Lo spazio e l’attenzione dedicata dai media ai cittadini-consumatori è aumentato e in decine di programmi ormai si parla di cibo, di ricette e sicurezza alimentare con troppa superficialità. In molte di queste trasmissioni i cuochi diventano esperti nutrizionisti e i conduttori si trasformano in tecnologi alimentari. Alla fine il bilancio è disarmante perché questo sconfinamento dei canali televisivi nel mondo del cibo affiancato dagli esperti improvvisati che transitano su alcuni giornali crea molta confusione. La situazione si complica ulteriormente considerando Facebook, YouTube e i blog che rilanciano a raffica notizie verosimili o palesemente false. Il sistema utilizza il metodo del “copia e incolla”. Basta un titolo efficace e una bella fotografia per trasformare un falso allarme in notizia. Quello che segue è una rassegna di episodi inventati o poco attendibili proposti da testate prestigiose e siti spregiudicati. Il problema è sempre esistito, ma la novità è che adesso solo in pochissimi casi si riesce a ripristinare la verità.
La bufala del grano ammuffito di Barilla lievita in rete e trova ospitalità in numerosi siti nei primi mesi del 2012 nonostante la notizia sia caratterizzata da diversi elementi chiaramente falsi, che però colpiscono la fantasia del lettore. La notizia comincia dicendo che il marchio Barilla è diventato americano (non è vero), e prosegue con assurde teorie sostenendo che l’azienda usa grano ammuffito importato dall’estero. Il testo continua parlando dei contadini del Sud-Italia affamati perché non possono più vendere il loro grano in competizione con quello importato. La storia è molto suggestiva, ma poco attendibile, visto che Barilla importa il 30% di materia prima perché l’Italia non ne produce a sufficienza. La notizia si conclude con un appello al boicottaggio del marchio Barilla e degli altri marchi di proprietà cita a Motta che notoriamente appartiene ad un altro gruppo.
La bufala del latte ribollito 5 volte fa strage di contatti in rete e gira per mesi sui moltissimi siti con diverse riprese sui media. Il testo dice che per legge il latte può essere pastorizzato a 190°C anche cinque volte e poi rivenduto. Si tratta di una storia assurda basta pensare ai costi vertiginosi che comporta il riscaldamento a 190°C ripetuto diverse volte. In realtà il latte si pastorizza a 72°C circa una sola volta e nessuno ha l’interesse economico a rigenerare un prodotto che le aziende agricole vendono a 35 centesimi. La falsa notizia parla anche di un codice segreto riportato sulla confezione fornendo spiegazioni su come decodificarlo. La storia è affascinante ma è del tutto inventata, il codice è poi quello utilizzato per la tracciabilità dell’involucro.
La storia del pane rumeno surgelato venduto nei supermercati italiani dopo essere stato precotto in Romania in forni a legna alimentati con legno di casse da morto è firmata da Paolo Berizzi ed è pubblicata in prima pagina su la Repubblica del 22 gennaio 2012. Purtroppo la notizia viene ripresa da altri media e diventa un “evento”. L’autore (non certo privo di fantasia), lascia intendere che in alcuni forni rumeni a gestione familiare la legna proviene da scarti di bare e pneumatici “ispirandosi a certe abitudini camorristiche della Campania”. Secondo Berizzi questo pane viene comprato a 0,6-1,0 €/kg e venduto nei supermercati, nelle mense e in altre comunità. Premesso che molti supermercati riportano sui sacchetti l’indicazione dello stabilimento di produzione, c’è un piccolo particolare che sfugge al giornalista. I forni industriali non sono alimentati a legna. Forse Berizzi pensa che in Romania il pane destinato all’export si prepari in forni simili a quelli delle pizzerie! L’idea è affascinante, ma un po’ fuori dal tempo, l’articolo assomiglia più alla sceneggiatura di un film horror e non fa certo bella figura sulla prima pagina de la Repubblica.
La notizia dell’olio extra vergine spagnolo, marocchino e tunisino con il 40% muffe, comprato dalle aziende italiane a 25 centesimi è firmata ancora da Paolo Berizzi su la Repubblica del 23 dicembre 2011. L’articolo è avvincente, ma privo di riscontri concreti. La vicenda prende spunto da un’analisi condotta alla fine di novembre da Coldiretti, Unaprol e Symbola su dieci bottiglie di olio extravergine di oliva (di cui non è dato conoscere le marche) inviate in forma anonima all’Agenzia delle Dogane di Roma per effettuare l’analisi organolettica. Secondo quanto riferito dal comunicato ufficiale di Coldiretti, gli esperti hanno evidenziato nel 40% dei casi presenza di muffe (si tratta di una dizione impropria visto che il panel può evidenziare un difetto di muffa dovuto alla cattiva conservazione delle olive e non certo di muffe nell’olio come viene scritto).
