Ossido di etilene, cucchiai con semi di sesamo

Semi di sesamo: un nuovo esempio dell’ingenuità delle autorità in merito all’importazione delle derrate alimentari”. È il titolo di un rapporto della Commissione Affari economici del Senato francese, in cui si punta il dito sul sistema di controlli alimentari europei, ritenuto in parte responsabile dello scandalo del sesamo contaminato con l’ossido di etilene. Una crisi che quasi quotidianamente sta provocando da mesi il ritiro e il richiamo di prodotti in tutta Europa e di cui ancora non si vede la fine.

L’ossido di etilene è un pesticida vietato in Unione Europea fin dal 1991 e come biocida dal 2011, ma che è ancora largamente impiegata in altri Paesi del mondo. Come l’India, il principale fornitore di sesamo importato in Europa. Proprio sui semi di provenienza indiana, all’inizio di settembre 2020 è stata rilevata la presenza di ossido di etilene oltre il limite europeo di 0,05 mg/kg.

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L’ossido di etilene trovato nei semi di sesamo di provenienza indiana è vietato in Europa come pesticida da 1991 e come biocida dal 2011

Le indagini svolte una volta emerso il problema hanno rivelato che la contaminazione non riguarda solo il sesamo importato nell’ultimo anno, ma risale almeno al 2018, come dimostrano alcuni lotti prodotti in quel periodo inclusi nell’allerta. Tuttavia, la contaminazione non riguarda esclusivamente l’India, né soltanto il sesamo. I controlli hanno rivelato un superamento dei limiti di ossido di etilene anche nei semi di sesamo provenienti da altri Paesi – Vietnam, Cina, Giordania, Burkina Faso, Etiopia, Bolivia e Paraguay – e in altri prodotti, soprattutto semi, erbe e spezie (ne avevamo parlato qui).

Secondo il rapporto del Senato francese l’allerta “deve servire da avvertimento” per le istituzioni europee e “dimostra la necessità di rinforzare considerevolmente l’ampiezza dei controlli sulle derrate alimentari importate in Unione Europea”. Finora, infatti, le autorità hanno agito come se “una volta che il prodotto viene vietato in Europa, non si potesse più trovare nei piatti dei consumatori”, fidandosi totalmente delle aziende e i Paesi esportatori.

Sono diverse le ragioni dietro al fallimento del sistema. In primo luogo, la decisione di effettuare la maggior parte dei controlli solo su determinate categorie di alimenti e sostanze in base a valutazioni del rischio. In questo modo è possibile che alcune minacce sfuggano completamente ai controlli per lungo tempo. Inoltre, il piano di analisi europeo include solo 176 sostanze, a fronte delle quasi 1.500 esistenti sul mercato, di cui più di 900 vietate in Europa.

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L’ossido di etilene è solo una delle oltre 900 sostanze in commercio vietate in Europa: i controlli alla frontiera ne ricercano meno di 200

Tutto ciò non può che comportare dei rischi sanitari per i consumatori, ma anche un costo crescente per i trasformatori europei e una penalizzazione degli agricoltori comunitari. Gli operatori del settore alimentare, infatti, sono investiti dell’onere di effettuare autocontrolli sulle materie prime e anche di rispondere alle allerta ritirando e richiamando i prodotti: più sono numerose le sostanze vietate, più aumentano il numero di analisi da effettuare e il rischio per le aziende. Allo stesso tempo gli agricoltori europei, una volta che una sostanza viene vietata nei Paesi del blocco, si vedono costretti ad adeguarsi, senza alcuna garanzia che i propri competitor extracomunitari facciano lo stesso, in assenza di frequenti controlli all’importazione.

Per far fronte a questi problemi, il rapporto francese non raccomanda solo di rinforzare i controlli, ma anzi di farne una priorità europea, creando una task force sulla sicurezza alimentare per proporre interventi armonizzati, aumentando il numero di residui di pesticidi da ricercare, incrementando i controlli casuali e irrobustire le ispezioni degli organismi certificatori. Nell’attesa che si muova la macchina comunitaria (che intanto ha richiesto un certificato di conformità per tutto il sesamo indiano importato in Europa e ha aumentato i controlli sui lotti in entrata), secondo il Senato francese, gli stati membri dovrebbero muoversi in autonomia aumentando i controlli all’importazioni, privilegiando l’uso di materie prime comunitarie quando possibile e aggiornando periodicamente la lista dei principali prodotti a rischio.

È da migliorare anche la trasparenza delle informazioni fornite ai consumatori in caso di allerta alimentare. Un tasto particolarmente dolente per l’Italia, dove dopo quattro mesi dal primo richiamo e almeno 195 prodotti segnalati per la presenza di ossido di etilene (a volte solo potenziale), dal ministero della Salute non è ancora arrivata alcuna comunicazione ai consumatori.

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