La Cina rappresenta un mercato enorme in rapida crescita economica e con una notevole forza trascinante nel dettare gusti e mode. Una promessa per chi cerca di ottimizzare il commercio dei propri prodotti come ad esempio il vino.
Due sono le motivazioni principali per cui è opportuno guardare verso Oriente: perché la Cina è il quinto mercato al mondo per quantità di vino consumata e, in secondo luogo e perché i principali acquirenti dei produttori vinicoli italiani sono i Paesi europei che risentono di più della crisi economica e tendono a spendere meno. Secondo recenti statistiche in Cina il settore dei vini importati è dominato dai produttori francesi, mentre l’Italia, negli ultimi dieci anni, ha visto ridursi la propria quota di mercato dal 14,2% del 2001 al 6,5% del 2011.
I consumatori cinesi di vino sono localizzati principalmente nelle grandi città ed appartengono ad un ceto medio-alto. Ne bevono in quantità moderata, perché il prodotto funge quasi esclusivamente da status symbol, e il vino italiano si trova ancora in una posizione marginale. La difficoltà di penetrazione sembra provocata da motivazioni: culturali, linguistiche e legislative.
È indispensabile la presenza sul territorio: per cui le piccole e medie imprese vitivinicole italiane dovrebbero interagire con la ristorazione e la distribuzione locale, fornendo chiarimenti e informazioni. Laddove possibile, si potrebbe creare un binomio tra vino italiano e cibo cinese considerando la differenza culturale.
I cinesi sono molto legati alle tradizioni e alla storia familiare per cui è una buona idea evidenziare l’elemento della tradizione, Un elemento a valorizzare è quello del vino di lusso italiano come frutto di centinaia di anni di esperienza. Nel commercializzare il prodotto, è importante conoscere la cultura asiatica, focalizzando l’attenzione su un elemento trasversale e molto sentito dai cinesi come quello dell’appartenenza ad uno dei dodici segni zodiacali (il cosiddetto Shu 属). Proporre iniziative commerciali calibrate sull’adesione a un dato segno o a un insieme di segni, sarebbe un altro metodo per attirare l’interesse.
Un difficoltà da considerare è quella linguistica. Non si può pensare a una mera traduzione dei contenuti, è necessario ragionare in termini di mediazione linguistico – culturale, a partire dal brand. Il cinese è una lingua di simboli, non si fonda su un alfabeto. Per traslitterare un marchio si prendono a prestito dei caratteri che portano con sé un concetto. Per esempio Coca-Cola ha tradotto il proprio nome commerciale nel seguente modo: kekou kele, che significa: “permettere alla bocca di rallegrarsi”. Bisogna quindi saper tradurre il marchio dell’azienda in cinese con dei caratteri semplici, che non creino confusione e portino un significato positivo possibilmente in sintonia con il prodotto.
La Cina è un paese molto tecnologico, potremmo definirlo “tecno-tossico”, per cui inserire un elemento innovativo, anche in un prodotto tradizionale, può essere un punto a favore nella strategia commerciale (un’idea potrebbe essere introdurre un chip NFC nell’etichetta, contenente un “certificato di italianità” del prodotto, per dimostrare che non si sta comprando una delle tantissime imitazioni).
Infine bisogna sempre essere pronti a tutelare il marchio. In Cina l’imitazione e la concorrenza sleale sono all’ordine del giorno. Il fenomeno si può combattere sia con un approccio innovativo e tecnologico sul prodotto, sia attraverso un comportamento aggressivo dal punto di vista legale (molte aziende italiane si sono viste tutelate con successo dai Tribunali cinesi, ad esempio Ferrero o Juventus).
Il primo maggio 2014 è entrata in vigore una nuova versione della legge marchi cinese che semplifica le procedure e abbassa i costi per la registrazione, puntando a migliorare gli strumenti a disposizione delle imprese per difendersi da violazioni e registrazioni abusive.
Per una panoramica sull’argomento si ritiene molto utile l’approfondimento realizzato dal Sole24Ore.
Un ringraziamento all’Avv. Riccardo Berti, sinologo veronese, il quale ha fornito alcuni spunti di riflessione, rispondendo a numerose domande.
Mariagrazia Semprebon
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Totto molto interessante, giusto e profittevole ma poi arriva la questione politica tra Europa e Cina e gli europei mettono le sanzioni alla Cina o alla Russia e chi ha investito si trova solo con tanti danni come è capitato al parmigiano che ha investito in Russia.
Non sono possibili investimenti con una Europa che schiaccia l’interesse degli agricoltori in nome di fumosi sovra interessi.