avvertita l’autorità giudiziaria che ha proceduto emettendo una denuncia a carico dell’importatore. Il lotto proveniva dalla Romania, ma non presentava un’etichetta corretta, non essendo indicato il fornitore e quindi senza tracciabilità. L’aspetto che desta preoccupazione è che il lotto di ovuli era stato certificato dal micologo dell’azienda e quindi aveva tutte le carte in regola per arrivare sul mercato, con le tragiche conseguenze che si possono immaginare.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
È possibile, al mercato, avere garanzie che i funghi che si stanno comprando sono di origine italiana?
La tracciabilita e obbligatoria e sull’etichetta deve essere indicata l’origine
Il problema qui non era l’origine, ma la errata determinazione della specie.
@nino
Certo, ma rimane la speranza che chi non basa il proprio business su prodotti economici di scarsa qualità (perché penso che si possa tranquillamente dire che i nostri funghi sono più buoni di quelli rumeni) non vada a lesinare sui controlli.
Fabrizio, Lei pensa tranquillamente male. Fortunatamente ai funghi poco importa dei confini. Sono ben altre le condizioni che determinano i caratteri organolettici di un fungo. Buona serata.
Questo varrebbe anche per i tartufi, immagino, essendo funghi. Allora perché certi tartufi italiani sono così apprezzati, mentre tartufi di altri paesi no? Solo brand?
Buongiorno Fabrizio. Credo Lei stia generalizzando troppo e si risponde da solo. Scrive “certi tartufi”: giusto. Di tartufi ce ne sono diverse specie e la stessa specie può variare i caratteri organolettici da zona a zona. Ripeto il concetto sperando di essere chiaro. I funghi non conoscono confini. Ci sono ottimi boschi in Italia come in Romania o in Serbia, i terreni variano composizione chimica da zona a zona in Italia come nel resto del mondo. Non parliamo poi delle condizioni climatiche. Relativamente alla questione sicurezza, paradossalmente i funghi provenienti dall’estero dovrebbero essere più sicuri (obbligo di controllo da parte del micologo) rispetto a quelli nazionali dove ci sono raccoglitori che forniscono direttamente dei ristoranti. Nel caso in oggetto qualcosa non ha funzionato e mi sorge un dubbio: lo scambio tra phalloides e cesarea può accadere allo stato di ovolo chiuso…ma proprio per questo, non si era vietata la vendita della cesarea in questo stato proprio per questi rischi? Magari Giovanni, che vedo ben documentato sulla normativa vigente, potrebbe aiutarci.
Gentile Nino, se un ristorante acquista funghi da un raccoglitore questi devono essere accompagnati da un documento che certifichi la loro commestibilità emesso dall’autorità preposta, ad esempio: http://www.ausl.bologna.it/asl-bologna/dipartimenti-territoriali-1/dipartimento-di-sanita-pubblica/funghi/obblighi-per-la-vendita-dei-funghi
Grazie per le risposte, Nino. Mi è chiaro che le condizioni per la crescita di tartufi di buona qualità non conoscono confini; ma se dovessi prendere alla lettera questa affermazione, e generalizzarla a vari prodotti della terra, dovrei concludere che non ha senso parlare di specialità regionali di gran pregio (facendo pure la tara relativa a specialità dove la lavorazione ha un impatto sulla qualità, come per esempio il vino).
Per cui ripeto la domanda in forma più esplicita: esiste una produzione di tartufo, in altri paesi europei, che sia della stessa qualità del Tartufo d’Alba? Oppure quest’ultimo è semplicemente sopravvalutato?
@Valeria Nardi: giustissimo ma non credo che tutti i funghi raccolti passino per quella strada. E’ un opinione personale e per questo, se mangio funghi fuori casa, lo faccio in posti conosciuti. E’ una mia fisima.
@Fabrizio Giudici: vedo che Lei è passato dall’Italia alla zona di Alba. Non conosco particolarmente il tartufo ma evidentemente nella zona di Alba ci sono delle condizioni (bosco, terreno, microclima) favorevoli ad un tartufo di qualità. E’ per questo che si chiama d’Alba e non d’Italia. I confini ai quali mi riferivo sono quelli degli stati nazionali ai quali lei faceva riferimento con la generalizzazione “funghi italiani” e “funghi rumeni”. Sinceramente credo che la cosa sia alquanto ovvia.
Nino, credo che chi conosce l’italiano sa interpretare l’italiano, anche se uno non scrive un trattato e usa gergo colloquiale. Tra italiani, mi pareva ovvio che quando si parla di “prodotto italiano” si parla si specialità regionali, e non è che uno deve mettersi sempre ad elencarle tutte per farsi capire.
