Soda tax: studio Usa scopre ingenti finanziamenti di Coca-Cola, Pepsi per ostacolare la legge sulle bevande zuccherate chiesta dall’Oms
Soda tax: studio Usa scopre ingenti finanziamenti di Coca-Cola, Pepsi per ostacolare la legge sulle bevande zuccherate chiesta dall’Oms
Agnese Codignola 18 Ottobre 2016Negli ultimi anni un vero e proprio fiume – è il caso di dirlo – di denaro si è riversato dai grandi produttori di bibite zuccherate, le soda, a centri di ricerca, associazioni scientifiche, mezzi di comunicazione e in generale a chiunque potesse avere voce in capitolo, al fine di tenere nascosti gli indiscutibili legami tra i loro prodotti e il peggioramento planetario delle condizioni di salute dovuto a obesità e sovrappeso. Il denaro è stato però speso inutilmente, se è vero che alla fine ci si è dovuti arrendere all’evidenza delle prove contenute negli studi e all’aumento esponenziale di esseri umani di tutte le età con troppi chili addosso. Per di più anche la stessa OMS si è schierata in maniera netta e decisa contro qualunque bevanda (o alimento in genere) che contenga zuccheri aggiunti e, nei giorni scorsi, ha auspicato l’introduzione di una tassa specifica pari ad almeno il 20%, la tanto discussa soda tax.
La proposta sembra studiata a tavolino l’uscita dello studio della School of Public Health dell’Università di Boston sull’American Journal of Preventive Medicine per sostenere il pronunciamento dell’OMS, e anche se probabilmente non lo è, sarà più difficile per le lobby delle soda, cercare argomenti convincenti contro una futura tassa.
Lo studio è infatti il più completo atto d’accusa ai produttori di bevande zuccherate mai messo nero su bianco e comprovato da decine di fonti più che attendibili, perché prende in esame non solo la letteratura, ma anche moltissime altre figure quali associazioni mediche, umanitarie e di consumatori. C’è poi il versante dei media per la grande diffusione, centri di ricerca e così via. I ricercatori hanno così identificato, negli ultimi cinque anni, oltre cento casi più che sospetti di “donazioni” e i comportamenti conseguenti di coloro che ne hanno usufruito. Ecco alcuni esempi a dir poco clamorosi, ricordati dal New York Times.
Save the Children, l’associazione che si occupa di infanzia, aveva sempre sostenuto la soda tax, ma nel 2010 ha cambiato idea. Poco prima aveva ricevuto 5 milioni di dollari dalla Pepsi e chiesto alla Coca Cola altro denaro per sostenere le sue campagne. Ufficialmente è stata una scelta precisa: si è deciso di concentrare le iniziative sull’educazione dei bambini, una decisione “non collegata in alcun modo al denaro ricevuto”.
A New York, l’Academy of Nutrition and Dietetics nel 2012 si era rifiutata di sostenere la proposta di divieto delle bevande extra large, con la motivazione che gli studi esistenti sarebbero stati chiari. Nello stesso anno, l’Academy ha accettato 525 mila dollari dalla Coca Cola, e l’anno seguente altri 350 mila dal colosso di Atlanta. Al momento non usufruisce di sponsorizzazione da aziende di bevande dolci. Un po’ tardi, verrebbe da dire.
La NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), potente associazione che rappresenta gli afroamericani, e la sua omologa per gli ispanici (Hispanic Federation) si sono pubblicamente dichiarate contrarie a iniziative volte a limitare il consumo delle soda, nonostante il dilagare dell’obesità proprio tra afroamericani e ispanici. Tra il 2010 e il 2015 la Coca Cola ha dato un milione di dollari alla NAACP e tra il 2012 e il 2015 più di 600 mila dollari all’Hispanic Federation.
Tra il 2012 e il 2014 l’American Diabetes Association ha ricevuto finanziamenti dalle aziende di settore pari a 140 mila dollari, così come, tra il 2010 e il 2015, l’American Heart Association, che ne ha ricevuti 400 mila solo dalla Coca-Cola, mentre i National Institutes of Health (niente di meno), tra il 2010 e il 2014, hanno accettato donazioni per circa due milioni di dollari, anch’essi dalla Coca-Cola. L’associazione dei cardiologi ha dichiarato di essere da tempo impegnata in ogni sforzo per combattere l’obesità, ma di ritenere che sia indispensabile coinvolgere attivamente i produttori di soda in questi sforzi. Se poi il coinvolgimento è ben remunerato, ancora meglio, evidentemente.
L’American Beverage Association ha assunto un atteggiamento pilatesco, sottolineando il proprio ruolo nel tentativo di capire meglio la complessa questione dell’obesità, anche se per anni ha negato con ogni mezzo la responsabilità delle soda nel fenomeno. Dal canto suo, la Pepsi ha preferito mettere in rilievo gli altri suoi prodotti, ricordando che le soda sono solo un quarto di ciò che esce dai suoi stabilimenti.
La Coca-Cola infine, che solo pochi mesi fa aveva pagato per uno studio a sfavore dell’esistenza di un nesso tra le soda e l’obesità, ha deciso di aprire gli archivi, lasciando così venir fuori l’enorme conflitto di interessi che lei stessa ha alimentato. Solo nel periodo in esame, e cioè tra il 2010 e il 2015, le sue “donazioni” sono state di 120 milioni di dollari, con una media di sei milioni all’anno – dal 2011 in poi – solo per le azioni di lobbying contro le eventuali iniziative di legge. La Pepsi, per lo stesso scopo e nello stesso periodo, ne ha spesi tre all’anno e l’American Beverage Association (ABA) uno. Nel 2009, però, c’è stata una fiammata, poiché il governo aveva proposto una legge federale: nell’insieme, i tre protagonisti (Coca, Pepsi e ABA) hanno speso ben 38 milioni di dollari solo in azioni di lobbying.
E poi c’è un caso, quello di Filadelfia, che illustra bene quanto sia stato inutile questo sforzo. Nel 2010 il sindaco ha provato a introdurre una tassa, ma la proposta è stata respinta dal Consiglio Comunale e, subito dopo il voto, le aziende delle soda hanno fatto una “donazione” di dieci milioni di dollari al locale ospedale pediatrico. Quest’anno la città ha approvato la legge. E le aziende hanno cercato, senza riuscirvi, di trascinare il comune in tribunale.
Probabilmente questa vicenda riflette il cambiamento di clima certificato dall’OMS, che ha appena pubblicato un rapporto nel quale ha invitato tutti gli stati a introdurre una soda tax non inferiore al 20%, cui corrisponde un calo dei consumi di pari entità. L’organizzazione ricorda che nessuno avrebbe bisogno di introdurre alcun tipo di zucchero aggiunto rispetto a quelli già presenti negli alimenti e che il valore massimo consigliato è il 10% delle calorie assunte, da portare possibilmente al 5%.
La soda tax sarebbe da includere in un’azione globale insieme ad altre misure quali la tassa sugli alimenti salati e grassi, il sostegno alla vendita di vegetali freschi e alla diffusione dell’attività fisica e altri provvedimenti di cui si discute in tutto il mondo.
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Giornalista scientifica