Tra i motivi per ridurre il trasporto delle merci su gomma ce n’è uno a cui si pensa poco, ma che sta assumendo dimensioni preoccupanti: le particelle di gomma rilasciate sull’asfalto dagli pneumatici. Questi infatti, a causa delle sostanze addizionate alle gomme per aumentarne le prestazioni come il 6PPD, reagiscono con gli agenti atmosferici, in primo luogo con l’ozono, dando origine a un composto tossico per molti pesci, chiamato 6PPD-chinone. Quando piove, il 6PPD- chinone viene dilavato dalle strade e finisce nei corsi d’acqua, dove causa intossicazioni e, a volte, morìe di pesci.
Si è quindi finalmente compreso il fenomeno alla base di diversi episodi di questo tipo, inizialmente misteriosi, verificatisi sulla costa occidentale degli Stati Uniti e che hanno coinvolto anche specie ittiche di elevato valore commerciale come i salmoni argentati (Oncorhynchus kisutch). Uno studio pubblicato il 2 marzo su Environmental Science & Technology Letters aggiunge ora altre due specie alla lista degli animali sensibili a questo composto tossico: la trota iridea o salmonata (Oncorhynchus mykiss) e il salmerino di fonte (Salvelinus fontinalis).
Per giungere a questo risultato, i ricercatori di due università canadesi hanno testato la resistenza di quattro specie ittiche a varie concentrazioni di 6PPD-chinone, simili a quelle che si raggiungono in seguito alle piogge nei corsi d’acqua vicini alle strade a grande scorrimento. Le due specie risultate resistenti all’inquinante, in concentrazioni fino a 14,2 µg/l, sono il salmerino alpino (Salvelinus alpinus) e lo storione bianco (Acipenser transmontanus). Mentre questa sostanza ha determinato la morte del salmerino di fonte a cominciare da un’esposizione di poco più di un’ora fino a un massimo di 20 ore, mentre le trote salmonate sono morte dopo un tempo di esposizione tra le 7 e le 60 ore. Entrambe le specie hanno mostrato sintomi simili, come l’iperventilazione e la perdita dell’equilibrio.
Un altro studio dedicato alle sostanze pericolose che finiscono nei fiumi e nei pesci è stato pubblicato a metà febbraio su Pnas. In questa ricerca gli autori hanno valutato la presenza di residui di farmaci in oltre mille campioni provenienti da 258 fiumi delle più diverse latitudini, dall’Amazzonia al Tevere, in 104 paesi, corrispondenti a una popolazione complessiva oltre 470 milioni di persone. I corsi d’acqua maggiormente contaminati sono risultati quelli dell’Africa Sub Sahariana, del Sud America e nell’Asia del sud, probabilmente perché in queste zone i sistemi di trattamento dell’acqua sono meno efficienti.
I tre farmaci più diffusi sono la carbamazepina, un antiepilettico, la metformina, un antidiabetico, e la caffeina, rilevati in oltre la metà dei siti monitorati, ma la lista ne comprende decine. In generale si sono trovate concentrazioni tali da minacciare l’ambiente e la salute umana (per esempio per lo sviluppo di ceppi batterici resistenti agli antibiotici) in oltre un quarto dei campioni. Questo significa che, a prescindere dai sistemi di depurazione delle acque che possono renderle potabili per l’uomo, i pesci e gli altri organismi che vivono in questi fiumi assorbono una grande quantità di farmaci il cui effetto su di loro e su chi li mangia è in gran parte sconosciuto. C’è insomma molto da fare per migliorare la qualità dell’acqua dolce di superficie: un problema che rappresenta una minaccia globale per l’ambiente e per la salute umana.
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Giornalista scientifica