Anche in Sudafrica la tassazione sulle bevande zuccherate sembra avere effetto. Lo suggeriscono i dati di uno studio appena pubblicato su Lancet Planetary Health dai ricercatori della School of Public Health dell’Università di Witwatersrand, di Johannesburg, che hanno analizzato i consumi di un gruppo di oltre tremila famiglie di tutte e nove le province del Paese. Gli autori hanno poi confrontato i dati registrati nel periodo precedente la discussione sulla legge con quelli relativi ai mesi successivi all’approvazione della sugar tax, avvenuta nel 2016, e con quanto osservato dopo l’effettiva entrata in vigore della nuova normativa, nel 2018. La legge prevede un sovrapprezzo di 21 centesimi di rand per ogni grammo di zucchero in più al di sopra dei 4 grammi per 100 ml, equivalente a una tassa di circa il 10%.
Per analizzarne gli effetti, gli autori hanno verificato gli acquisti su base mensile del periodo compreso tra il 2014 e il 2019, per un totale di oltre 110 mila osservazioni, e hanno quindi dedotto lo zucchero pro-capite, le calorie associate e il volume delle bevande tassabili o meno acquistate. Il risultato è stato che il consumo individuale di zucchero derivato dalle bibite è sceso dai 16,25 grammi al giorno del periodo precedente la legge ai 14,26 grammi di quello successivo all’annuncio, fino ai 10,63 grammi giornalieri nel primo anno in cui la sugar tax è entrata in vigore. Ciò equivale a una diminuzione del 51% nel quantitativo di zucchero e del 52% in quello di calorie assunti ogni giorni da questa fonte. Anche i volumi di bibite tassabili acquistati sono scesi in proporzione: da 518 millilitri pro capite giornalieri si è passati a 492 e poi a 443 ml, mentre parallelamente sono cresciuti, sia pure in misura minore, i consumi di quelle non tassabili, passati da 283 a 312 ml. È infine cambiata anche la composizione delle bevande zuccherate, che via via sono state riformulate per ridurre lo zucchero.
Interessante anche il profilo di chi ha risentito di più del nuovo regime: come atteso, sono state le fasce economicamente e socialmente più deboli della popolazione, che prima della tassa erano anche i maggiori consumatori di bevande zuccherate (e si ammalavano di più).
Una qualche forma di sugar tax è stata ormai introdotta in decine di Paesi diversi, ma non tutte quelle implementate si sono rivelate all’altezza delle aspettative. Molto dipende da come la normativa è formulata e in generale si è visto che, per essere efficace, l’aumento di prezzo deve essere relativamente rilevante e proporzionale al volume e al contenuto in zucchero: se è di pochi centesimi e non fa distinzioni in base alle quantità assolute e relative di zucchero, può risultare inizialmente efficace, ma di solito l’effetto è destinato ad annullarsi nell’arco di breve tempo.
Se invece acquistare o meno una bibita zuccherata incide sulla spesa, a modificare il proprio comportamento sono sia i consumatori, che si orientano su altre bevande meno costose e iniziano a informarsi sui rischi per la loro salute, sia i produttori, che cambiano le ricette al fine di non ricadere, con i propri prodotti, nella fascia penalizzata dalla sugar tax. Così è stato anche in Sudafrica.
Il caso della tassa sudafricana, chiamata Health Promotion Levy, è infine molto significativo perché si tratta della prima normativa introdotta nel continente africano, dove povertà e malnutrizione assumono sempre più spesso, soprattutto nei grandi agglomerati urbani, la faccia del XXI secolo, ovvero quella consumo di junk food e delle malattie a esso collegate, prima delle quali è l’obesità.
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Giornalista scientifica
“È infine cambiata anche la composizione delle bevande zuccherate, che via via sono state riformulate per ridurre lo zucchero”
Questo fatto da solo invalida qualunque presunto vantaggio salutistico o salutifero, perché per sostituire lo zucchero (dannoso solo per la quantità aggiunta alla dieta) le multinazionali utilizzano non solo a edulcoranti sostitutivi (i cui effetti sulla salute alla lunga distanza ancora non sono accertati ma in prima approssimazione non sembrano esenti da rischi) ma soprattutto a metodiche di lavorazione avanzate che comportano l’uso degli “ausiliari tecnologici” (tradotto: ingredienti usati durante la lavorazione e che scompaiono una volta fatto il loro effetto) che la legge non richiede che siano esposti in etichetta.
Insomma, per ridure di una risibile percentuale l’assunzione di zucchero (UNO dei cento componenti la dieta) si incentiva la creazione di bibite mostro nelle quali dozzine di ingredienti (in gran parte occculti) ne sostituiranno uno solo, ma fregiandosi di una bella e ingannevole etichetta di “bibita salutistica” e relativo semaforino verde quando invece il consumatore dovrebbe essere invitato a tenersene ben lontano.
Ora potranno cotinuare ad aggiungere alla lista i dolcificanti artificiali, o altri prodotti ugualmente nocivi alla salute. Da qualche parte bisognerà pur partire. Che lo zucchero sia ‘uno dei cento componenti della dieta’ potrebbe essere vero. Ma non sminuiamo l’effeto che ha sull’organismo e i problemi di salute che sono molto peggiori dell’abituarsi a bere acqua invece della red bull.