La censura della fotografia che ritrae lo chef Carlo Cracco, protagonista del programma MasterChef, a fianco di una donna nuda che impugna un grosso pesce posizionato in corrispondenza dei pantaloni, ha creato un certo numero di commenti. Diversi lettori e lettrici hanno in un certo senso giustificato o comunque mostrato un certo stupore per la decisione del Comitato di controllo dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria che ha censurato la fotografia.
Per rendersi conto di quanto sia diffusa la pubblicità sessista e del livello che riescono a raggiungere i pubblicitari, proponiamo alcuni esempi di pubblicità censurate dall’Istituto di autodisciplina pubblicitaria perché ledono la dignità della donna e mercificano il corpo femminile, proprio come la foto con Cracco.
Non solo Carlo Cracco: le pubblicità sessiste
La Ilva ha pubblicato sulla rivista Wired di gennaio 2012 un’immagine tratta dalla copertina della rivista Toiletpaper Magazine, che ritrae il fondoschiena di una signora, con una carta da gioco infilata in mezzo alle natiche, affiancata dalla foto del famoso liquore Disaronno.
Il secondo caso riguarda un manifesto apparso in provincia di Foggia che reclamizza l’attività dell’azienda Co.Se.Me, specializzata nella vendita di cereali. L’immagine mostra una donna a torso nudo che in una mano tiene un fascio di spighe e con l’altra cerca di coprire il seno. La frase abbinata dice “Molto più di una prima…” alludendo alle misure del seno.
Il terzo messaggio è firmato dalla linea di abbigliamento per giovani Sisley del gruppo Benetton. Nel settembre 2010 su molti giornali femminili e anche sui manifesti stradali di diverse città è apparsa l’immagine di una donna sdraiata sul pavimento di un supermercato, con in bocca un cetriolo. Secondo l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria che ha censurato la fotografia e lo slogan inglese “let it flow” (ovvero “lascialo scorrere”) risulta un evidente richiamo sessuale che lede la dignità della donna.
Il quarto messaggio è firmato dall’azienda vitivinicola Lepore, che in un manifesto affisso a Pescara, propone la sagoma di un corpo femminile con un calice di vino posizionato al posto delle mutande. La parola “Degustala”, seguita da un punto esclamativo non lascia molto spazio all’immaginazione.
Purtroppo in Italia non esiste una legge che vieta l’utilizzo di immagini che calpestano la dignità della donna per pubblicizzare un prodotto alimentare o un vestito. Le aziende possono fare quello che vogliono. Le poche intercettate, anche se vengono censurate, non subiscono grandi danni, visto che quando arriva la sentenza le campagne il più delle volte sono finite.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24