La dicitura “contiene solfiti” è stata, con l’entrata in vigore del Regolamento CE 1991/2004, la prima indicazione dell’aggiunta di additivi nel vino mai riportata in etichetta, e nasceva dalla necessità di informare i consumatori della presenza di queste molecole in grado di sviluppare reazioni diverse, talvolta anche gravi, in coloro che soffrono di asma allergica o che sono sensibili a esse.
Un’informazione giusta e necessaria ma in realtà niente di nuovo, in quanto non soltanto i solfiti si utilizzano in enologia più o meno da 200 anni per limitare l’azione dei microrganismi contaminanti in grado di alterare la qualità dei vini e per proteggere i prodotti dalle ossidazioni, ma anche perché, essendo prodotti dal metabolismo dei lieviti responsabili della fermentazione alcolica, i solfiti sono naturalmente presenti nel vino, in alcuni casi anche in quantità piuttosto elevate.
I solfiti in enologia
Fino a venti anni fa l’enologia affidava cioè il controllo delle alterazioni microbiche e delle ossidazioni prevalentemente all’uso dell’anidride solforosa (che è la forma più usata per esprimere e dosare i solfiti nel vino), che rappresentava uno strumento non solo molto efficace ma anche estremamente difficile da sostituire.
È a partire da quegli anni quindi, complici la crescente attenzione alla salute e alla sicurezza alimentare ma anche l’interesse per i prodotti cosiddetti naturali e gli atteggiamenti chemofobici da parte di alcuni gruppi di consumatori, che nascono i vini senza solfiti, o più precisamente “senza solfiti aggiunti”.
Dal momento che i solfiti possono essere prodotti dai lieviti e che dal punto di vista chimico e tossicologico, che siano presenti naturalmente nel vino o aggiunti volontariamente nel corso del processo, essi hanno esattamente le stesse caratteristiche, l’obbligo di dichiarare la loro presenza scatta ogni qualvolta il contenuto superi i 10 mg/l, indipendentemente dalla loro provenienza o origine. Coloro che non ne fanno uso in cantina e nel caso in cui il contenuto sia inferiore a questa soglia possono omettere la dicitura “contiene solfiti”, ma l’unica informazione plausibile e verificabile (e di conseguenza utilizzabile) è quella che recita che un vino “non contiene solfiti aggiunti”.
Fare vini senza solfiti è possibile?
A differenza di altri alimenti, la rinuncia a un conservante non crea nel caso del vino un incremento del rischio igienico sanitario, dal momento che è la stessa presenza dell’alcol (la cui tossicità è nota ed acquisita e il cui contenuto è del resto riportato anch’esso in etichetta), insieme ai bassi pH ad escludere la presenza di batteri patogeni o lo sviluppo di potenziali tossinfezioni. A essere messi a rischio sono invece la qualità dei vini e la loro conservabilità nel tempo: senza solfiti crescono più facilmente le popolazioni di microrganismi indesiderati quali i batteri lattici e acetici o il lievito Brettanomyces bruxellensis e allo stesso tempo i fenomeni di ossidazione procedono molto più velocemente, alterando in modo particolare il colore e l’aroma dei vini bianchi e con essi anche la loro shelf life.
Eliminare i solfiti non basta
Per produrre vini senza solfiti tuttavia non basta eliminare i solfiti come se non li si fosse mai usati, perché come è già stato detto la stessa enologia moderna si basa sul loro utilizzo da almeno 200 anni.
È importante anche ricordare che il ricorso a questi additivi in cantina è andato comunque e mediamente progressivamente diminuendo, in quanto alcuni processi sono divenuti più facili da controllare grazie alla maggiore qualità delle uve, la migliore igiene delle cantine e delle attrezzature e l’avanzamento delle conoscenze che hanno portato a controllare più facilmente i fenomeni di ossidazione e di imbrunimento dei vini. Per questo raramente i vini presentano dei contenuti in solfiti che raggiungono o addirittura superano (caso in cui non sarebbero commercializzabili) quelli previsti dalla normativa che sono di 150 mg/l e 200 mg/l di solfiti totali, rispettivamente per i vini rossi e bianchi. Anche nella produzione dei vini biologici è ammesso l’uso dei solfiti, con l’unica differenza che i limiti massimi si riducono a 100 e 150 mg/l rispettivamente per i vini rossi e per i vini bianchi.
Due strade
Con la nascita dell’interesse per i vini prodotti senza aggiunta di anidride solforosa anche gli sforzi di miglioramento delle tecniche destinate a ridurne l’uso non sono stati sufficienti, tanto che il mondo dell’enologia e quello della ricerca, anche sotto la richiesta e l’input di istituzioni come l’OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino, una sorta di organo intergovernativo dei Paesi produttori di vino), hanno cominciato e continuano tuttora a cercare delle soluzioni e delle tecniche alternative.
L’interesse per i vini senza solfiti aggiunti è divenuto oggi molto trasversale, in quanto non riguarda solo il mondo dei vini biologici o dei vini naturali, ma interessa anche la produzione di tipo convenzionale. Negli ultimi 20 anni si sono potute osservare quindi due tendenze principali.
