Dopo due sconfitte in sede cautelare e una sentenza del Tribunale di Venezia che ha respinto la domanda di risarcimento da 1,5 milioni di euro, San Benedetto ha fatto ricorso in appello contro Il Fatto Alimentare per gli articoli pubblicati tre anni fa sullo spot che ha come protagonista Elisabetta Canalis. La storia è quella di una piccola testata indipendente contro un colosso da un miliardo di euro di fatturato, che in questa vicenda ha già collezionato tre sconfitte, ma va avanti per intimidire la redazione.
I fatti
Tutto comincia nel periodo tra agosto e settembre 2022 con un articolo che critica la scena dei toast bruciati e l’esaltazione dei “nutrienti preziosi” dell’acqua in uno spot con Elisabetta Canalis. La pubblicità – secondo l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) – veicola un messaggio scorretto, facendo intendere che l’acqua possa “sostituire” la colazione. San Benedetto accetta le obiezioni dello IAP e dimezza la durata dello spot togliendo le criticità individuate. Il Fatto Alimentare ha avuto l’ardire di raccontare la vicenda. A questo punto San Benedetto comincia un’escalation giudiziaria. Si inizia con due ricorsi cautelari ex art. 700, cod. proc. civ., in cui si chiede l’oscuramento degli articoli. Il ricorso cautelare e il reclamo vengono entrambi respinti dai giudici che condannano l’azienda a pagare le spese legali per circa 6mila euro.

Nessuna diffamazione
Terminata la fase cautelare, nel 2024 l’azienda avvia un’azione civile chiedendo il risarcimento dei danni da (presunta) diffamazione quantificati in 1,5 milioni di euro. Con l’atto di citazione San Benedetto chiedeva la rimozione degli articoli e la pubblicazione della sentenza di condanna su cinque importanti quotidiani nazionali. Anche in questo caso il Tribunale rigetta integralmente la tesi dell’azienda, condannandola a pagare oltre 10mila euro di spese legali. Nella sentenza di primo grado, la giudice dott.ssa Lisa Micochero sostiene che i nostri pezzi rientrano nel diritto di critica giornalistica, che si tratta di una “lettura logica, ragionata e motivata dello spot”, che non c’è nessuna diffamazione e nessuna prova di danno economico o reputazionale. Dopo queste tre sconfitte giudiziarie, due mesi fa San Benedetto decide di impugnare la sentenza di primo grado a noi favorevole, dando avvio al quarto round davanti alla Corte d’Appello di Venezia.
Non solo Il Fatto Alimentare
Per la cronaca, va detto che San Benedetto in parallelo avvia un procedimento cautelare ex art. 700, cod. proc. civ., anche contro la pagina Instagram Aestetica Sovietica, che ha pubblicato alcuni post e storie sullo spot di Elisabetta Canalis evidenziando le stesse criticità sollevate dal Fatto Alimentare. Anche in questo caso il Tribunale di Venezia rigetta le domande di San Benedetto, anche nella fase di reclamo, e condanna l’azienda al pagamento delle spese legali (8mila euro circa).

Perché lo raccontiamo
È vero che la notizia interessa il nostro lavoro, ma è pur vero che la questione riguarda in generale il diritto dei cittadini a ricevere informazioni su spot e messaggi pubblicitari censurati o soggetti a provvedimenti da parte delle istituzioni come lo IAP o l’Antitrust, senza il timore di vedersi recapitare azioni lega immotivate e pretestuose. La questione San Benedetto, ormai arrivata al quarto tentativo giudiziario, solleva domande legittime sul rapporto fra potere economico e libertà di stampa. Anche se sappiano di avere agito correttamente, il primo pensiero va alle spese legali da sostenere che esulano da ogni nostro orizzonte e che portano facilmente a pensare, anche solo per timore, di ritirare l’articolo e di evitare nel futuro certi argomenti.
Lite temeraria
Casi come questo sono spesso indicati con l’acronimo SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation). Si tratta di azioni legali sproporzionate usate per limitare il dibattito pubblico e indurre i giornalisti ad evitare di trattare certi argomenti in modo da non correre il rischio di una causa per diffamazione con richiesta di danni milionari con evidenti intenti temerari. In Italia manca ancora una legge pienamente operativa contro le SLAPP, anche se l’UE ha approvato una Direttiva che dovrebbe essere recepita entro febbraio 2026.

