L’appello del WWF di nove mesi fa contro l’olio di palma: le coltivazioni provocano una progressiva e continua distruzione delle foreste
L’appello del WWF di nove mesi fa contro l’olio di palma: le coltivazioni provocano una progressiva e continua distruzione delle foreste
Roberto La Pira 7 Luglio 2015Vi proponiamo ampi stralci dell’appello che WWF ha rivolto alle aziende alimentari italiane nove mesi fa, invitandole a utilizzare solamente olio di palma sostenibile certificato entro il 2015. Il testo fa capire perché l’impiego di questo grasso tropicale sia la causa di una continua e progressiva deforestazione. L’invito del WWF, accolto da aziende come Ferrero e Barilla, non risolve però il problema, visto che il quantitativo di palma sostenibile rappresenta meno del 20% della produzione mondiale. La nostra petizione su change.org, che ormai ha raggiunto 153 mila firme, fa un passo avanti e invita le aziende a sostituire l’olio di palma in quanto è una sostanza aterogena e consumare prodotti che lo contengono vuol dire contribuire alla deforestazione.
Che relazione esiste tra oranghi, tigri, biscotti e deforestazione? Apparentemente nulla: in realtà c’è un filo rosso nascosto tra alcune delle specie simbolo del nostro pianeta e i ‘simboli’ della nostra alimentazione quotidiana, come merendine, biscotti snack, crackers e gelati. E’ l‘olio di palma’, un ingrediente contenuto nella quasi totalità dei prodotti da forno confezionati e praticamente sconosciuto a tutti perché viene indicato ( sino al mese di dicembre 2014 ndr) genericamente come ‘olio (o grasso) vegetale, ma il più usato al mondo con un consumo che cresce anno dopo anno. La palma (Elaeis guineensis) da cui si estrae questo olio è coltivata soprattutto in Indonesia e Malesia: questi soli due paesi producono circa l’ 87 % di tutto l’olio di palma usato nel mondo.
Questo grasso è, infatti, responsabile della distruzione di molti ambienti di foresta tropicale e attualmente costituisce una delle cause principali di scomparsa delle ultime foreste dell’isola di Sumatra (Indonesia) dove vivono oranghi, elefanti e tigri e rinoceronti, tutte specie ridotte a poche centinaia di esemplari in una manciata di decenni. Questo avviene su un territorio che, fino poco tempo fa, era per lo più una foresta tropicale vergine, uno scrigno verde ricchissimo di biodiversità. Se ancora 50 anni fa, l’82% dell’Indonesia era coperta da foreste, già nel 1995 la percentuale era scesa al 52%: e al ritmo attuale, entro il 2020, le foreste indonesiane (tra le maggiori al mondo per estensione insieme a quelle dell’Amazzonia e del bacino del Congo) saranno definitivamente distrutte e con loro andranno perduti anche tutti quei servizi ecosistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e della stessa biodiversità.
Se ciascun consumatore avesse la possibilità di attraversare gli scenari desolanti delle foreste che bruciano per far posto alle coltivazioni di olio di palma, se ciascuno di noi affrontasse un viaggio tra i fumi degli incendi che tagliano il respiro e avvolgono perennemente quello che rimane delle foreste del Borneo o di Sumatra, rimarrebbe talmente scioccato da non voler più consumare olio di palma responsabile di tanta distruzione. Poiché la domanda di prodotti alimentari aumenterà nei prossimi decenni, inevitabilmente aumenterà di conseguenza l’impatto sulle risorse naturali del Pianeta e l’olio di palma è uno degli imputati principali.
L’Indonesia tra il 2000 e il 2013 ha più che triplicato l’estensione delle coltivazioni di palma da olio, continuando a devastare il secondo patrimonio di foreste tropicali del pianeta: il risultato di questa deforestazione, delle azioni realizzati per attuarla, il drenaggio massiccio e i metodi di coltivazione, in un paese che produce circa la metà dell’olio di palma venduto nel mondo, essendo passato da una produzione di circa 168.000 tonnellate nel 1967 ai 16,2 milioni di tonnellate nel 2006, si traduce anche nel peggioramento della qualità delle acque confinanti con le piantagioni, con effetti di una portata non ancora chiara, finora sottovalutata e potenzialmente molto grave.
WWF, ottobre 2014
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.