A due giorni di distanza dall’intervista al gran capo americano di Mc Donald’s, il Financial Times torna sul tema degli “Happy meals”. Stavolta per dare notizia dell’azione giudiziaria collettiva (class action) attivata da un’associazione di tutela dei consumatori nei confronti del gigante del fast-food.

L’azione è partita su impulso di una donna quarantunenne, madre di due bambini, nel più grande Stato della federazione, la California. Lo stesso Stato dove, a novembre 2010, il “board of supervisors” di San Francisco ha vietato la vendita degli Happy Meals (dal dicembre 2011). Sembra quasi che i suoi cittadini rivendichino il diritto di vivere il “California dream” senza dover subire gli assalti di pubblicità aggressive rivolte ai loro piccoli.

L’associazione di consumatori Center for Science in the Public Interest (Cspi) si scaglia contro la pubblicità di McDonald’s per attirare i bambini. E in particolare contro i gadget offerti con gli Happy Meals: i più piccoli, sottoposti agli spot intensivi del “pasto felice” che “regala” il giocattolo, spingono i genitori a portarli proprio in quella catena di fast-food e ad acquistare per loro non insalate, macedonie, smoothies a base di frutta e altre “healthy options”, ma proprio gli Happy Meals con hamburger e patatine fritte.

Finché gadget e immagini di personaggi dei fumetti sono abbinati a singoli prodotti (come avviene, per esempio, con cereali, snack, caramelle) si può chiudere un occhio, perché possono comunque entrare a far parte di una dieta equilibrata, bilanciando i loro apporti di zuccheri con gli altri alimenti. Il problema, secondo l’associazione dei consumatori, sta nel fatto che gli Happy Meals sono pasti completi, che, da soli, forniscono apporti di energia, grassi e sodio ben superiori ai livelli raccomandati per i bambini sotto gli 8 anni.

Il Center for Science in the Public Interest (Cspi) ha avuto vita facile nel raccogliere prove: addirittura in una newsletter aziendale si afferma che, quando le famiglie si recano al McDonald’s, nel 53% de casi sono i bambini a comandare le scelte. «È un deliberato attacco ai bambini, realizzato con l’inganno e la provocazione, per interferire con l’autorità dei genitori», ha affermato Stephen Gardner, legale dell’associazione.

Così, se molte cause verso i grandi gruppi mirano a ottenere risarcimenti milionari (celebre la condanna di Starbucks, costretto a versare una montagna di quattrini a un’anziana signora scottata dal caffè troppo caldo) o condanne esemplari, l’associazione di consumatori americani vuole solo che il giudice ordini alla catena di fast-food di interrompere questo tipo di pubblicità per gli Happy Meals. Questo approccio, coerente alla finalità no-profit dell’Associazione, rischia di essere ancor più efficace in vista dell’affermazione di un principio di diritto.

Dario Dongo

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