Donna con espressione entusiasta tiene in mano tavoletta di cioccolato

C’è una nuova tendenza, tra gli approcci che hanno lo scopo di combattere l’eccesso di zuccheri che contraddistingue la dieta della maggior parte delle persone: la cosiddetta “sugar elimination”. Si tratta di una strategia basata su prodotti che, diminuendo molto l’assorbimento degli zuccheri ne riducono il ruolo metabolico. In altri termini, assumendo alcuni di questi preparati, in teoria si può continuare a mangiare dolci e a bere bevande zuccherate senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, perché l’organismo ne assorbe solo una piccola frazione. Si interviene così a valle della gratificazione data dagli zuccheri, lasciandola intatta, e non a monte, come si cerca di fare oggi, convincendo le persone a ridurre i consumi, oppure a usare dolcificanti sintetici.

A illustrare le ultime novità è il Guardian, che spiega di cosa si tratta, quali sono i possibili benefici e quali gli aspetti deteriori, e quali reazioni questi prodotti stanno suscitando tra gli esperti.

Microspugne anti-assorbimento

Il principio base di uno di essi è quello della spugna: una volta giunti nello stomaco, promettono di assorbire gli zuccheri come farebbe appunto una spugna, evitando così che questi siano assimilati. Il merito di tale effetto è di particelle che, una volta ingegnerizzate, si espandono solo nello stomaco, dove catturano gli zuccheri. 

Funziona così, per esempio, un prodotto chiamato Monch Monch, un grammo del quale sarebbe in grado di assorbire fino a sei grammi di zuccheri tra i quali il saccarosio, il fruttosio, il glucosio e, in misura minore, gli amidi. Monch Monch è stato autorizzato nel mercato statunitense come integratore nello scorso mese di novembre, essendo stato riconosciuto come sostanza sicura (Generally Recognized as Safe). È costituito da granuli di cellulosa vegetale le cui irregolarità sono impregnate da un idrogel che ha appunto la funzione di sequestrare gli zuccheri.

Donna in tenuta sportiva versa bustina di integratore Monch Monch in una borraccia
Monch Monch è un integratore che assorba come una spugna gli zuccheri e in misura minore gli amidi semplici, impedendone l’ingresso nell’organismo

Un mese di trattamento, che prevede due bustine al giorno prima dei pasti principali, costa circa 120 euro: non si tratta, quindi, di un rimedio economico. Secondo l’azienda che l’ha brevettato, la BioLumen, un piccolo studio su volontari durato tre settimane (non pubblicato) avrebbe mostrato una diminuzione dei picchi di glucosio e delle oscillazioni di insulina, anche se si attendono ricerche con molti più partecipanti, prima di esprimersi in merito.

Fibre anti-zuccheri

Altri stanno cercando di ottenere la formazione, partendo dagli zuccheri, di fibre direttamente all’interno dell’apparato digerente. In particolare, i ricercatori del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering di Harvard (USA), in collaborazione con l’azienda Kraft-Heinz, hanno capito come sfruttare un enzima presente nelle piante e capace, appunto, di trasformare gli zuccheri in fibre, chiamato inulosucrasi.

L’azienda ha incapsulato l’enzima in un rivestimento di fibre vegetali che lo preserva integro nel passaggio attraverso lo stomaco. Una volta giunto nell’ambiente meno acido dell’intestino, si libera e riesce a scindere i due componenti del saccarosio, glucosio e fruttosio. Poi,  unisce le molecole di fruttosio, producendo inulina, una fibra indigeribile e non assorbibile, benefica per il microbiota intestinale. Il glucosio non viene toccato, anche se i ricercatori affermano che sarebbe possibile inserire nella capsula stanno altri enzimi che potrebbero agire su di esso. Secondo i programmi, l’enzima incapsulato dovrebbe arrivare sul mercato nel 2026.

