Il 31 gennaio la FAO ha presentato a Roma l’ultimo rapporto del suo “Department on Fisheries and Aquaculture” sulla situazione globale di pesce e acquacoltura nel 2010. I consumi hanno superato ogni record, al punto da creare allarme sulla disponibilità e la preservazione delle risorse ittiche planetarie.

Il rapporto, “The State of World Fisheries and Aquaculture, 2010”, inaugura la 29a sessione dei lavori del “Committee on Fisheries” (COFI), un organismo a latere del Consiglio FAO che oggi costituisce l’unico Forum inter-governativo ove sono periodicamente esaminate e discusse le questioni internazionali relative alla pesca e all’acquacoltura; sono condivise raccomandazioni da trasmettere ai governi, agli organismi regionali per la pesca, alle ONG, ai lavoratori del settore, alla FAO e alla comunità internazionale; sono negoziati accordi globali e strumenti non vincolanti.

Secondo il nuovo rapporto, il contributo dei prodotti ittici alle diete delle popolazioni ha raggiunto nel 2010 un livello senza precedenti, circa 17 chili per abitante nel 2010. In pratica, 3 miliardi di persone hanno soddisfatto con il pesce almeno il 15% del loro fabbisogno medio di proteine animali. “Questa crescita si spiega principalmente con lo sviluppo dell’acquacoltura, che si prevede supererà la pesca” in quanto fonte primaria di approvvigionamento dei prodotti ittici. Tuttavia, la FAO rileva che “nessun miglioramento è stato osservato sulla situazione delle riserve ittiche”. In poche parole il consumo di pesce è aumentato a dismisura ma l’offerta degli allevamenti ittici, se pure incrementata, non è comunque sufficiente a impedire una situazione di iper-sfruttamento dei giacimenti naturali. Le riserve naturali sono in fase di lenta ricostituzione – hanno infatti di poco superato i livelli minimi raggiunti nel 2006 – ma questo recupero viene eroso da un più rapido tasso di crescita dei consumi.

La situazione è insostenibile, e c’è bisogno di un intervento urgente per ristabilire al più presto le riserve marine, sottolinea il rapporto. “Il fatto che la situazione delle riserve non è migliorata in misura apprezzabile desta una grave preoccupazione”, ha dichiarato Richard Grainger, uno dei responsabili editoriali del rapporto FAO. “L’iper-sfruttamento deve diminuire, a prescindere dai livelli che abbiamo sinora stabilito”.

Gli autori del rapporto suggeriscono perciò di aumentare gli sforzi per il rafforzamento dei controlli. Sottolineano l’esigenza di affrontare con apposite misure, anche di tipo commerciale, i problemi legati alla pesca illegale, alla pesca non dichiarata e a quella non regolamentata (IUUF, “Illegal, Unreported and Unregulated Fishing”). Misure quali l’interdizione dei mercati internazionali ai prodotti che derivano da queste pratiche, nell’ottica di migliorare la gestione del settore e ridurre i livelli di iper-sfruttamento.

Uno studio pubblicato il 22 novembre scorso dal Comitato Tecnico FAO che si occupa di IUUF, già citato anche dal Fatto Alimentare, stima il valore annuale delle attività di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata tra i 10 e i 23,5 miliardi di dollari US. Il nuovo rapporto FAO ribadisce quindi la necessità di dar vita al “Global Record”, un registro mondiale delle imbarcazioni impiegate nella pesca. L’idea è quella di attribuire un “numero unico d’identificazione” a ciascuna imbarcazione, un codice unitario che prescinde da passaggi di proprietà e da cambi di bandiera. Il “Global Record” sarà accessibile a tutte le autorità nazionali e internazionali deputate ai controlli, grazie a un portale web, nell’auspicio di favorire il contrasto alle attività criminose che minacciano la sopravvivenza dei nostri mari e dei loro eco-sistemi.

 Al di là e al di fuori dell’emergenza, il rapporto incoraggia l’adozione di un approccio alla pesca “per ecosistemi”: dato atto della rapida crescita della domanda di prodotti ittici, bisogna definire su scala locale appositi modelli di gestione sostenibile delle risorse acquatiche. Contemperando le esigenze sociali, di consumo, con i contesti ambientali e lavorativi ove la pesca si svolge. Nel complesso, le attività di pesca e acquacoltura danno da vivere a 540 milioni di persone, l’8 % della popolazione mondiale. I cittadini del pianeta non hanno mai consumato tanto pesce, e l’occupazione nella filiera produttiva è aumentata considerevolmente.

“Il pesce è un alimento di buona qualità e ricco in proteine, e il settore contribuisce in misura rilevante alla sicurezza degli approvvigionamenti mondiali di cibo”, ricorda Grainger. Ma tutto ciò potrebbe finire presto, in assenza di regole condivise e di controlli.

 

Dario Dongo

 

Per maggiori informazioni:
La notizia
-Il rapporto in francese: “La situation mondiale des pêches et de l’aquaculture”
-Il rapporto in inglese: “The State of World Fisheries and Aquaculture”

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