Origine, date di produzione e trasformazione, condizioni di trasporto: sono tutti elementi importanti per garantire la qualità e la sicurezza di un prodotto alimentare, ma non sempre è facile per il consumatore avere accesso a queste informazioni. Diverse soluzioni tecnologiche possono dare una mano: è il caso della tecnologia RFID (Radio Frequency IDentification, cioè identificazione a radio frequenza), un sistema che permette di trasmettere informazioni su un particolare prodotto o processo con onde radio. Proprio per valutare l’efficacia e la sostenibilità di questa tecnologia per le piccole e medie imprese del settore alimentare è stata avviata nel 2010 la sperimentazione europea RFID Farm to Fork (“dal campo alla tavola”), ormai prossima a concludersi, alla quale hanno preso parte anche alcuni progetti pilota italiani. Vediamo di che cosa si tratta.

 

Al “prodotto” (un lotto di vongole o di latte, un raccolto, un maiale da avviare alla macellazione ecc.) viene associata quella che tecnicamente si chiama tag, una sorta di “etichetta intelligente” costituita da un chip (che raccoglie informazioni) e da un’antenna (che le trasmette). Sul chip si possono registrare in sequenza molti dati: il luogo di produzione, le date di lavorazione (raccolta, trasformazione, conferimento alla rete di distribuzione ecc.), i tempi e le condizioni (soprattutto la temperatura) di eventuali trasporti e altro ancora. Ovviamente, serve anche una rete di sensori wireless (WSN) in grado di raccogliere i dati dall’ambiente e trasmetterli al chip. Questo  li invia a una centralina, che a sua volta li passa a un computer per l’elaborazione.

 

«Il primo vantaggio della tecnologia RFID è per i produttori stessi» afferma Marco Battistella di Treviso Tecnologia, azienda speciale per l’innovazione della Camera di commercio di Treviso che ha seguito il Consorzio di cooperative di pescatori del Polesine nella partecipazione al progetto europeo. «I sensori wireless e le antenne in radio frequenza permettono infatti di tenere sotto controllo tutto il processo e di automatizzare la raccolta dati, che spesso viene fatta a mano». Prendiamo il caso del Consorzio, il principale produttore e distributore di cozze e vongole del Polesine: qui la tecnologia RFID è usata per identificare con precisione ciascun lotto di molluschi in entrata, prima nell’impianto di depurazione e poi in quello di lavorazione e confezionamento. «Lo può fare a mano anche un addetto alla catena di lavorazione, ma questo comporta tempi più lunghi e un certo rischio di errore  nel riportare il numero del lotto sulle etichette delle singole confezioni».

 

Facendo confluire tutti i dati raccolti dal sistema RFID su un codice QR (una sorta di codice a barre bidimensionale leggibile con uno smartphone o un tablet (vedi articolo), il vantaggio arriva anche ai consumatori, che possono avere informazioni dirette e difficilmente sofisticabili sul prodotto (dove e quando è stato raccolto, per quanto tempo è stato trattenuto nell’impianto di depurazione, a che temperatura è stato conservato e trasportato dal momento della raccolta a quello dell’acquisto). «Per il momento, il Consorzio ha adottato il QR code solo per i prodotti a denominazione d’origine controllata, cioè le vongole del Polesine e le cozze di Scardovari, ma sta testando l’applicazione anche ad altri prodotti» precisa Battistella.

 

Qualcosa di analogo succede alle Vigne Mastrodomenico di Barile (Potenza), azienda viticola a conduzione famigliare dedicata alla produzione di aglianico del Vulture, un vino Doc. «Abbiamo disseminato i vigneti e la cantina di sensori che raccolgono dati sul luogo di coltivazione dell’uva, sulle caratteristiche pedoclimatiche della stagione, sui tempi di trasferimento dai vigneti alla cantina, sulle condizioni della cantina e così via» spiega Giuseppe Mastrodomenico. «Queste informazioni garantiscono l’origine del prodotto, ma a un consumatore attento dicono anche qualcosa in più. Dalle caratteristiche climatiche della stagione (se è stata ventosa, piovosa, secca ecc.), per esempio, un esperto può capire indirettamente se è stato fatto ampio uso di trattamenti oppure no». Per il momento, l’azienda propone il QR code in etichetta per il suo prodotto più raro, un vino da meditazione prodotto in quantità limitatissima da uve appassite sulla pianta (Shekàr). «Però vorremmo estenderlo gradualmente anche agli altri prodotti» afferma Mastrodomenico.

 

Insomma, il sistema RFID si presenta come una tecnologia dalle grandi potenzialità, che sembra andare incontro alle esigenze sia dei produttori, sia dei consumatori. Secondo i risultati di un questionario proposto nell’ambito del progetto RFID-Farm to Fork, infatti, l’origine geografica dei prodotti è importante per oltre 8 consumatori su 10 e uno su due sarebbe anche disposto a pagare qualcosa di più per un prodotto tracciato elettronicamente. A proposito: per chi volesse partecipare, il questionario è ancora aperto.

 

Certo, questo non significa che l’RFID troverà subito rapida diffusione nell’ambito delle piccole e medie imprese italiane. Dotarsi di un sistema di tracciabilità di questo tipo ha un costo, anche se non elevatissimo, e non è detto che l’operazione sia conveniente per tutti. «Di sicuro è una grossa opportunità per i prodotti di fascia più alta», commenta Giuseppe Mastrodomenico, secondo il quale l’interesse dei produttori potrebbe essere stimolato anche con l’appoggio di un consorzio di tutela. In ogni caso, eventuali aziende interessate a sviluppare un percorso di tracciabilità con tecnologia RFID possono iscriversi sul sito ufficiale del progetto europeo: un modo per entrare in contatto con partner che possono fornire informazioni specifiche. 

 

Valentina Murelli

Foto: Photos.com

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Podere La DaMa
Podere La DaMa
20 Settembre 2012 08:23

Carissima Valentina, Spett.le Redazione, vi seguo da diverso tempo e apprezzo molto la vostra battaglia informativa a vantaggio della cultura di noi consumatori "ignoranti", oggi però una critica riguardante il messaggio che questo articolo lancia. La tecnologia RFID è sicuramente emergente nel suo sviluppo, ma è assolutamente già consolidata da tempo in tanti settori; ormai i TAG sono distribuiti ovunque, anche se spesso non individuabili alla vista e dare impronta di novità, a realtà concrete da tempo, induce il lettore a pensare che "ci sarà, ma chissà quando". L’innovazione è spesso realtà quotidiana (perfino la spazzatura si tagga). Io vengo da questo mondo (i primi TAG sul collo delle mucche da latte li ho utilizzati negli anni ’80), da qualche anno l’ho abbandonato per dedicarmi ad un progetto riguardante l’olio extravergine prodotto da olive autoctone della Regione Marche che, dopo due anni di sperimentazione sarà prossimamente reso pubblico. In questo progetto abbiamo portato la georeferenziazione degli uliveti, le piante taggate, la tracciatura della filiera di produzione dal campo alla bottiglia. Si utilizzano TAG sia passivi che attivi e il QR Code; al Consumatore (rigorosamente lettera maiuscola) diamo il codice di confezione per accedere ai dati di rintracciabilità.
Carissimi de "il fatto alimentare" i cosiddetti PROGETTI Europei e parenti, ormai non fanno più notizia, sono solo veicoli di marketing (quasi sempre finanziato).
Leggo nell’articolo: Scusate, ma noi medie e piccole realtà imprenditoriali, per fortuna, siamo già da tempo nel futuro.

Ossequi