Ho scritto “Alba”, come potevo scrivere “tartufo di San Giovanni d’Asso”, che magari pochi lettori conoscono. Per quanto riguarda i funghi porcini, potevo citare quelli del Monte Amiata, per fare sempre un esempio tra tanti, non necessariamente il migliore, ma quello che conosco. Poi ci sono quelli selvatici e quelli coltivati.
Come vede, mi ha fatto scrivere parecchie righe, che però non aggiungono informazioni importanti. Ma ora lei può forse finalmente soddisfare la mia domanda citando alcuni nomi di prodotti tipici, tartufi o funghi, di vari paesi europei, come la citata Romania, e finalmente rispondermi se sono di qualità confrontabile a una delle tante specialità regionali nostrane.
Grazie.
Fabrizio, Lei ha deciso che i funghi italiani sono i migliori. Va bene così. Non è un problema. In quanto alla sua domanda un semplice blind test le darà la risposta che cerca. Mi perdoni, non per farle scrivere altre righe, ma quando scrive “poi ci sono quelli selvatici e quelli coltivati”…esattamente a cosa si riferisce?
Mi scusi Nino, io non ho deciso niente. Ho fatto una domanda. Sono ancora in attesa di avere la risposta. Rimaniamo sulla domanda originale, senza allargare il discorso, perché non è un modo efficace di ragionare.
Grazie.
Credevo di aver risposto. Evidentemente non è così. Quindi non so rispondere alla sua domanda. Se vuole essere cortese da rispondere alla mia. Grazie.
Non vedo nomi di prodotti fungini regionali tipici extra-italiani in questa discussione, per cui non posso non concludere che la risposta non c’è. Non ho potuto neanche sapere la sua opinione se i prodotti tipici italiani con “brand” sono effettivamente più buoni o se è solo pubblicità. Pazienza.
In quanto ai funghi coltivati, anche coltivati in serra, presumo siano più facilmente controllabili e sani rispetto a quelli raccolti selvatici. Ma magari mi sbaglio. E se sono più sicuri, forse sono un po’ meno buoni? Visto che mi dicono che non si capisce, queste sono altre domande e magari qualcuno vorrà rispondere.
Riguardo all’osservazione di dennis, ha certamente ragione: il punto fondamentale è che qualcuno ha sbagliato e non doveva succedere e qui le autorità devono risolvere un problema. Ma mi concederà che più corta è la filiera, più si hanno garanzie che non ci siano pasticci.
Beninteso, che non sono per niente un appassionato del km zero da applicare in tutto e per tutto.
Fabrizio, rispondo riportando il virgolettato per mia comodità (sono in treno, con un tablet e la connessione va e viene)
“Non vedo nomi di prodotti fungini regionali tipici extra-italiani in questa discussione, per cui non posso non concludere che la risposta non c’è.”
E’ così Fabrizio. Non ho notizia di IGP, DOP etc etc sull’estero.
“Non ho potuto neanche sapere la sua opinione se i prodotti tipici italiani con “brand” sono effettivamente più buoni o se è solo pubblicità. Pazienza.” La mia opinione è che buona parte è pubblicità. Sono talmente tanti i parametri che intervengono nella crescita di un porcino che nessun disciplinare potrà formalizzarli.
“In quanto ai funghi coltivati, anche coltivati in serra, presumo siano più facilmente controllabili e sani rispetto a quelli raccolti selvatici. Ma magari mi sbaglio. E se sono più sicuri, forse sono un po’ meno buoni? Visto che mi dicono che non si capisce, queste sono altre domande e magari qualcuno vorrà rispondere.”
Esistono funghi che si possono coltivare e altri no. I porcini ad esempio sono tra questi ultimi. Il porcino è un fungo simbionte della pianta alla quale si lega. Ed è uno dei parametri che più influenza (a mio avviso) i caratteri organolettici. Quindi, ad un ipotetica e generica domanda: “preferisce un porcino cresciuto in Romania, vicino a Cluj, a 400 metri, simbionte di un castagno oppure un fungo cresciuto in Italia, vicino Cavalese, a 1600 metri, simbionte di un abete, risponderei il primo (ben sapendo che sarebbe una risposta generica perché non vengono forniti altri elementi importanti). Ricollegandomi alla precedente considerazione e ricordando che i porcini non sono coltivabili: In Italia esiste un fungo IGP: come fa un disciplinare di “produzione” a influire sulle caratteristiche organolettiche di un prodotto selvatico?
“Riguardo all’osservazione di dennis, ha certamente ragione: il punto fondamentale è che qualcuno ha sbagliato e non doveva succedere e qui le autorità devono risolvere un problema. Ma mi concederà che più corta è la filiera, più si hanno garanzie che non ci siano pasticci.
Beninteso, che non sono per niente un appassionato del km zero da applicare in tutto e per tutto.”
