Ancora una volta la sugar tax, la tassazione sulle bevande zuccherate, supera brillantemente la prova dell’analisi dei suoi effetti. E questa volta si tratta di una promozione particolarmente significativa, perché dedotta dai risultati ottenuti a latitudini molto diverse, e quindi in realtà socio-economiche rappresentative di una buona parte dei paesi a un livello di sviluppo medio-alto. A effettuarla sono stati i ricercatori dell’Università di Otago di Wellington (Nuova Zelanda), che si sono coordinati con i colleghi di diversi paesi e hanno analizzato 17 studi nei quali era stata quantificata l’efficacia della tassazione in quattro realtà statunitensi – Cleveland (Ohio), Portland (Maine), Berkeley (California) e Filadelfia (Pennsylvania) – e poi in Catalogna (Spagna), Cile, Francia e Messico.
Come riferito su Obesity Reviews, il risultato è stato che, in media, a una tassazione del 10% corrisponde una diminuzione del consumo di bibite zuccherate della stessa entità. Parallelamente (e lo si vede sempre, qualora sia indagato), procede l’andamento del consumo di altri prodotti: sempre rispetto a una tassazione del 10%, i consumi di bevande alternative a quelle zuccherate salgono in media dell’1,9%, quelli di acqua del 2,9%.
Ma lo studio ha messo in luce molti altri aspetti interessanti, e utili per chi sta pianificando l’introduzione della tassa. Per esempio, è molto più efficace una tassa associata al contenuto di zuccheri che non una collegata al volume della bibita. Servono poi misure complementari come quella attuata in Cile, che prevede la contemporanea diminuzione delle tasse sulle bevande a basso tenore di zuccheri, o quella del Messico, cioè l’estensione della tassa anche al junk food o, ancora, quella francese, che comprende anche le bibite dolcificate con edulcoranti.
Accanto a ciò ci devono essere misure volte a incrementare l’attività fisica, la consapevolezza dei consumatori, il coinvolgimento autentico delle aziende, e possono avere influenza fattori come la vicinanza ai confini di uno stato dove l’accesso alle bevande zuccherate è libero (molto evidente negli Stati Uniti e in particolare a Berkeley) e le condizioni socioeconomiche. In particolare queste ultime possono avere effetti diametralmente opposti: per esempio, la tassa in Messico ha avuto conseguenze molto evidenti tra le fasce di popolazione più povere, mentre in Cile tra quelle più benestanti.
Infine, la sugar tax ha già convinto molte aziende a modificare le ricette (è successo in Gran Bretagna a partire dalla sua introduzione, nel 2016), o a investire su prodotti meno problematici come l’acqua aromatizzata o con minerali e vitamine. Secondo l’OMS la tassa ideale dovrebbe essere del 20%, ma sembra a questo punto dimostrato che anche una tassazione inferiore, sia pure nell’ambito di una strategia più ampia, possa avere effetti significativi.
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Giornalista scientifica