Altro che moda passeggera: la sushi-mania non accenna affatto a tramontare, anzi. Oltre che nei ristoranti giapponesi di alto livello e sempre più spesso nei supermercati per un consumo casalingo, il sushi viene anche servito a prezzi convenienti (soprattutto nei menù fissi a mezzogiorno) in molti ristoranti cinesi che hanno pensato bene di “rifarsi una verginità” trasformandosi in sushi-bar o fusion restaurant. I rischi legati alla freschezza del pesce crudo vengono ovviati con l’obbligo di surgelazione, e gli italiani hanno così deciso di concedere ampia fiducia alla cucina del Sol Levante. 

Non siamo i soli: anche in Svizzera la cucina giapponese piace molto.  La TSR – Télévision Suisse (Televisione svizzera romanda, un network in lingua francese) ha dedicato una puntata della trasmissione rivolta ai consumatori A Bon Entendeur proprio al sushi. Considerato l’esempio più recente – dopo pizza, hamburger, piatti al curry – dell’integrazione gastronomica.  

Gli autori del servizio hanno sottoposto a un gruppo di esperti cinque marchi di sushi da asporto venduti nei supermercati, per un test di assaggio, dopo averne valutato la freschezza in laboratorio. Risultato? Se il prodotto refrigerato se la cava, quello surgelato è bocciato senza appello.

Al di là dei giudizi sui prodotti specifici, le osservazioni possono essere d’aiuto anche per noi, se decidiamo di acquistare il sushi venduto dalla grande distribuzione italiana e vogliamo valutarne la qualità. Altrettanto interessanti sono le curiosità sull’origine e le modalità di preparazione di questo simbolo della cultura  e della gastronomia  giapponese.

L’azienda e il maestro

Gli autori del servizio sottolineano che in Svizzera quella del sushi da asporto è in realtà una grande famiglia: c’è la versione tradizionale, quello adattato ai gusti del paese “ospite” e le rielaborazioni più sofisticate del sushi nouvelle-cuisine.

La troupe televisiva ha visitato l’azienda Sushi Mania di Vuadens, nel cantone di Friburgo. Marc Durst, il direttore, ha avuto l’idea di lanciarsi in questo settore 11 anni fa, quando era responsabile della ristorazione al festival del Jazz di Montreux. All’epoca immaginare di vendere sushi d’asporto agli svizzeri era un tentativo pionieristico. Oggi Durst vende il suo prodotto in tutto il paese, attraverso grandi catene di distribuzione come Globus e Migros: «Una vera corsa contro il tempo, perché il sushi è altamente deperibile»

Eppure Katia Uchitomi, titolare di un negozio di specialità giapponesi, spiega: «In origine, il sushi era un metodo per conservare gli alimenti. Si metteva il pesce nel riso perché fermentasse, poi il riso stesso veniva buttato via. Solo in seguito ci si è accorti che si poteva mangiare il tutto».

Il sushi preparato in famiglia è molto diverso da quello che siamo abituati a consumare. Mentre a noi la parola fa venire subito in mente “pesce”, in Giappone, dove si mangia riso a ogni pasto, il “cuore” del sushi è innanzitutto questo ingrediente, condito con aceto, zucchero e sale in proporzione variabili a seconda della regione e della ricetta.

L’evaporazione dell’aceto durante la preparazione del riso è un momento cruciale. Poi si aggiungono striscioline d’omelette, legumi, champignon, pesci marinati, polpi, gamberetti a seconda della stagione e della ricetta di famiglia.

Hashimoto-San, nato a Tokyo, nel negozio di suo padre ha appreso a 16 anni l’arte dell’ITA-MAE,  letteralmente “colui che sta davanti al tavola da lavoro”. «Il nigiri-sushi di stile Edo-Mae, tipico della provincia di Tokyo, ha la forma che assomiglia a un ventaglio. In altre zone ha forma più quadrata». Per farne uno, ci mette 6 secondi, così che il pesce non si scaldi troppo a contatto con le mani.

Per un risultato eccellente, il pesce deve essere freschissimo e freddo e il riso tiepido. Per questo Yoshimi Hashimoto non ama troppo il sushi d’asporto: «La differenza di temperatura va persa. In più, dato che l’aria in Svizzera è molto secca, anche il riso diventa subito  asciutto e il sushi è meno appetitoso».

Nello stabilimento di Sushi-Mania i macchinari sono giapponesi. Secondo Marc Durst, «L’importante è il riso». 55 persone di 18 nazionalità producono qui 20 mila sushi da asporto al giorno. Per riuscirci, occorrono organizzazione e igiene senza falle e una qualità alta, perché gli europei sono molto esigenti: «Facciamo oltre cento tipi differenti di sushi, quelli di maggior successo sono al tonno, al salmone, ai gamberi e i piccoli rotoli al cetriolo, salmone e tonno».

Nelle vaschette si trova in genere una produzione standard e assai semplificata rispetto alla grandissima varietà del sushi giapponese. E la conservazione al freddo non contribuisce  a migliorare il gusto del prodotto. Marc Durst conferma: «Il sushi migliore è quello che viene preparato davanti ai vostri occhi. Per le aziende il rispetto della catena del freddo è un limite non di poco conto: il sushi deve restare tra 0 e +2 °C e questo tende a indurire leggermente il riso».

