Non ha fatto in tempo a entrare in vigore, il decreto sul meat sounding con il quale il governo francese tenta, dal 2022, di vietare ai prodotti vegetali di utilizzare le denominazioni degli analoghi di carne come burger. Varato a fine febbraio nella sua versione definitiva (dopo un primo stop del Consiglio di stato), sarebbe dovuto entrare in vigore il primo maggio. Ma il Consiglio di stato ha nuovamente bloccato tutto, avanzando due tipi di argomenti che potrebbero rendere di fatto impossibile l’applicazione della normativa, e che potrebbero essere ripresi anche in Italia.
Il decreto sospeso sul meat sounding
Come previsto anche dalla legge approvata dal governo italiano, i francesi avevano varato un decreto che avrebbe obbligato chi produceva carni vegetali in Francia a chiamare i propri prodotti in altro modo, non potendo intervenire su quelli prodotti in altri paesi europei. La pena pecuniaria per chi non si fosse uniformato era stata fissata in 7.500 euro.
Il divieto si estendeva a tutto ciò che era o sarebbe stato ottenuto non solo da piante, ma anche da funghi, o per fermentazione da lieviti: un divieto tombale su tutto ciò che non è carne tradizionale. Nel testo, poi, era esplicitata la lista delle parole tabù, tra le quali bacon, filetto, scaloppina, bistecca, prosciutto, salsiccia e altri. Uniche eccezioni: prodotti ibridi, nei quali la parte vegetale non fosse comunque superiore a una percentuale prefissata, e molto bassa. Per esempio, il bacon non doveva contenerne più dello 0,5%, il filetto più dell’1% e così via.
Che cosa dice il Consiglio di stato
Tuttavia, il Consiglio di stato ha fatto notare che il decreto contraddiceva quanto stabilito dall’Europa, che aveva già affrontato la questione nel 2020, votando per il mantenimento delle attuali denominazioni. Non a caso la questione, al momento, è oggetto di una valutazione specifica da parte della Corte di giustizia europea. Perché, appunto, resta da capire quanto una legge nazionale possa confliggere con quelle europee: e il problema riguarda, anche, la normativa italiana.
Inoltre, il Consiglio di stato ha messo in luce gli effetti sui produttori di carni vegetali, che avrebbero dovuto affrontare spese significative per nuovi packaging con le denominazioni cambiate. E, con ogni probabilità, avrebbero dovuto lanciare nuove campagne pubblicitarie, per far conoscere ai loro clienti i cambiamenti apportati, sperando che questi ultimi restassero fedeli. Una concorrenza sleale e impossibile da sostenere, anche perché tutto si sarebbe dovuto svolgere in tre mesi, costringendo inevitabilmente i più fragili e piccoli a chiudere, o a limitare il numero di prodotti offerti.
Le conseguenze
Di certo, un decreto di questo tipo avrebbe alcune conseguenze inevitabili: aumenterebbe la confusione per i consumatori, che troverebbero nei negozi prodotti molto simili, ma con nomi diversi a seconda del paese nel quale sono realizzati. Inoltre, penalizzerebbe le aziende francesi che producono alimenti vegetali rispetto alle concorrenti europee.
Per quanto riguarda l’Italia, il Good Food Institute (GFI) ricorda che il Ministro Lollobrigida, durante un intervento alla Camera, aveva dichiarato che la rivalutazione del divieto Italiano di meat sounding si sarebbe basata anche sugli sviluppi francesi. Sarà quindi interessante vedere le prossime mosse del Ministero, anche se sembra evidente che tanto la Francia quanto l’Italia debbano attendere i pronunciamenti europei.
Da sola, ancora secondo il GFI, l’Italia rappresenta il terzo mercato europeo per i prodotti a base vegetale, con vendite in crescita del 21% tra il 2020 e il 2022 e un valore stimato di 680,9 milioni di euro. Secondo alcuni sondaggi, poi, oltre la metà di chi acquista carne plant-based diventa consumatore abituale: l’idea che la terminologia possa in qualche modo trarre in inganno i consumatori è priva di fondamento.
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Giornalista scientifica