Quanto è sostenibile a livello economico un raccolto biologico rispetto al raccolto ottenuto con metodi convenzionali? Siamo di fronte a una classica domanda di economia agraria, a cui tenta ora di dare una risposta un gruppo di agronomi ed economisti dell’Università del Minnesota, attraverso uno studio molto approfondito e ben documentato rispetto a quelli pubblicati finora. Analizzando i dati di un esperimento durato 18 anni con coltivazioni di soia, mais, avena ed erba medica, gli esperti arrivano a formulare un giudizio positivo sui raccolti bio, per quanto riguarda il fronte economico. Anche nell’ipotesi in cui legumi e cereali bio vengano venduti a prezzi un po’ più bassi della norma: ricordiamo infatti che di solito questi prodotti sono molto più costosi di quelli convenzionali.
I ricercatori hanno confrontato il profitto di vari raccolti ottenuti con varie tipologie di cicli di rotazione; in particolare un ciclo convenzionale della durata di due anni (alternanza mais-soia) è stato messo a confronto con uno convenzionale e uno biologico di quattro anni (in entrambi i casi la successione è di mais-soia-avena-erba medica). Le rotazioni sono state seguite per 18 anni (dal 1993 al 2010), in modo da evitare eventuali distorsioni del prezzo, collegate a particolari condizioni contingenti o alla variazione dei costi di produzione. Uno dei punti forti dello studio, recentemente pubblicato sull’Agronomy Journal, è proprio l’esame accurato di un periodo così prolungato; un altro è il fatto di aver preso come riferimento aree agricole molto estese per le coltivazioni sperimentali, di gran lunga superiori rispetto a quelle riportate da indagini simili.
Per determinare il profitto sono stati presi in considerazione i costi di produzione (sementi, macchinari agricoli, fertilizzanti o liquami, erbicidi e pesticidi), le rese dei raccolti e i prezzi di mercato. Per quanto riguarda i raccolti biologici, i ricercatori hanno valutato tre differenti scenari:
1) il prezzo attuale, classificato come premium perché risulta più elevato rispetto a quello del prodotto convenzionale;
2) un prezzo premium “ridotto” (il 50% della differenza tra premium attuale e prezzo convenzionale;
3) un prezzo identico a quello del raccolto convenzionale.
Dai risultati dell’analisi emerge che le coltivazioni di soia, mais, avena ed erba medica biologica garantiscono un profitto superiore nel primo e nel secondo scenario. Nel terzo caso, invece, il profitto del bio risulta paragonabile a quello del convenzionale nel sistema di rotazione su quattro anni e addirittura inferiore nel sistema di rotazione a due anni: insomma, se il prezzo del bio è pari a quello del convenzionale la convenienza per il produttore non c’è più. O in altre parole: coltivare senza pesticidi e rispettando l’ambiente è conveniente fino a quando si può vendere il raccolto a prezzi superiori, come avviene adesso e come dovrebbe continuare a essere nei prossimi anni.
Attenzione, però: questo discorso vale per attività già avviate, e non tiene conto del necessario periodo di transizione da una coltura tradizionale a quella biologica, un periodo della durata di 3 anni, in cui si deve coltivare in modo bio senza però avere diritto alla certificazione e quindi senza sovrapprezzo in fase di vendita. Probabilmente è questo limite a ostacolare le coltivazioni biologiche negli Stati Uniti: se da un lato, infatti, c’è stato negli ultimi 10 anni un notevole incremento delle coltivazioni bio (+ 500% dal 1998 al 2008 dei terreni coltivati a soia bio, per esempio), dall’altro va ricordato che parliamo comunque di piccole estensioni. Complessivamente, i terreni Usa coltivati in modo biologico costituiscono solo lo 0,7% del totale.
Valentina Murelli
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