Tonno, insana passione? Si può preparare sushi solo di verdure, ma quello più gettonato contiene pesce. Il consumo mondiale di pesce è in aumento, e questo sta causando la forte riduzione di alcune specie. Bisogna sentirsi in colpa mangiando sushi?

La risposta non è semplice. Il sushi oltre che appetitoso, è anche sano, leggero, e quindi molto raccomandabile da un punto di vista dietetico. Ma l’eccesso di pesca, l’esaurimento di alcune  specie e i problemi di inquinamento dell’acquacoltura intensiva sollevano legittimi interrogativi sull’estensione  del modello cuclinario giapponese in altri paesi.

Per Marc Powell del WWF, «50 anni fa, i pesci potevano nascondersi nelle profondità dell’oceano. Oggi i miglioramenti tecnologici e la crescita dei profitti hanno fatto aumentare enormemente le flotte,  in maniera sproporzionata ai pesci». Laurent Isoux, amministratore di Gastromer, un grossista che rifornisce anche i ristoratori giapponesi, spiega che gli ordini prevalenti riguardano soprattutto branzini, orate e pagelli.

Ma il re indiscusso del sushi è il Tonno rosso, oggi a rischio d’estinzione, nonostante i  tentativi di allevamento. L’80% del Tonno rosso pescato nel Mediterraneo va direttamente nell’Impero del Sol Levante e raggiunge prezzi elevati. Si utilizza anche il tonno Albacora contrassegnato come  “Friend of The Sea“, un’etichetta che certifica l’impiego di modalità di pesca rispettoso dell’ambiente e degli stock disponibili.

Il Wwf, però, mentre ritiene affidabile il marchio di qualità ecologica “Marine Stewardship Council (Msc), mentre non è altrettanto certo di “Friend Of The Sea” . Secondo Marc Powell: «È meglio di niente. Ma secondo uno studio che abbiamo commissionato consulenti esterni per valutare la credibilità di queste etichette, l’eco-label Msc è più credibile, più completa e corretta nelle sue valutazioni, mentre “Friend Of The Sea” è meno credibile e meno informativo».

Il servizio televisivo, però, per correttezza precisa che con la multinazionale Unilever, il Wwf ha partecipato alla creazione e al finanziamento dell’eco-label MSC che raccomanda. In materia di etichette, quindi, c’è un pò di confusione.

 Secondo Marc Powell: «Il nostro consiglio è di cominciare a considerare i prodotti del mare come una prelibatezza gastronomica per le grandi occasioni, e non un cibo da tutti i giorni.  In questo modo, possiamo contribuire da consumatori a proteggere gli oceani».

Anche la scelta della specie da mettere nel piatto ha la sua importanza: il WWF propone una guida all’acquisto che permette di capire se il salmone dell’Atlantico o il Tonno rosso sono raccomandate, accettabili o da evitare.

 

La degustazione del sushi industriale

I giornalisti di A Bon Entendeur hanno acquistato 5 confezioni di  di sushi da asporto in alcuni supermercati, hanno selezionato per ognuna un nigiri al salmone e un maki vegetariano e li hanno fatti assaggiare, ovviamente alla cieca, agli esperti: i maestri di sushi Martine Berner e Yoshimi Hashimoto, Kuniko Satonobu di Swissinfo, Masahiko Numabukuro del ristorante Natomi e Katia Uchitomi della rosticceria Uchitomi.

ll sushi venduto da Coop e prodotto da Covedis è risultato preparato col pesce molto fresco e tenero, ha evidenziato una cottura del riso corretta ma non abbastanza acre e consistenza – inevitabile per il sushi d’asporto – un po’ dura e asciutta, complessivamente gustoso.

Pareri un po’ discordanti sul prodotto di SushiMania, venduto da Migros (Il pesce non è male e l’alga del maki tenera. Il pesce un po’ grasso. Il riso è un po’ troppo cotto, ma il gusto è piacevole).

Il sushi Aligro, prodotto da Ekai non supera bene la prova (Il maki non è compatto, il riso molto appiccicoso, voto 4, Il pesce non va male, ma il riso troppo duro, Riso pessimo).

 Va molto peggio al sushi del supermercato Manor, a marchio Manor Foods-Sushi Zen (Il pesce è abbastanza freddo, ed è buono, ma il riso è privo di aceto e la forma è troppo regolare, quindi non è stato fatto a mano. È il peggiore. Riso troppo duro e difficile da inghiottire anche per gli altri assaggiatori, mentre per un giurato «Il pesce puzza un pò»).

Per finire, unanime e senza appello il giudizio negativo sul sushi Costa surgelato, venduto da Migros. (Per Martin Berner “Sembra una suola di scarpe. Il pesce non sembra fresco”).

Eppure, gli autori del servizio dicono di aver evitato il peggio agli assaggiatori: il sushi surgelato Yedo, acquistato da Casino. Una volta scongelato, aveva un aspetto così sinistro che i giornalisti hanno preferito eliminarlo dal test.

È andata bene dal punto di vista dell’igiene e della sicurezza, dato che il sushi è altamente deperibile. Dal laboratorio, solo buone notizie: tutti i 17 campioni testati sono risultati privi di microbi.

Per finire, una raccomandazione: il rispetto della catena del freddo è importante anche a casa. E per apprezzare meglio i sapori, basta togliere il sushi dal frigo solo una ventina di minuti prima di metterlo a tavola. 

Mariateresa Truncellito

foto: photos.com, Tsr CH, A bon entendeur