Il vertical farming sta crescendo molto in tutto il mondo, al punto che si stima, entro il 2025, l’aumento sarà del 21% all’anno. Si tratta, cioè, della coltivazione senza suolo di piante commestibili in verticale in ambienti chiusi, sotto il controllo di moderni sistemi automatizzati e di software dedicati, quando non dell’intelligenza artificiale. Questo genere di coltivazione può avvenire con un supporto meccanico immerso in una soluzione di nutrienti (idroponica), che più raramente più prevedere l’aggiunta di un allevamento di pesci (acquaponica), o senza alcun tipo di sostegno per le piante e la nebulizzazione di un aerosol ricco di sostanze nutritive (aeroponica).
Questi sistemi si preparano a diventare una risposta convincente alle conseguenze dell’erosione del suolo, che riguarda ormai, in varia misura, circa l’80% dei terreni dei paesi sviluppati, a quelle del riscaldamento globale e della siccità che ne deriva, e a quelle dell’instabilità meteorologica, e si candida ad assicurare produzioni maggiori, più stabili e più vicine ai consumatori. Per questo i ricercatori dell’Università di Bristol, nel Regno Unito, insieme a una delle start up più avanti del settore, la britannica LettUs Grow, e ai membri dell’istituto di ricerca John Innes Centre hanno pubblicato, su New Phytologist, un articolo in cui fanno il punto sulla forma più avanzata di vertical farming, cioè l’aeroponica, nella quale le radici sono esposte all’aria. Gli autori riassumono anche gli aspetti sui quali c’è ancora da lavorare per migliorare ulteriormente le tecniche e facilitarne la diffusione anche a livello di singolo coltivatore, urbano o rurale che sia.
Gli aspetti principali su cui indagare sono sette:
- Capire perché le produzioni aeroponiche possono essere più produttive rispetto a quelle tradizionali e anche rispetto a quelle idroponiche;
- Comprendere meglio la relazione tra la produzione aeroponica e i ritmi circadiani delle piante;
- Analizzare meglio lo sviluppo delle radici di diversi tipi di piante in condizioni aeroponiche;
- Studiare la relazione tra le dimensioni delle gocce di quanto viene somministrato e il rendimento delle piante;
- Definire sistemi di confronto tra le diverse possibili tecnologie di vertical farming;
- Approfondire il comportamento del microbiota vegetale e le interazioni tra radici e batteri in condizioni di vertical farming.
- Ottimizzare la raccolta e il riutilizzo degli essudati radicali (cioè dei liquidi che percolano dalle radici e che contengono ancora nutrienti non utilizzati).
Si tratta di uno degli studi più completi mai realizzati, e di un’analisi particolare perché condotta da esperti di diverse materie, a cominciare da quelli di ritmi circadiani delle piante, molto importanti ma non sempre tenuti nella giusta considerazione. L’idea è quella di assicurare un’adeguata produzione agricola locale anche laddove, a oggi, non è prevista, come nei deserti o nei paesi più freddi, di dare autonomia alle grandi città e a di ridurre drasticamente il ricorso a fitofarmaci, quasi del tutto assenti in queste coltivazioni. Già oggi si coltivano in verticale al chiuso numerose specie quali quelle a foglia verde, le erbe aromatiche, i pomodori e diversi frutti, ma start up come la LettUs Grow stanno lavorando per giungere alla propagazione in aeroponica di alberi da frutto e di specie per la silvicoltura, con un pensiero anche alle missioni spaziali.
Nel frattempo, negli stessi giorni la rivista Nature ha premiato, tra le migliori del mese, la foto di uno degli impianti urbani all’aperto più estesi del mondo: quello di Parigi, insediato nel quartiere della Défence, sui 15 mila metri quadri del tetto di un padiglione della fiera, che utilizzerà metodi di vertical farming come l’aeroponica per produrre centinaia di chilogrammi di vegetali ogni giorno.
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Giornalista scientifica