Come ho scritto precedentemente, mi sembrava che la vendita di A. cesarea allo stadio di ovolo chiuso fosse vietata proprio per le difficoltà di determinazione corretta della specie. Bisognerebbe avere altre informazioni in merito al ritrovamento.
Buona giornata
Grazie per le risposte, Nino.
E i controlli sono rigidi come per la commestibilità?
Fino a pochi anni fa il controllo dei funghi freschi spontanei era obbligatoriamente affidato alle Aziende USL o meglio ancora la legge nazionale (legge 352/93 e DPR 376/95) affida alle AzUSL poi ogni regione ha legiferato in questo settore affidando ai micologi non pubblici il controllo sul commercio.
Vorrei sottolineare due aspetti: il primo che il legislatore nazionale aveva assegnato al pubblico per maggiore garanzie ai consumatori come avviene ancora oggi ad esempio per il controllo nel settore animale veterinario nei macelli; il secondo aspetto nonostante numerose sentenze dei giudici di lavoro, il Ministro della Salute non considera la figura del “micologo” una professione sanitaria il micologo che quindi che opera nel privato non ha quindi nessun obbligo di formazione ECM e neanche un ordine professionale.
sono sconvolta che una cosa così grave possa accadere in un mercato aperto ogni giorno a tantissime persone.
Per fortuna i controlli ci sono.
Vorrei nuovamente intervenire sulla discussione sui funghi e tartufi e relativi controlli.
Per quanta riguarda i funghi selvatici freschi la normativa nazionale è chiara per essere commercializzati e venduti è necessario che i funghi siano visitati dal micologo, gli ovuli devono essere visitati tutti quanti, è sufficiente spellare la superficie per verificare il colore del cappello che deve essere sempre rosso arancio, colori bianchi o verdognoli significa che si tratta di A. phalloides (mortale). Per i tartufi la normativa prevede (Legge 16 Dicembre 1985, n. 752 succ. mod e integrazioni) che solo determinate specie possono essere vendute e non altre (vietate), si assiste purtroppo spesso alla vendita di tartufi (esempio Tuber indicum -tartufo cinese- frammisto a Tuber melanosporum ) non consentiti o spacciati per nostrani o sofisticati con tossici, esempio è il Choiromyces meandriformis (tossico) spacciato e aromatizzato artificialmente venduto come Tuber magnatum.
Lasciate perdere le discussioni su quali funghi siamo migliori: italiani, rumeni ecc. Il fatto gravissimo che sta passando in secondo piano è questo:
“Si tratta di una partita che era già stata autocertificata ossia controllata dal micologo dell’importatore (un’azienda di Treviso)”.
Questi funghi erano stati “CONTROLLATI” da un “esperto”(?)
Ora vorrei sapere se questo “esperto” verrà in qualche modo punito per il suo errore, che fortunatamente non ha causato conseguenze.
Domanda: se non ci si può fidare di prodotti controllati, di cosa possiamo fidarci?
Entro anch’io in cerca di info: leggevo qualche anno fa che i funghi bioaccumulano /biomagnificano gli isotopi radioattivi come quelli di Chernobyl tuttora attivi e distribuiti in giro per l’Europa! Anche REPORT fece vedere un filmato dove in zona radiattiva un militare rideva del fatto che molti funghi del luogo venivano raccolti e spediti in Italia ( conn triangolazioni aggiungo io) dove il loro BASSISSIMO PREZZO DI MERCATO (pochi euro/kg) tradisce il fatto che LOGICAMENTE NON POSSO ESSERE STATI RACCOLTI IN ITALIA (che comunque non è del tutto esente da aree radioattive) alla faccia della cassetta con cartellino micologico dove astutamente e sotto gli occhi di tutti vengono collocati dai venditori senza scrupoli ! Negli allarmi alimentari europei, anni fa bastava CLICCARE LA F DI FUNGHI per vedere una valanga di sequestri frontalieri per eccesso di radioattività! Come mai nessuno ne parla? e era tutta paranoia? io non mangio più neppure quelli secchi! Purtroppo! Ciao, L
Argomento interessante. Che io sappia l’Italia, subito dopo la tragedia di Chernobyl, prescriveva l’obbligo di analisi per tutti i funghi in arrivo dall’estero. Non so se sia ancora in vigore o meno. Forse è comunque un parametro che le aziende monitorano in autocontrollo anche se è una cosa che comprendo di più per quelli secchi che per quelli freschi (veloce deperibilità).
Il controllo sulla radioattività si fa attualmente solo sui lotti di funghi provenienti dalla Macedonia. Ricordiamoci della guerra dei Balcani dove sono state utilizzare le bombe ad uranio in poverito.. non solo Chernobyl
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