Cresce in tutto il mondo la diffusione del vaiolo delle scimmie, il virus isolato negli anni Settanta in un primate (nonostante il serbatoio naturale siano mammiferi molto più piccoli) e, fino a poco tempo fa, al centro di piccole epidemie locali in 11 paesi africani. Dalla sua comparsa contemporanea in diversi paesi nello scorso mese di maggio, infatti, il numero di casi ha superato le 50mila unità ed è in aumento anche in Italia: alla fine di agosto, quelli diagnosticati ufficialmente erano 760, quasi la metà dei quali in Lombardia. Per questo, già alla fine di luglio l’Oms ha dichiarato la nuova epidemia emergenza globale, pur sottolineando che non si tratta di una malattia grave e che esistono vaccini e farmaci.
Tuttavia, rispetto a ciò che si sapeva prima della nuova ondata, ci sono alcuni particolari che non tornano e allarmano i virologi, a cominciare da alcune differenze nei sintomi e dall’assenza di spiegazioni del tutto convincenti sull’origine dell’inattesa diffusione planetaria.
Il contagio avviene per contatto diretto con le lesioni tipiche della malattia che, in questo caso, iniziano a comparire qualche giorno dopo la diffusione del virus nell’organismo e si localizzano soprattutto nelle zone genitali e sulle mani, anche se ne sono state descritte numerose anche in altri distretti corporei, sia in gruppo che singole. Oltre al contatto diretto e, probabilmente, a quello tramite le goccioline respiratorie, è stato documentato anche il contagio per contatto con superfici come la biancheria del letto in cui ha dormito una persona malata. La domanda che quindi in molti si stanno ponendo è: esiste la possibilità di contagiarsi attraverso il cibo?
La risposta, per il momento, non è netta. Non ci sono prove che ciò sia accaduto, né che qualche focolaio di vaiolo delle scimmie sia scoppiato per esempio in stabilimenti di lavorazione alimentare, ma non è possibile escluderlo razionalmente, proprio perché è noto che il virus è molto resistente, e può passare agli esseri umani da una superficie contaminata. Così la pensa l’Anses, l’Agenzia per la sicurezza alimentare francese che, alla richiesta di un parere rapido, ha affermato che se una persona infetta maneggia cibo con le mani nude o presenta lesioni, non è si può escludere che particelle virali arrivino negli alimenti e, da lì, possano passare a un altro ospite. Analogamente, per gli stessi motivi, potrebbe determinarsi una trasmissione per contatto con utensili contaminati.
Secondo l’Oms, poi, il contagio può anche avvenire – principalmente nei paesi dove il vaiolo delle scimmie è endemica – per ingestione di carni infette o per contatto con le stesse, soprattutto di ungulati e altri animali selvatici, le cui parti edibili non siano state cotte a dovere. Anche il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) non si esprime in modo netto: uno suoi esperti, Diamantis Plachouras, ha dichiarato a FoodNavigator che la trasmissione attraverso il cibo non si può escludere, ma è altamente improbabile che abbia un ruolo significativo nell’andamento generale dell’epidemia.
Il Direttorato Scienza e tecnologia del Dipartimento per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, poi, si è spinto oltre, affermando, in un suo rapporto della fine di luglio che il virus può rimanere vitale negli alimenti surgelati, e resiste alle essiccazioni, nel suolo, in acqua e in materiali quali i tessuti.
Fino a quando non si avrà un quadro più chiaro, concordano le agenzie e numerosi esperti, le regole sulla prevenzione del vaiolo delle scimmie devono essere osservate scrupolosamente, soprattutto qualora ci sia una persona malata. Gli individui infetti dovrebbero rimanere isolati, e non dovrebbero dedicarsi alla preparazione di cibo destinato ad altri. In caso lo facciano, devono prestare particolare attenzione. Per tutti, comunque, e a maggior ragione quando si frequenta o si convive con un malato, è sempre necessaria una scrupolosa igiene delle mani e degli utensili. Per quanto riguarda la carne, soprattutto se proveniente da ambienti nei quali non ci sono controlli sicuri e nei paesi dove la malattia è endemica, se è di animali selvatici, è molto importante cuocerla totalmente, assicurandosi che non rimangano parti poco cotte, potenziali serbatoi di virus.
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Giornalista scientifica