Si chiamano scienze sensoriali e aiutano le aziende del settore alimentare a lanciare sul mercato prodotti di successo, oltre che a elaborare strategie per promuovere comportamenti alimentari più salutari. Si tratta di un ambito di ricerca che trae le mosse dalla definizione dei profili sensoriali dei prodotti per arrivare poi allo studio delle preferenze dei consumatori, attraverso l’impiego della cosiddetta ‘scala edonica a nove punti’. Una classifica pensata per valutare il livello di piacevolezza di un alimento, che in origine basata solo sull’assaggio, ma in seguito estesa a considerare l’esperienza del prodotto in senso più ampio: dal momento in cui i consumatori lo vedono su uno scaffale a quello in cui lo consumano, fino a quello in cui lo considerano a posteriori, scegliendo se ripetere o meno l’acquisto.
Per riuscire nell’intento, questa scienza non si limita allo studio delle proprietà di un prodotto alimentare valutate attraverso l’uso dei cinque sensi, ma le valuta includendo una gamma più ampia di input, inclusa l’influenza dei fattori ambientali ed emozionali che influenzano l’esposizione a un prodotto alimentare. “Il punto – spiega Sara Spinelli, presidente della Società italiana di scienze sensoriali (Siss) – è che a parità di proprietà sensoriali di un prodotto alimentare, la sua percezione resta comunque soggettiva, personale e connessa a dinamiche intime e inconsce difficilmente prevedibili, nonché alle diverse capacità percettive dei singoli individui (tutti gli individui percepiscono sapori e odori in modo diverso, o alcune persone non li percepiscono affatto)”.
Negli ultimi 10 anni le scienze sensoriali hanno puntato su nuovi approcci, espandendo il proprio orizzonte di ricerca dal fattore umano all’impiego della tecnologia per assicurarsi un sempre maggiore rigore metodologico e conquistarsi una crescente legittimità per guidare le aziende nella realizzazione di prodotti migliori perché più graditi al pubblico, conformi agli standard legali in costante evoluzione, ma anche più salutari e sostenibili.
L’obiettivo, per le aziende che si avvalgono di questa scienza, è quello di ‘costruire’ prodotti ad hoc, con caratteristiche sensoriali e di composizione chimica in grado di renderli appetibili per un certo target di pubblico identificato in base a caratteristiche socioeconomiche, socio-cognitive ed attitudinali, e quindi consacrarli al successo in un certo segmento di mercato. In questo senso diventa fondamentale anche il meccanismo del cosiddetto ‘lift and shift’, ovvero la riformulazione di prodotti che hanno successo in un Paese per portarli in un altro, adeguandolo alle aspettative e alle esperienze di gusto del nuovo pubblico di riferimento (per esempio attraverso la sostituzione di zuccheri e additivi con ingredienti più sani o, viceversa, l’aggiunta di aromi in linea con quelli a cui i consumatori sono abituati.
Oltre all’indagine delle motivazioni, delle aspettative, delle preferenze e delle emozioni del consumatore necessaria per ricavare informazioni fondamentali sulle dinamiche di mercato, predire nuovi trend e sviluppare prodotti adeguati, un altro fronte sul quale l’applicazione delle scienze sensoriali ha assunto un ruolo rilevante è quello della certificazione delle Denominazioni di origine tra Europa e Italia. Per questo l’European sensory science society ha collaborato con l’European co-operation for accreditation (EA) per lo sviluppo di linee guida per la valutazione sensoriale dei prodotti enogastronomici Dop, con l’obiettivo di assicurare una valutazione il più possibile oggettiva rispetto alla conformità di tali prodotti a specifici requisiti sensoriali previsti e determinati dalle caratteristiche delle materie prime, dalle condizioni di produzione e a quelle di commercializzazione. Tutti aspetti fondamentali sia per la tutela del consumatore che per la correttezza dei rapporti di concorrenza fra le imprese.
Oggi l’applicazione dei metodi della scienza sensoriale è anche al centro del progetto di ricerca ‘Italian Taste’, portato avanti dalla Società italiana di scienze sensoriali, con l’obiettivo di costruire di una banca dati che permetterà di studiare il nesso tra sensibilità percettiva, gradimento e abitudini alimentari degli italiani, ma anche di approfondire aspetti come il ruolo dell’esposizione ad alimenti diversi, nel corso della vita e soprattutto durante l’infanzia, nel generare profonde differenze in fatto di gusti, preferenze e comportamenti alimentari anche all’interno della stessa cultura. “Per esempio – spiega Sara Spinelli – è emerso che le persone più neofobiche (riluttanti a consumare cibi nuovi) e sensibili al disgusto percepiscono l’amaro più intensamente degli altri e tendono a gradire di meno le verdure e i cibi piccanti”.
Per spiegare tali meccanismi, le scienze sensoriali adottano un approccio multidisciplinare che spazia tra tecnologie alimentari, psicologia, statistica, chimica, fisica, e non esclude le conquiste avvenute in fisiologia, biologia, genetica e neuroscienze. Tra queste la scoperta che le prime percezioni sensoriali dell’essere umano risalgono all’epoca prenatale, legate agli stimoli derivanti dal liquido amniotico, dalla saliva e dal sangue materno, e che subito dopo la nascita, il latte materno non solo è fonte delle prime sensazioni gustative della nostra vita, ma condiziona le preferenze alimentari e la maggiore o minore predisposizione a una dieta varia dell’individuo in età adulta.
Ma non solo: diversi ricercatori nel mondo stanno studiando il ruolo dell’asse intestino-cervello e del microbiota nell’influenzare le scelte alimentari umane, mentre altri stanno concentrando sulle variabili ambientali che possono alterare l’esperienza gustativa e sull’opportunità di condurre i test di gradimento in laboratori meno asettici e più immersivi, in grado di riprodurre le condizioni di vita reale in cui un alimento viene assaggiato, se non addirittura di svolgere le analisi direttamente nelle case dei consumatori attraverso dispositivi domestici intelligenti progettati per raccogliere feedback in tempo reale.
Dunque, sebbene lo sviluppo delle scienze sensoriali abbia visto una decisa accelerazione negli ultimi anni e una vasta applicazione nel mondo dell’alimentazione, c’è ancora molta strada da fare in direzione di un metodo d’indagine che, probabilmente, utilizzerà una combinazione di tecnologie e approcci, sempre più basati su sofisticate tecnologie ma che non escluderanno mai l’elemento umano e i metodi di valutazione più tradizionali.
Infatti, poiché nessuna macchina potrà mai veramente replicare l’esperienza umana o prevedere perfettamente una preferenza del consumatore, l’attività di marketing messa in atto dalle aziende che operano nel settore food non può ridursi a diventare unidirezionale, ma deve prevedere uno scambio a doppio senso, basato sull’ascolto e sulla raccolta delle impressioni e delle aspettative dei clienti attuali e potenziali.
“La sfida sarà quella di arrivare allo sviluppo di prodotti e soluzioni di pasto su misura in relazione alle caratteristiche personali di ciascun individuo, dalle sue preferenze, alla sua sensibilità, attitudini, tratti della personalità e corredo genetico, – spiega Sara Spinelli. – Questo ci consentirà di rispondere sempre di più alle esigenze di persone più a rischio di malnutrizioni, come i pazienti che subiscono alterazioni della percezione sensoriale, gli anziani e i bambini”.
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