Il referto analitico prosegue con il 16% di campioni di olio proveniente da olive alterate (forse Coldiretti voleva dire più correttamente di cattiva qualità) e con l’8% dell’olio ottenuto da olive rancide (forse Coldiretti voleva dire più correttamente con una nota di odore di rancido). Accantonate queste inesattezze, nel testo si legge che tra le dieci bottiglie non ci sono marchi Dop e nemmeno oli qualificati come 100% olio italiano. È lecito chiedersi a questo punto come è stata fatta la campionatura? Perché sono state escluse alcune categorie e qual è il valore statistico di un lavoro realizzato su pochissimi campioni per di più anonimi? Si tratta di un campione rappresentativo dell’1%, del 10% o del 50% del mercato? Abbiamo chiesto a Unaprol e Coldiretti i documenti analitici originali del laboratorio per capire meglio, ma ci è stato risposto che si tratta di analisi “riservate oggetto di indagine” da non divulgare!!!
Il terzo punto “critico” della storia, è la tesi secondo cui l’80% delle bottiglie di extravergine vendute in Italia contiene olio di diversa origine. La vicenda viene presentata come uno scandalo, quasi una presa in giro per il consumatore. In realtà le indicazioni riferite alla provenienza dell’olio sono sempre riportate sulle etichette anche se spesso in caratteri tipografici minuscoli. La legge permette a un’azienda italiana di imbottigliare olio spagnolo, tunisino, greco o di altre nazioni e di indicarlo in etichetta e vieta di usare frasi o immagini tali da trarre in errore sull’origine della materia prima il consumatore.
Il tentativo dell’operazione “olio ammuffito” è di screditare l’olio di oliva dei Paesi europei ed extra-europei giudicandolo, per principio, di bassa qualità e dando per scontata una superiorità del prodotto made in Italy. Più che di un’inchiesta giornalistica sembra di leggere una favola per bambini dove si racconta che il prodotto italiano è “sempre buono”, mentre quello degli altri Paesi è “sempre cattivo”, senza uno straccio di riscontro analitico.Un altro appunto su cui sorgono legittimi dubbi riguarda i prezzi indicati dall’autore, quando parla di olio spagnolo acquistabile dal produttore a 50 centesimi al litro, e di olio tunisino a 20-25 centesimi! Basta osservare le quotazioni giornaliere della borsa merci per rendersi conto di quanto siano assurdi questi valori e come solo un distratto cronista possa proporli ai lettori senza verificare la fonte.
La verità è che in tutti i Paesi mediterranei si imbottiglia volentieri extravergine mediocre, venduto poi a prezzi stracciati. Il più delle volte si tratta di olio deodorato (in parte legalizzato da una direttiva comunitaria che lo ha promosso di categoria trasformandolo per legge in extravergine), oppure di olio con difetti organolettici. Purtroppo l’inchiesta un po’ evanescente dell’olio condotta dal quotidiano la Repubblica è stata ripresa a livello internazionale da diversi media, e le autorità cinesi hanno addirittura deciso di vederci un po’ più chiaro. Il giornalismo investigativo è uno strumento importante del nostro mestiere, ma bisogna imparare a distinguere le grandi inchieste dalle bufale.
La storia delle caraffe che rendono l’acqua del rubinetto non più potabile è una notizia da prima pagina, ma purtroppo si basa su un documento che nessuno giornalista ha letto e che probabilmente non esiste. Eppure i titoli dei giornali (Corriere della Sera articolo di Margherita De Bac) e delle 45 testate on line che dal 25 al 28 marzo 2012 riprendono una fantomatica dichiarazione del ministro della salute risultano molto chiari: Balduzzi: “le caraffe sono dannose”, Il ministro Balduzzi censura le caraffe, Caraffe filtranti: acqua a rischio secondo Ministero della Salute, Ministero Salute: no a caraffe filtranti. La verità è che: l’ufficio stampa del Ministero non sa niente della dichiarazione, il Decreto ministeriale pubblicato sulla Gazzetta ufficiale relativo alle caraffe e ad altri apparecchi per il trattamento dell’acqua potabile non censura nessun articolo, questi oggetti sono tranquillamente venduti in Europa e il Consiglio superiore della sanità non considera caraffe e filtri pericolosi per la salute.
