Sola dosis venenum facit, è la dose che fa il veleno, si diceva una volta, e oggi si dovrebbe anche dire che non è solo la dose, ma anche il tempo. Per quanto riguarda il sale marino, il più diffuso tra i condimenti e importante conservante alimentare, a piccole dosi indispensabile per la vita, non è tanto pericolosa una grande dose unitaria quanto una dose apparentemente innocua impiegata in continuazione. Per questo le organizzazioni sanitarie da tempo stanno vivamente raccomandando di ridurre la quantità di sale nella dieta.
Anche se nel tempo il consumo pro capite si è andato riducendo, gli italiani ne consumano in media ancora troppo (nel biennio 2018-2019: 9,5 g al giorno gli uomini e 7,2 g al giorno le donne). Si tratta di una dose che, a lungo andare, contribuisce a un aumento della pressione del sangue nelle arterie, con conseguenti rischi di ictus, infarti e altre malattie cardiache e cerebrovascolari, renali, osteoporosi e alcuni tipi di tumori. Tra gli alimenti che contengono sale vi sono in particolare i salumi. Se non esistono salumi senza sale, oggi si cerca però di ridurlo senza intaccare le tradizionali caratteristiche organolettiche di questi alimenti tanto amati dagli italiani.
Il sale come conservante
Il sale (sale marino o di miniera, Cloruro di Sodio o NaCl) dà il nome ai salumi e il latino salumen significa “cose salate”, un tempo pesci e, oggi, carni. Già nell’antichità si conoscono infatti le sue proprietà di conservante. Per il sale si costruivano strade, come la via Salaria, veniva dato come paga (da qui il termine salario) ed è diventato oggetto di monopolio e di tasse. Nella conservazione degli alimenti, e delle carni dei salumi in particolare, il sale sottrae l’acqua libera e regola la fermentazione, che in una stagionatura alle giuste temperature e umidità consente lo sviluppo di batteri favorevoli.
Negli ultimi decenni, poi, i salumi italiani sono diventati non solo più magri ma hanno ridotto il contenuto di sale, grazie alle innovazioni derivanti dalla selezione genetica dei suini, la loro alimentazione mirata e nuovi metodi di lavorazione e conservazione. Secondo il Crea e la Ssica in alcuni salumi la diminuzione del sale dal 1993 a oggi è scesa fino al 45% e questo è avvenuto attraverso il controllo dei periodi di asciugatura e stagionatura e all’uso di spezie. I salumi con maggiore riduzione di sale sono la pancetta arrotolata (-47%), il prosciutto crudo di San Daniele Dop (-36%), lo zampone di Modena Igp (-27%), il würstel di puro suino (-21%) e la mortadella di Bologna Igp (-20%).
Le alternative
Per riprodurre il gusto salato nei salumi a ridotto contenuto di sodio si possono anche utilizzare ioni minerali come il cloruro di potassio (KCl, E508) e i fosfati. Se non è dosato in maniera corretta, però, soprattutto nei prodotti con quantità di sale molto basse, il cloruro di potassio può causare un sapore dolciastro o amaro. Nella produzione di salami e mortadelle si può comunque impiegare un cloruro di potassio deamarizzato, che consente di arrivare a una sostituzione di sale vicina al 50% senza problemi di carattere tecnologico. Inoltre, oggi si preferisce usare additivi di origine naturale che, con il loro bouquet aromatico, aumentano la percezione di sapidità. È per esempio possibile ottenere un prosciutto cotto di Alta Qualità a ridotto contenuto di sodio (riduzione del 30%) utilizzando l’estratto idrosolubile di un’alga (Palmaria palmata) a basso contenuto di sodio (80 mg/kg).
Come per tutti gli altri alimenti confezionati, anche i salumi devono riportare in etichetta la quantità di sale riferita a 100 g di prodotto. Un uso consapevole dei salumi è considerato anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che raccomanda per gli adulti una quota giornaliera di sale inferiore a cinque grammi (circa due grammi di sodio). Una dieta con circa 50 grammi di salumi due volte alla settimana consente di introdurre una quantità di sale pari o inferiore a quella di molte salse e sughi pronti, e spesso anche della pizza ma, soprattutto, usa alimenti ricchi di proteine nobili, vitamine e sali minerali come ferro, zinco, selenio e potassio. Resta comunque una buona regola quella di leggere sulle etichette la quantità di sale presente e di scegliere prodotti con il minor contenuto di sale.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Interessante il contributo del professore, che fotografa una realtà che sperimentiamo quando consumiamo i salumi, in confronto con il passato – alcuni tipi poi, come la pancetta e la coppa, risultavano immangiabili. Ancora oggi, le confezioni di salumi (in vaschetta per intenderci) sono spesso addizionate oltremisura di sale.
Ma l’invito più o meno esplicito alle due dosi da 50g./sett. mi convince poco; perchè se vogliamo intraprendere la strada di una riduzione dei consumi di carne (e non elenco qui i motivi, quasi tutti fondati) preferirei optare per il “fresco” piuttosto che per il “conservato”. Ciò non toglie la possibilità di un consumo saltuario o per necessità anche pratiche (pranzo veloce, convivialità, ecc.).
Avrei piacere anche a conoscere il documento dell’OMS al quale si riferisce il professore alla fine del suo contributo: ” Un uso consapevole dei salumi è considerato anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) …”.