Circa un anno fa Anna Bellisario, una ragazza di soli vent’anni, è deceduta pochi giorni dopo aver mangiato un tiramisù vegano che conteneva proteine del latte (secondo gli inquirenti addirittura mascarpone), cui la ragazza era fortemente allergica. Nei giorni scorsi le autorità hanno riscontrato numerose irregolarità, sanzionando l’azienda. Ma ciò che non si è detto è che, in realtà, i rischi, per gli allergici, permangono, perché, come specifica anche il Chartered Trading Standard Institute britannico in un suo rapporto dedicato, la definizione di un alimento come “vegano”, in Europa e in Gran Bretagna, è commerciale, e non deve rispettare caratteristiche specifiche.
La normativa mancante per il vegano
Quando interviene un tribunale, è per sanzionare l’inganno verso i clienti, non il mancato rispetto di una normativa. Lo ricorda anche il sito Food Navigator, citando un caso analogo a quello di Bellisario, quello di Clelia Marsh, anch’ella deceduta nel 2017 dopo aver mangiato un panino vegano che conteneva derivati del latte.
Le diciture “vegano”, “vegetariano” o “a base vegetale” non prevedono limiti per la presenza di proteine animali, che nella maggior parte dei casi sono derivati del latte o delle uova (a volte presenti in quanto contaminazioni, altre volte come ingredienti), ma che possono essere anche di altro tipo. Tra i più comuni vi sono le gelatine estratte dai pesci, alcuni coloranti come quelli derivati dalle cocciniglie, la gommalacca, a volte identificato come E904, una resina ottenuta da un altro insetto, che serve per ridurre l’umidità della scorza degli agrumi, e che è usato anche in pasticceria, e poi l’albumina e la vitamina D3.
Il rischio per gli allergici
E poiché non esistono valori soglia, qualora siano presenti le aziende possono ricevere al massimo richiami o inviti a riformulare i prodotti. Ma il rischio, per gli allergici, resta, anche in prodotti insospettabili come appunto gli agrumi, la cui buccia può essere stata trattata con composti di origine animale come la gommalacca. Così come resta l’impossibilità, per chi osserva una dieta strettamente vegana per motivi etico-religiosi o di altro genere, di evitare alimenti di origine animale. Oltretutto, la presenza di composti animali può essere estremamente variabile, anche solo tra un negozio o ristorante e un altro o da un marchio a un altro (per lo stresso prodotto).
Chi desidera evitare qualunque rischio in tal senso non può quindi che leggere con attenzione le etichette, e sperare che non vi siano ingredienti nascosti. Inoltre, diciture condizionali come “potrebbe contenere” aumentano la confusione, e sarebbero probabilmente da rivedere.
Dal punto di vista dei produttori, alcuni cercano l’appoggio di enti come la Vegan Society la quale, tuttavia, declina ogni responsabilità e specifica che la presenza del simbolo non significa che i prodotti che lo recano siano sicuri per gli allergici, e ricorda che le contaminazioni sono sempre possibili. La scelta vegana è uno stile di vita, ricorda ancora la Society, e non una questione legale. Il che è sicuramente vero, ma allora perché concedere il proprio marchio a prodotti in cui possono esserci sostanze animali? Le contraddizioni sono ancora tante, e dimostrano soprattutto una necessità urgente, a tutela dei consumatori: quella di definire regole precise.
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Giornalista scientifica