Il Fatto alimentare ha intervistato due volte Luca Lucentini Direttore del Reparto di Igiene delle Acque Interne dell’Istituto superiore di sanità ,autore del dossier sulle caraffe che dissente dalle allegre informazioni riportate sui giornali, probabilmente suggerite da qualche lobby. Eppure i titoli che abbiamo citato sono veri e le parole del ministro sono messe tra virgolette. Forse qualcuno si è inventato le dichiarazioni? Probabilmente le caraffe domestiche servono a poco ma dire che peggiorano la qualità dell’acqua è solo un passaggio ardito frutto di fantasia.
“La mortadella è stata eliminata dalle mense scolastiche di Bologna” così titolavano nel maggio 2012 il Corriere della sera, Il Resto del Carlino, anche se il salume non è mai stato vietato e non viene citato nel documento approvato.
La falsa notizia che nelle scuole dell’Emilia Romagna è stata vietata la mortadella ha trovato ospitalità nel mese di maggio 2012 in giornali come il Corriere della sera, Repubblica, il Resto del carlino… con ampi servizi e interviste ad assessori, associazioni di categoria, nutrizionisti, salumieri ….. La falsa storia della mortadella ha avuto molto risalto perchè è mancata una smentita immediata, ma in realtà bastava leggere con attenzione il documento sulle Linee guida della ristorazione scolastica elaborato dalla Regione per rendersi conto che la mortadella non era stata cancellata dal menu, mentre venivano vietati salumi freschi da cuocere come cotechini e zamponi…. Qualcuno incapace di distinguere un insaccato crudo da uno cotto ha sparato la bufala in prima pagina e molti l’hanno ripresa. In questo modo la vera notizia (la black list dei prodotti da non utilizzare nelle mense scolastiche che comprendeva :hamburger, cotolette surgelate di pollo o polpette di carne, prodotti salati da forno o pane condito, formaggi fusi, patatine pre-fritte surgelate e fiocchi di patate, affiancata da quelli da usare con moderazion) è stata ignorata.
Ma le due bufale che gettano un certo discredito sul sistema dell’informazione risalgono al 2011. La prima riguarda la legge 283 sulla cancellazione dei cibi adulterati lanciata 16 gennaio 2011 dal Corriere della sera, la Stampa, La 7 e ripresa nei giorni successivi da centinaia di giornali e siti internet. Il Fatto Alimentare dice subito che si tratta di una bufala, ma pochi ci credono. I grandi giornali citano il procuratore di Torino Raffaele Guariniello, noi ribadiamo che si tratta di un abbaglio di un errore di interpretazione, precisando che i nostri avvocati esperti di diritto alimentare hanno esaminato la questione con molta attenzione. La polemica va avanti per una settimana, poi intervengono in ritardo il ministro Calderoli e Fazio dicendo che la legge è in vigore e non è mai decaduta. Purtroppo le rettifiche dei media tardano ad arrivare.
La seconda bufala riguarda la notizia ripresa da centinaia di giornali sulla legge che rende obbligatoria l’indicazione di origine dei prodotti alimentari. La nuova norma, benedetta dal Parlamento nel gennaio 2011 spopola su tutti i media. Il Fatto alimentare e pochi altri siti segnalano che si tratta di un’enorme bufala, ma la realtà fatica ad emergere e pochissimi gironali fanno marcia indietro. Questa volta oltre all’errore dei giornalisti che non verificano la notizia ci sono anche gli ambigui comunicati di Coldiretti che avvallano l’errore grossolano dei parlamentari.
La verità è che la nuova legge sull’etichetta di origine che dovrebbe valorizzare il made in italy non entrerà mai in vigore perchè violerebbe i trattati Ue. Non si tratta però di una sorpresa visto che Paola Testori Coggi e il commissario Ue a Bruxelles dicono subito chiaramente che la norma non è applicabile ma il Parlamento italiano, Coldiretti e molti giornalisti distratti preferiscono fare finta di non sentire.La realtà è che la legge non è mai entrata in vigore.
Roberto La Pira
Complimenti. Vuole dire anche qualcosa sulle mozzarelle con latte estero?
saluti
L’articolo, che affronta un aspetto molto interessante del giornalismo nostrano, e del conseguente scandalismo sui social media, manca pero’ di riferimenti precisi (quali sono di preciso le leggi citate? quali gli articoli citati, meglio se con qualche link)?
Si chiude poi con quell’ "avvallano" che francamente imbarazza.
Insomma, una ottima occasione persa per fare buona informazione. Me ne dispiaccio
Casagli- abbiamo aggiunto i link
Complimenti, vi seguo sempre con enorme piacere e interesse
Mario- La mozzarella vaccina non è un prodotto Dop o Igp e può essere prodotta ovunque. Il latte non deve essere italiano per forza. La furberia di alcuni è di indicare un prodotto made italy prodotto con latte o cagliate tedesche. Il discorso è diverso per la Mozzarella di bufala campana Dop .