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Piatto di chips di patate fritte circondato da chips sparse, ketchup, salsa e saleLa British Heart Foundation ha chiesto al Governo britannico di introdurre una tassa sul sale analoga a quella sullo zucchero. La fondazione propone di introdurre una tassazione specifica per i prodotti confezionati e legata alla quantità di sodio presente. Visto che gli appelli ad agire, portati avanti anche da Action on Salt, soprattutto quelli diretti ai produttori affinché modificassero spontaneamente le ricette, non hanno avuto l’effetto sperato, secondo l’associazione è indispensabile prendere provvedimenti di altro tipo.

Nei primi anni Duemila, spiega BHF, si era intravista un a tendenza positiva, e il consumo medio di sale era sceso da 9 a 8,1, grammi al giorno. Il risultato era stato ottenuto perché la Food Standards Agency aveva invitato i produttori a diminuire il sale con argomenti molto convincenti, che prevedevano l’introduzione di norme severe in caso non ci fosse stata alcuna modifica, mentre lo stesso governo aveva indicato l’obiettivo da raggiungere: 6 grammi al giorno e non di più. Poi, però, con l’avvento dei governi conservatori, dal 2010 in poi il clima è cambiato, liberando di fatto le aziende dagli obblighi, con la motivazione di dare loro più libertà di azione. Il risultato è stato che oggi il consumo medio stimato è di 8,4 grammi al giorno, ed è quindi aumentato, anziché diminuire. Perché il sale, ricorda il Guardian in un articolo dedicato all’appello, è dappertutto, anche nei dolci. E infatti l’85% deriva da alimenti e bevande già lavorati, e solo il 15% dalle aggiunte domestiche.

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I cereali e i derivati rappresentano la prima fonte di sale nella dieta dei cittadini britannici

Se si considerano le fonti principali, scrive il quotidiano, si vede che la prima sono i cereali, che costituiscono il 29% del sale assunto, seguiti da carne e derivati (27%), dai latticini (9%), dalle verdure comprese le patate (8%), dal pesce e dai prodotti che lo contengono (5%), dagli snack salati (2%) e dalle uova (2%). Non mancano poi alcuni grassi per cucinare (2%), le bevande analcoliche (2%) o alcoliche (1%), i dolci, la frutta e la frutta secca a guscio, tutti attorno all’1%.

Secondo la BHF, se si raggiungessero gli obbiettivi previsti, e cioè si arrivasse a 6 grammi al giorno, entro il 2035 si potrebbero aggiungere 5 anni alla vita media degli inglesi, si avrebbero 1,4 milioni di ipertesi in meno, 49mila ictus in meno e 1 milione e 235mila gravi malattie cardiovascolari in meno. Inoltre, la tassazione specifica funziona: lo sta dimostrando quella sullo zucchero introdotta nel 2018, che ha convinto molte aziende a modificare le ricette, e grazie alla quale si stima che, in media, i consumatori britannici assumano 30 grammi di zucchero in meno alla settimana, un quantitativo non trascurabile.

Action on Salt, dal canto suo, in aprile aveva pubblicato un’accorata lettera di 236 professionisti che chiedevano al Governo di prendere provvedimenti urgenti, proprio per prevenire migliaia di malattie cardio- e cerebrovascolari e i costi per la società ad esse associati, con un provvedimento a costo zero come l’imposizione di nuovi limiti o di una tassa. Da allora non è successo nulla, e la riduzione del sale non è entrata nei programmi di Boris Johnson per la Strategia nazionale sul cibo. La speranza è che l’aggiunta di questa nuova, autorevole voce possa agire da ulteriore stimolo. 

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