L’obiettivo della direttiva è impedire che le grandi aziende sfruttino le Autorità giudiziarie per intimidire e mettere a tacere i giornalisti e gli editori scomodi, avviando procedimenti giudiziari privi di contenuto, con richieste di rimborsi milionari non documentati. Questa impostazione costringe i giornalisti a difendersi con parcelle degli avvocati che oscillano da 30 a 70 mila euro, insostenibili da parte di strutture editoriali come la nostra. Il recepimento della direttiva anti-SLAPP in Italia è in corso. L’auspicio di molti esperti e delle associazioni di giornalisti è che il nostro ordinamento estenda la protezione a tutti i casi di liti temerarie, senza distinzioni di nazionalità. Criticare la pubblicità di un prodotto non è un lusso: è un servizio ai lettori. Lo faremo sempre, con documenti alla mano e toni civili.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos -Spot San Benedetto


Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24


Vi esprimo la massima solidarietà.
L’Italia deve sempre arrivare per ultima nel recepire le normative europee? Cosa ci guadagna nel vessare le verità giornalistiche che aprono gli occhi ai consumatori? Bisogna troncare sul nasceste le liti temerarie!
Forse perché l’Italia è abbastanza in basso nella graduatoria internazionale delle libertà di stampa? Senza parlare del fatto che, certe direttive scomode al governo di turno vengono casualmente sempre recepite in ritardo…
I Davide che abbattono i Golia sono pochi ma ci sono. Avanti così, bravi!
Grazie per il vostro lavoro sempre eccellente e soprattutto che riguarda la tutela dei cittadini a discapito del puro interesse economico.
A questo proposito, ieri sono rimasta basita nel vedere lo spot pubblicitario della camomilla in bottiglia (se non sbaglio sempre della San Benedetto) per bambini piccoli.
I bambini devono bere l’acqua e non bevande piene piene piene di zuccheri.
Ben detto, ben fatto, sono assolutamente solidale con il vostro giornale, che seguo e sostengo ogni anno seppur con una piccola donazione .
Grazie per tutti gli articoli interessanti che pubblicate!
Con sincera stima.
Ben detto, ben fatto, sono assolutamente solidale con il vostro giornale.
A prescindere dal fatto che le acque “sante” le lascio bere ai poco santi proprietari e che la pubblicità in genere magnifica sempre qualità inesistenti o quanto meno comuni tipo “l’acqua depura” (ovvio ma tutte lo fanno e più ne bevi e più plinpli fai, addirittura anche l’acqua del rubinetto!), le pubblicità quando sono martellanti e onnipresenti spingono, anche inconsapevolmente, ad allungare la mano verso quei prodotti di cui potresti farne a meno: basterebbe un po’ di accortezza per vedere che tra le decine di acque minerali presenti nei supermercati ce ne sono senz’altro alcune non pubblicizzate che costano un terzo! Quindi la colpa é soltanto del consumatore poco attento e facilmente seducibile se non dal prodotto dalle varie beltà, sia femminili che maschili, associate al prodotto. I pubblicitari sono dei maghi nel far apparire cose inesistenti (a volte anche dannose alla salute, non in questo caso) con sfondi di panorami mozzafiato, gente giovane e allegra e musica intrigante……
Per tornare al “santo” in questione (ma quante minerali sono santificate?) l’arroganza dei colossi sempre più sfacciata – anche dovuta a leggi poco chiare e spesso più favorevoli a loro che ai consumatori – denota che le ridicole multe non fanno certo paura a chi dispone di enormi capitali, anzi tutto sommato contribuiscono alla pubblicità – che si parli bene o male basta che se ne parli –
Dunque, l’Unione Europea deve approvare la legge anti SLAPP entro il 2026 a febbraio e in Italia non c’è ancora, così in Corte d’Appello dovete affrontare una multinazionale che ha perso 3 ricorsi,per diffamazione quando non esisteva,può tentare di intimidire chi vuole ma parte già perdende,non lo ha ancora capito?
Innanzitutto pure io vi esprimo la mia massima solidarietà.
Il comportamento di “san benedetto” o chi per esso mi mette ansia e spero che sempre più gente venga a conoscenza di questa brutta storia.
Bravi! Speriamo che passi la legge di protezione per le aziende.
Risarcimento da 1,5milioni di euro?
Fossi io il giudice lo farei versare a favore del fatto Alimentare! Sic!
Poche volte prendo l’acqua minerale ma certamente NON prenderò più la s. benedetto
Complimenti per il lavoro che fate
Un’azienda che si comporta in questo modo mi fa pensare, o meglio, mi fa venire dei dubbi sulla qualità dei suoi prodotti, in particolare sulla scritta eco green, non dico altro, solo che questa marca sarà bannata dalla mia casa.
“La legge è uguale per tutti”. Già, forse, ma l’accesso alla giustizia non è uguale per tutti.
Anche se a volte mi sentirei di contestare alcuni articoli o per il contenuto o per la presa di posizione diversa dalla mia o per la eccessiva neutralità, oggi mi sento di mandarvi il mio piccolo contributo alla vostra lotta e invito altri a farlo.
Bravi, Il Fatto Alimentare! Non mollate! Noi cercheremo sempre di sostenerVi, anche finanziariamente se possibile
Nel mio piccolo, da quando ho letto il vostro primo articolo su tale vicenda, non ho mai comperato prodotti della San Benedetto o di marchi loro associati.
L’unico modo per sostenervi oltre a quello di un piccolo contributo economico è quello di non comprare mai più prodotti San Benedetto
Grazie a Roberto La Pira e a Il Fatto Alimentare ,per tenere sempre in considerazione la deontologia professionale dei tecnologi alimentari suggerita dal prof. Peri.
…meno male che ci siete!