Anche nel Regno Unito c’è che persegue la via enzimatica e, in particolare Zya, start up che sfrutta un’altra inulosucrasi, ottenuta per fermentazione da lieviti e capace a sua volta di trasformare gli zuccheri in fibre nell’intestino. In questo caso, però, l’enzima è essiccato, quindi non ha bisogno di essere rivestito e può essere conservato a temperatura ambiente. Secondo i dati di Zya, riuscirebbe a convertire in fibre il 30% degli zuccheri con cui entra in contatto, e nei test effettuati (per ora sui maiali) avrebbe dato buona prova di sé. Anche in questo caso, l’approvazione è prevista per il 2026.

Per entrambi gli enzimi, inoltre, basterebbero minime quantità, e ciò significa che potrebbero essere utilizzati anche come ingredienti, per offrire dolci il cui zucchero è assorbito solo in parte, senza bisogno di riformulare i prodotti.

Cupcake con glassa colorata in una teglia da muffin, sullo sfondo altri cupcake da decorare; concept dolci, zuccheri
Altre aziende stanno studiando enzimi che trasformano gli zuccheri in fibre nell’intestino

Le reazioni alla sugar elimination

Non tutti gli esperti sono entusiasti. Il motivo è facilmente intuibile: affidarsi a questo approccio significa arrendersi, e autorizzare le persone a continuare a mangiare male, come ha sottolineato uno dei più conosciuti nel Regno Unito, Tim Spector, che ha ricordato anche un’altra cosa. Molto spesso, ha dichiarato al Guardian, lo zucchero arriva alimenti ultra processati, che sono dannosi non solo per la presenza appunto di zucchero, ma anche per quella di certi grassi, di sale e di additivi. Nulla di tutto ciò viene minimamente influenzato dalle spugne o dagli enzimi, e lasciar intendere che si può continuare a consumare certi prodotti senza temere conseguenze, se solo si prende anche una bustina di integratore, è profondamente sbagliato. 

Graham MacGregor, capo di Action on Sugar, invece, ha sottolineato la necessità di studi molto più approfonditi, che dimostrino, oltre all’efficacia, anche la sicurezza di questi rimedi.

Si ripropone quindi la discussione già in corso sugli antidiabetici della classe degli agonisti di GLP1 come l’Ozempic. Secondo alcuni sarebbe più utile, visto il dilagare dell’obesità e delle patologie associate, essere pragmatici, cioè prendere atto del fatto che le persone mangiano troppo e male, e cercare di rimediare come si può, anche con farmaci e (in questo caso) integratori. Secondo altri, invece, sarebbe meglio insistere sull’educazione alimentare e sulla qualità di cibo e bevande in commercio, se necessario anche con misure drastiche come limiti di legge, per esempio, alla concentrazione di zuccheri, o sugar tax e altro.

© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, BioLumen, Depositphotos

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Franco Brindani
Franco Brindani
19 Marzo 2024 10:24

Molto interessante. Apre nuove prospettive, non necessariamente per abbuffarsi di zuccheri.

giova
giova
19 Marzo 2024 11:12

Molto interessante. Anche per la conferma della direzione che spesso intraprende l’industria e la “sua” ricerca, finalizzata a promuovere o mantenere stili di vita finalizzati al profitto.
Diversi decenni fa, dopo un certo clamore mediatico sui problemi del consumo di farine e cereali raffinati, cominciarono a:
1)vendere crusca da aggiungere ai cibi (spesso di scarsa qualità, in quanto la parte esterna del chicco assorbe tutti i trattamenti chimici fatti durante e dopo il suo sviluppo)
2)aggiungere la stessa al pane dichiarandolo integrale
3)venderla in farmacia, e successivamente nei supermercati, come integratore
La storia si ripete, la logica è la stessa: una modalità “scientistica” (aggettivo che non so se esiste, ma mi riferisco allo scientismo) di approccio all’alimentazione che lascia il tempo che trova e non risolve nessuna problematica, forse neppure quella per la quale si sono applicati.

cinzia
19 Marzo 2024 18:57

Mi colpisce in particolare l’azienda che ha sperimentato su un piccolo gruppo di persone e poi, sulla base di risultati non contro-verificati e di studi non pubblicati ha ricevuto l’autorizzazione a mettere in commercio un prodotto peraltro costoso. Una sorta di “sperimentazione in campo aperto” fatta direttamente sui consumatori, senza nemmeno i costi che ogni ricerca comporta, anzi guadagnandoci. Non male.