Da un lato il mondo della tecnologia e della ricerca enologica che si sta impegnando per individuare delle alternative, additivi e coadiuvanti di origine naturale o trattamenti fisici, che permettano di ottenere vini con caratteristiche assimilabili a quelli finora prodotti. Tra le soluzioni proposte solo per fare alcuni esempi, si va dalla riduzione della carica contaminante con il lavaggio delle uve, l’uso dei gas inerti, la selezione di lieviti in grado di produrre quantità di SO2 basse o bassissime, all’uso di estratti vegetali con azione antiossidante.
L’altra faccia della luna è quella dei cosiddetti vini naturali che nei vini senza solfiti ha individuato la risposta al desiderio di naturalità, alle tendenze del ‘senza’ e alla richiesta di rinuncia all’uso degli additivi chimici, scegliendo di accettare alcuni rischi di carattere tecnologico e di produrre vini talvolta anche organoletticamente ‘diversi’ (che non significa necessariamente peggiori), come lo sono ad esempio i vini orange.
La ricerca del sano e del sostenibile tra chemofobia e neofobia
A di là delle differenze (peraltro non marcate) dei limiti massimi consentiti per il vino biologico non vi sono tuttavia evidenze di alcun tipo per cui la riduzione o l’eliminazione dei solfiti nel vino possa essere messa in relazione alla sua sostenibilità ambientale.
Nella percezione dei consumatori tuttavia la ricerca di vini complessivamente più salubri si fonde spesso con quella di prodotti più sostenibili, e sia i vini senza solfiti aggiunti, sia i vini dotati di certificazione biologica o biodinamica, rappresentano tra i criteri di scelta e di acquisto, quelli più utilizzati. Forse anche perché sono tra le poche informazioni che fino a oggi i consumatori potevano trovare in etichetta.
Per questo produrre vini senza solfiti aggiunti significa andare incontro alle esigenze di una fascia ben precisa di consumatori e rappresenta un vantaggio competitivo interessante.
Nuovi prodotti
Negli ultimi anni quello che solo venti anni fa sembrava impossibile, produrre vini senza aggiungere solfiti, è divenuto una strada praticabile, ma i prodotti disponibili, spesso anche qualitativamente interessanti, non si ottengono recuperando pratiche o saperi del passato. I vini senza solfiti aggiunti sono in tutto e per tutto prodotti nuovi anche se allo stesso tempo il mercato del vino è probabilmente tra quelli tradizionalmente meno propensi ad accettare le innovazioni di prodotto.
Al di là dell’obiettivo diffuso di produrre vini con contenuti di solfiti sempre più bassi, il mercato dei vini senza solfiti aggiunti resta di conseguenza una nicchia nella quale, come hanno valutato in una recente indagine un gruppo di ricercatori spagnoli (Nieto Villegas et al, 2023), i consumatori distribuiscono le loro preferenze sulla base del bilanciamento di chemofobia e neofobia, tra chi teme ed evita il ricorso alle sostanze chimiche e chi guarda con diffidenza all’introduzione di prodotti nuovi o diversi. Secondo quanto riscontrato nell’indagine condotta su un campione di 562 consumatori spagnoli, la presenza (o meglio l’assenza) di solfiti guiderebbe le scelte di acquisto nel 62% dei consumatori con più di 30 anni e nel 47,7% tra gli under 30, più di quanto avvenga per il prezzo, le tecniche di produzione o il contenuto in alcol.
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Molto interessante
E meno male che si sono decisi ad eliminare i solfiti. Se l’uva è sana e si lavora in ambienti puliti i solfiti sono superflui.
Sono allergico ai solfiti in maniera severa, quindi niente vino (ma anche molti altri prodotti) industriale ma solo quello che produco in proprio o qualche fidato amico.
Certo il vino bianco a bassa gradazione alcolica rischia di inacidirsi ma basta ingegnarsi e …
Il trattamento ai vini con l’azoto elimina i solfiti dannosi al fegato
L’azoto (o un altro gas inerte) può essere usato per proteggere le uve, i mosti e i vini dal contatto con l’ossigeno e quindi se ben gestito può ridurre il ricorso ai solfiti. I solfiti tuttavia non hanno solo una funzione antiossidante, ma sono anche degli antisettici e nei confronti dei microrganismi contaminanti che rischiano di compromettere la qualità del vino i gas inerti non hanno alcuna efficacia. Produrre un vino senza solfiti sostituendo tutte le loro azioni richiede generalmente una strategia di gestione e controllo molto più complessa di quanto non sia usare un prodotto al posto di un altro.
Per quanto riguarda l’azione tossica dei solfiti questa non si svolge però a carico del fegato (cosa che comunque nei vini, con o senza solfiti, fa l’alcol) mentre possono causare effetti di ipersensibilizzazione e allergia che possono essere più gravi nei soggetti asmatici.
Se invece la domanda era se applicando al vino un trattamento con azoto si possano rimuovere i solfiti presenti la risposta è no, o almeno non totalmente, in quanto nel vino solo parte dei solfiti si trova in forma libera e quindi volatile mentre un’altra parte anche consistente si lega con i composti ed è difficilmente eliminabile.