L’Aidepi (l’associazione di categoria che raggruppa quasi tutte le aziende di prodotti da forno) ci ha scritto precisando che i consumi di olio di palma giornalieri provenienti dai dolci sono pari a 2,88 grammi al giorno (pari al quantitativo presente in due biscotti Mulino Bianco tipo Abbracci o Campagnole). Il dato è ricavato elaborando fonti Istat, Inran e un lavoro da un lavoro Elena Fattore e Roberto Fanelli dell’istituto Mario Negri finanziato dalla stessa Aidepi. Questi numeri sono privi di validità essendo basati su rilievi riferiti ad analisi realizzate quando poche aziende usavano il palma. Ora l’Italia è il principale importatore europeo di palma e i consumi sono lievitati in modo esponenziale.
Due mesi fa abbiamo chiesto a Stefania Sette, (ex Inran ora CreaNut) che ha seguito insieme a Catherine Leclerq la ricerca sui consumi di grassi saturi citata da Aidepi, una stima aggiornata. Ecco cosa ci ha risposto.
“L’assunzione di grassi saturi nella popolazione italiana (indagine INRAN SCAI 2005-06) è dell’11,2% dell’energia, pari a 26.2 g/die (range 16.6-33.1 g/die, rispettivamente nei bambini piccoli 0-2 anni e negli adolescenti maschi 10-17 anni). Considerando che in media il consumo di biscotti e dolci è di 31 g/die e ipotizzando una composizione media di acidi grassi saturi pari a 11 g/100 g di prodotto, l’assunzione di acidi grassi saturi da biscotti e dolci è di circa 3,4 g/die nella popolazione totale (0-99 anni). Se tale stima si applica agli adolescenti maschi, si ottiene una assunzione di circa 6 g/die di acidi grassi saturi da biscotti e dolci. Chiaramente queste valutazioni derivano da una media di popolazione che include consumatori e non consumatori”.
Come si vede il consumo reale è superiore del 17% rispetto a quello proposto da Aidepi e l’assunzione per i ragazzi è il doppio. A questo punto non solo mettiamo in dubbio l’attendibilità, dei dati ma invitiamo l’associazione a aggiornare le stime e ad informare correttamente i consumatori per dare una veritiera informazione.
Di seguito la lettera dell’associazione.
Gentile Direttore, in un suo post lei ha messo in dubbio l’attendibilità dei dati di consumo giornalieri di acidi grassi da olio di palma da noi diffusi. Le rispondiamo volentieri confermando però quei numeri e citando, per lei e i suoi lettori, le fonti. La nostra stima di circa 3 grammi (2,88 grammi) è ricavata dal riscontro incrociato di due diverse fonti. La prima è l’ISTAT, dati relativi al commercio estero 2011, secondo i quali le importazioni italiane di “olio di palma” destinato al settore dei dolci ammontano a circa 175.000 tonnellate, l’11% del totale. Considerando la popolazione italiana (nel 2011, 59.470.000 persone) e la quota di prodotto, circa il 30% (dati 2011), che non viene consumato in Italia perché destinato all’export, si ricava un dato di consumo pro-capite annuo di olio di palma nel settore dolciario di poco più di 2 kg, equivalente a circa 6 g/persona al giorno dei quali poco meno di 3 g, relativi ad acidi grassi. La seconda fonte è lo studio “L’olio di palma e gli effetti sulla salute” dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, firmato dalla dott.ssa Elena Fattore e dal dr. Roberto Fanelli, da noi commissionato. In questo caso si sono combinati i dati di consumo medi nella popolazione italiana (Leclercq et al. 2009) con il contenuto di acidi grassi saturi delle principali categorie alimentari, rilevabile nelle tabelle di composizione degli alimenti dell’INRAN.
I risultati indicano, citiamo dallo studio, “i formaggi come categoria alimentare che contribuisce maggiormente all’assunzione di acidi grassi nella dieta, seguita dall’olio di oliva, dalle carni e insaccati, dal latte, yogurt e dai dolci. L’intake totale medio di acidi grassi saturi ottenuto con questa stima è risultato pari a 28 g/persona-giorno e il contributo dei prodotti dolciari 2,88 g/persona-giorno, corrisponde al 10%”. Il che significa che se esiste un problema di eccessivo intake di grassi saturi da parte degli italiani, per il 90% ha fonti diverse dai dolci.
Mario Piccialuti direttore AIDEPI (Associazione italiana Industrie del Dolce e della Pasta)
© Riproduzione riservata
Le donazioni si possono fare:
* Con Carta di credito (attraverso PayPal): clicca qui
* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264
indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Al supermercato, sto controllando le etichette delle confezioni di passata di pomodoro. Effettivamente, finora ho trovato solo ció che speravo: indicazione di pomodori italiani/di coltivazione italiana. Niente “made in Italy”, che come da servizio sarebbe compatibile con pomodoro cinese. Che anche se non necessariamente dannoso, da ITALIANO vorrei evitarlo. Si parlasse di couscous sarei meno patriottico diciamo.Pur nelle sue criticità da voi segnalate, il servizio qualche informazione me la ha lasciata, utile, mi sento un briciolo piú informato e, come si vede, tranquillizzato e non terrorizzato. Piú difficile controllare le salse, ancora non ho potuto controllare la Rubra, spero non mi cada un mito…