Dopo anni di notizie pessime, ecco i primi segnali che qualcosa forse inizia a cambiare nella lotta all’obesità infantile negli Stati Uniti: a New York per la prima volta i tassi sono in calo, e lo stesso accade a Los Angeles e in altre città.
I Centers for Diseases Control hanno appena pubblicato un rapporto stilato in base ai dati raccolti nell’ambito di FitnessGrams, un programma che tiene sotto osservazione virtualmente tutti i ragazzi di New York dalle scuole materne alle medie inferiori con test clinici e misurazioni.
Negli ultimi cinque anni il tasso di obesità infantile è diminuito del 5,5%. Se infatti nel 2005-2006 c’erano 219 bambini obesi ogni 1.000, nel 2010-2011 sono scesi a 207, portando la percentuale di piccoli oversize al 20,7%, con una diminuzione netta di 6.500 casi.
Il calo più spiccato (quasi il 10% di casi in meno) si è verificato tra i figli della middle class e tra i bambini di 5-6 anni, tra i quali, più che rispetto ai più grandi, ha iniziato a farsi sentire l’esito di anni di campagne di prevenzione.
Tra i preadolescenti, infatti, la diminuzione è stata meno marcata perché affidata in misura maggiore alla perdita di peso (più che al non prendere chili di troppo); inoltre, i bianchi sono stati quelli che hanno perso più chili o ne hanno messi su di meno (12,5% di casi in meno), seguiti dagli asiatici (meno 7,6%). Al contrario, gli ispanici e gli afroamericani sembrano essere quelli che fanno più fatica a evitare di ingrassare o a dimagrire: tra di loro la diminuzione è stata rispettivamente del 3,4 e dell’1,9%.
Ora la questione è capire che cosa abbia finalmente arrestato una corsa – quella all’accumulo di peso – che sembrava infinita. Secondo Thomas Fairley, commissario alla salute pubblica della città, non c’è un solo elemento vincente.
Ma di certo tra ciò che ha funzionato di più ci sono le campagne contro il consumo di bevande gassate e zuccherate (che, con buona pace dei produttori, hanno insegnato ai genitori a dare ai figli bevande più sane e meno caloriche); la disponibilità di alimenti più sani, meno lavorati e con maggiore percentuale di verdura fresca nei menu scolastici e nelle caffetterie delle scuole; i regolamenti che limitano la presenza di snack ricchi di grassi animali e zuccheri nei distributori presenti nelle scuole e nei luoghi di ritrovo dei ragazzi.
Tra l’altro, quest’ultima iniziativa potrebbe presto essere estesa a tutti gli edifici pubblici della città, per cercare di estendere il successo ottenuto con i ragazzi anche agli adulti.
Oltre a ciò, ha sottolineato Fairley: «Negli ultimi anni il Comune ha sponsorizzato corsi per 4 mila insegnanti di scuole elementari nei quali si spiegava loro come introdurre pause basate sull’attività fisica e come aiutare i ragazzi a mangiare di meno e meglio, nonché a limitare il tempo passato davanti alla televisione o al computer, riscoprendo i benefici di una vita più attiva. Anche questo può avere avuto un ruolo non secondario».
Per far sì che la tendenza non si fermi ma, anzi, diventi sempre più spiccata, Fairley ha anche annunciato l’istituzione di una Task Force di esperti di diversa provenienza che avrà lo scopo di individuare e consigliare agli amministratori ulteriori iniziative dirette a tutta la popolazione.
Per quanto riguarda il resto degli Stati Uniti, i Cdc ricordano che anche a Los Angeles, città dove la lotta all’obesità è concentrata sulle bevande zuccherate, si è vista una diminuzione negli ultimi cinque anni, sia pure più contenuta e pari al 2,5%. Invece, in molte altre grandi città la curva sembra aver raggiunto un plateau (cioè non cresce) o mostrare tendenze all’aumento molto più modeste rispetto al passato recente.
Sempre i Cdc, infine, ricordano che non è possibile dimostrare un nesso causale tra misure antiobesità ed effettivo calo, ma che esso “potrebbe” esistere e dimostrare così la grande importanza di misure ad hoc prese a scuola, a casa e in molti luoghi pubblici.
foto: Photos. com
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Giornalista scientifica